PARTE PRIMA
CAPITOLO TERZO
4. Estremo e ordinario: generalizzazione analogica
4.2 Trame della casuistique
L’aver fatto ricorso alla creazione alla rappresentazione per descrivere una persona che non presenta tutti gli attributi di una persona per colmare una lacuna nel caso in cui di persone (in senso stretto) non ve ne fossero più, permise ai giuristi medievali di applicare il medesimo modello, fondato appunto sulla rappresentazione, a tutte le comunità, anche nei casi “ordinari”. Ordinario e straordinario, in seguito al processo teorico di risalita verso l’astrazione concretizzatosi in una generalizzazione, finiscono per confondersi, o meglio per essere definiti relazionalmente. La congruenza della
178 Un appunto sulla parola “generalizzazione”: essa deriva dalla radice latina di gens e dal greco γένος. Sally C. Humpreys (Fustel de Coulanges and the Greek “genos”, Sociologia del diritto IX, pp. 35- 44, 3, 1982), citando Niebuhr (B.G. Niebuhr, Lectures on the History of Rome, London, p.88, 1848), ha rilevato che il greco γενε, e di conseguenza il latino gentes, sono “associations
which, notwithstanding their common name, are not to be regarded as families, descended from the same ancestors, but as the descendants of those persons who, at the foundation of the state, became united into such a corporation.”
179 Jean- Luis Fabiani, La généralisation dans les sciences historiques. Obstacle épistémologique ou
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generalizzazione prodotta per il caso della comunità monastica spopolata divenne una congruenza applicabile a tutti i casi di comunità, in generale; anche nei casi ordinari, e non “limite” o “estremi”, divenne utile pensare in termini di persona come concetto astratto comprensivo anche degli insiemi di persone e non necessariamente di singolo individuo. Presentando tutte le collettività un elemento di astrattezza, divenne possibile applicare il modello generalizzato della personificazione: era sufficiente considerare la collettività come istituzione pura, al tempo stesso rappresentata e rappresentante – come se si trattasse di una persona, pur non essendo essa una persona. L’estensione della soluzione per il caso straordinario ai casi ordinari invita a questo punto a riflettere sulle categorie di “ordinario” ed “estremo” nel discorso giuridico, proprio a partire dal dato storico offerto dai casi esaminati finora. Nella differenziazione fra estremo e ordinario, così come in altri processi simili, come quello di distinzione fra norma ed eccezione, il diritto compie operazioni di auto-descrizione e differenziazione. Il meccanismo di auto-osservazione che è caratteristico dei sistemi giuridici e sociali in genere è particolarmente evidente in questi casi di contatto fra regola, sistema regolante, e complessità dell’oggetto regolato o da regolare.
Attraverso il “gioco di finzione” costruito sulla rappresentazione, la collettività non vede differenziarsi la propria sostanza sociale concreta e la sua forma istituzionale, astratta, andando così costