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Il problema degli universal

Nel documento Ana-logica (pagine 84-89)

PARTE PRIMA

CAPITOLO SECONDO

3. Sull’elevazione verso i nomina divina

3.1 Il problema degli universal

La questione della ricerca degli universali è legato ad alcune fra le più complesse attività mentali, spesso usate in matematica e in logica, quali l’astrazione, la generalizzazione, l’universalizzazione e la classificazione (ad esempio nelle teorie degli insiemi). Per comprendere a fondo le ragioni della rilevanza del problema degli universali per l’ana-logica, è bene ripercorre lo sviluppo storico del tema dalle sue origini nel mondo classico fino al suo ingresso nella modernità. A tal proposito, una premessa è necessaria: la storia del concetto di “universale” è la storia della sua oscillazione fra una collocazione ante rem ed una collocazione post rem, vale a dire rispettivamente fra teorie nominaliste secondo le quali l’universale è nell’idea o nella ragione eterna (e solo lì si trova la forma delle cose), e teorie realiste secondo le quali l’universale si trova sempre nelle singole cose - per cui esistono solo gli individui e gli oggetti individuali, ed è possibile ricavare l’universale come intentio formae per astrazione dalle cose particolari, per trasformarlo in parola o segno convenzionale. Lo stesso termine ‘universale’, derivato dal latino universalis, traduce in modo non preciso diverse parole ed espressioni greche: τὸ χαθόλου (ciò che è comune a membri di un insieme omogeneo), e anche τὸ γένος (il genere come contrapposto alla specie), τὸ είδος (l’idea o l’immagine) e τὸ ουσία

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(l’essenza che è propria di molti, come ad esempio la razionalità riferita agli uomini). La storia degli universali parte dal pensiero greco, e già da Socrate, il quale per primo si è interrogato intorno al problema degli universali, assegnando alla filosofia il compito di cercare e trovare i concetti. Fra i suoi allievi Antistene, fondatore della scuola cinica, nega la possibilità dei concetti socratici, riducendoli a soggetti prodotti dalla riflessione dell’uomo sulle cose che compongono la realtà, per cui la conoscenza delle cose è limitata al puro nome che, essendo proprio di ciascun oggetto, non permette di formulare giudizi o predicazioni. L’altro più celebre allievo di Socrate, Platone, ritiene che l’universale sia proprio del mondo delle idee (per cui è ante rem), costituendo l’individuale un mero precipitato, una rappresentazione sensibile dell’idea; tutta la conoscenza platonica è il frutto del contatto con gli universali, infatti non è possibile - nella sua prospettiva - ricavare l’universale a partire dal particolare, se quest’ultimo non fosse già anticipato come dettaglio che compone l’idea astratta, e che è connesso agli altri particolari sulla base di una preventiva conoscenza della sua essenza universale. Analoga è la teoria di Stoici ed Epicurei, per i quali solo l’anticipazione permette di giungere a comprendere i concetti generali ed astratti, poiché tutti i dati dell’esperienza sono anticipati già dalla mente.

Con Aristotele la prospettiva muta, e l’interrogativo socratico diviene un problema legato al procedimento induttivo che, da un insieme di cose, porta ad astrarre ciò che esse hanno in comune; nella teoria aristotelica, l’universale non esiste al di fuori della cose, essendo in re, ma esso è l’essenza delle cose stesse, e la conoscenza si ottiene mediante giudizio dell’esame delle cose, di ciò che è comune ad esse. “Universale” è in questo senso contrapposto a “particolare”, il quale è riferito invece soltanto ad alcuni elementi od oggeti dello stesso genere o specie; negli Analitici Posteriori Aristotele fa l’esempio di una regola universale della geometria, “ la somma degli angoli interni di un triangolo equivale a due angoli retti”, sostenendo che essa rappresenta una forma di determinazione universale di “triangolo”, poiché stabilita sulla base della essenza del triangolo in senso assoluto, e per questo può essere estesa ad ogni tipo di triangolo. A partire da una tale premessa, Aristotele arriva a sostenere che non può esservi scienza se non nell’universale, e gli esseri umani colgono, grazie alla loro capacità logica, gli attributi degli enti che considerano universali e li producono

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trasformandoli in concetto; ciò è reso possibile dall’atto del pensiero divino che permette di intuire le forme come tali (nella loro forma “precipitata”, in atto) in un primo momento, e poi anche al di là di ogni individuazione materiale (dunque anche in potenza). La logica aristotelica è dunque il fondamento e il punto di partenza di ogni teoria medievale sugli universali, come dimostra il fatto che il punto di snodo tra pensiero antico e pensiero medievale sia il neoplatonico Porfirio di Tiro (233 - 305 d.C), il quale nel suo testo Isagoge (o

Introduzione alle Categorie), sviluppa la questione della natura dei termini

universali, elaborando il celebre albero di Porfirio, in cui viene proposta una gerarchia dei termini, da quelli generici a quelli specifici, dal genere generalissimo alla specie specialissima. Nella sua divisione Porfirio parte da un’analisi della definizione aristotelica di ‘universale’ e arriva a specificarne cinque tipi differenti. Nell’albero di Porfirio, tronco e rami rappresentano il rapporto fra l’individuo e l’universale, e l’immagine è una metafora per l’esplicazione dei vari gradi dell’essere, attraverso una constante ascesa o discesa lungo l’albero; questo è ordinato dal basso verso l’alto in base ad un criterio di comprensione, e al genere sommo, punto più alto, si trova la sostanza, alla quale si subordinano le specificazioni, fino ad arrivare all’individuo singolo il quale è dotato della massima comprensione di caratteri, e della minima estensione.101

Le intuizioni di Porfirio, compreso il suo modello ad albero per la descrizione della risalita dalla specie all’universale, sono state riprese e sviluppate da Boezio, il quale, oltre a tradurre l’Isagoge dal greco al latino, sposta la questione dall’ambito puramente logico alla teologia. In Boezio si concentrano le posizioni della filosofia antica e vengono anticipati i temi del dibattito della filosofia scolastica, anche intorno a problemi come il legame fra pensiero ed espressione verbale, il legame fra parola e concetto designato, e la concezione dell’intelletto come strumento per la comprensioe dei concetti. Con

101 Il modello di una tassonomia strutturata come albero è stato replicato anche dalla biologia: è detto dendrogramma, che dal Regno passa al Phylum, dal Phylum alla Classe, dalla Classe all’Ordine, e dall’Ordine alla Famiglia, da questa al Genere e infine dal Genere alla Specie. La teorizzazione più importante sul modo di classificare le specie presenti in natura, è cosa nota, è stata sviluppata da Linneo. Questi riprende la distinzione aristotelica fra genere e specie per costruire una nomenclatura binomia con cui classificare gli esseri viventi; ad esempio il leone è indicato come “felis leo”, e il primo nome è quello del genere, il secondo quello della specie. Il problema irrisolto da Linneo è cosa sia precisamente la specie leo, se corrisponda alla totalità dei leoni viventi oppure no, se corrisponda a tutti i leoni vissuti e che vivranno anche nel futuro, o se sia un universale, nel senso di un carattere comune di animali che, incrociandosi, originano una prole feconda.

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Boezio, dunque, il problema degli universali assume per la prima volta uno statuto trasversale rispetto alle discipline, e soprattuto si sviluppa prima di tutto come questione che riguarda la relazione fra linguaggio e pensiero nelle sue più profonde fondamenta.

Una volta posto come problema fondamentale per diverse discipline e soprattutto per la filosofia e la teologia, quello degli universali si trasforma in un discorso complesso intorno al quale si sviluppano tre principali linee dogmatiche. La più diffusa è l’interpretazione agostiniana degli universali data da Sant’Anselmo d’Aosta (1033 - 1109), per il quale gli universali sono realtà o idee effettivamente esistenti nella mente di Dio; interpretazione realista che rimanda ad una struttura ontologica separata dalla realtà materiale mondana, essendo collocata in una dimensione che è ante rem, nella quale si definiscono i generi e le specie che vanno a formare l’essenza degli oggetti della realtà, i quali differiscono - secondo questa linea teorica - solo per gli accidenti. All’interno di questa corrente, sulla scia delle critiche mosse da Abelardo, l’impronta della corrente realista si modifica fino al punto di sostenere che l’universale non è una cosa essenzialmente identica nei singoli, ma è una forma di identità di

indifferenza, ovvero una relazione per cui individui o elementi della stessa

specie, pur essendo distinti, non sono apprezzabilmente diversi e nella loro non-differenza consiste l’universalità del genere o della specie. Un’altra interpretazione è quella nominalista: i concetti universali, in questa prospettiva, non hanno alcun corrispettivo nella realtà e sono soltanto nomi. A queste due prospettive se ne aggiunge una terza, per cui l’universale non è nulla di materiale, non trovandosi negli individui o al di fuori di essi, ma è invece un

conceptus predicabile per molte cose. In altri termini, l’universale non è una cosa

in quanto fa da predicato (poiché res de re non praedicatur), ma non è neppure una pura funzione astrattiva, essendo qualcosa di fondativo per gli individui: questa è la prospettiva concettualista.

Queste tre linee di pensiero trovano sintesi nella dottrina di S. Tommaso,102

per cui in Dio l’universale è l’idea, la ragione eterna, l’esemplare delle

cose create, la forma platonica. Esso è dunque ante rem, e per la mente umana è

possibile ricavare l’universale come intentio formae per astrazione delle cose

102 Per un’analisi approfondita delle teorie di S. Tommaso si rimanda ai prossimi paragrafi di questo capitolo.

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particolari, trasformandolo in un conceptus mentis e solo dopo in segni. L’universale è quindi anche, in questo senso, post rem.

Infine, per Guglielmo d’Ockham l’universale ritorna ad essere un prodotto dell’intelletto, un ens rationis: ancora una volta viene rifiutata l’interpretazione realistica in senso stretto, e l’universale non è né in re, né ante

rem, coerentemente con il principio “entia non sunt praeter necessitatem multiplicanda”.103 Secondo questa teoria, l’universalità è il risultato dell’azione dell’intelletto che raccoglie sotto il concetto generico gli individui e gli elementi della realtà distinti da particolari gradi di somiglianza, per cui l’universale non è il frutto di un’arbitraria convenzione ma è il segno delle singole cose particolari.

Infine, anche la filosofia moderna sviluppa il problema degli universali, sebbene questo perda molto del suo vigore medievale nel pensiero moderno e contemporaneo; si possono constatare oscillazioni fra nominalismo e realismo in filosofi come Bacone, Cartesio e Spinoza, in Malebranche fa la sua ricomparsa una forma peculiare di realismo, mentre da Hobbes, Berkeley e Hume viene sostenuta l’ipotesi nominalista. Il concettualismo riappare, anche in questo caso sotto nuove declinazioni, con Locke. La grammatica di Port Royal nel XVII secolo pone il problema degli universali del linguaggio, ovvero delle proprietà e dei meccanismi che accomunano tutte le lingue sulla base dell’affermazione che la lingua è una rappresentazione del pensiero e della identificazione dell’ordine naturale dei pensieri con ciò che viene espresso nello spazio comunicativo.104

103 Principio meglio noto sotto il nome di “rasoio d’Ockham”.

104Moltissime altre teorie sugli universali si sono sviluppate oltre e parallelamente a quelle qui citate, ma per ragioni di coerenza con il tema portante del capitolo, l’ana-logica nel Medioevo, è più opprtuno tralasciarle; si è infatti preferito ripercorrere sinteticamente il percorso di evoluzione del problema degli universali dall’origine attraverso gli snodi più rilevanti, per arrivare alle porte della modernità. Basti a completare questo il richiamare, fra i filosofi contemporanei, Kant, il quale può essere considerato un concettualista, da un lato, ed Hegel, il quale ritorna al realismo (anche se in un modo peculiare). Parallelamente, con il positivismo si assiste ad una ulteriore diminuzione di importanza riservata alla speculazione sugli universali, e ad un accresciuto interesse verso il problema della classificazione (si pensi a Comte). Per chiudere, una breve considerazione sulla corrente filosofica dello strutturalismo, secondo la quale una medesima struttura opera in situazioni anche molto differenti, spostando l’attenzione verso l’universale inteso come concetto, verso l’idea di universale come struttura invariante e ripetibile in contesti anche molto differenti gli uni dagli altri. F. de Saussure, Corso di linguistica

generale, Bari-Roma, 1967, pp. 19, 23-24, 83-93: “Ma che cos’è la lingua? Per noi, essa non si

confonde con linguaggio; essa non ne è che una determinata parte, quantunque, è vero, essenziale. Essa è al tempo stesso un prodotto sociale della facoltà del linguaggio ed un insieme di convenzioni necessarie, adottate dal corpo sociale per consentire l’esercizio di questa facoltà

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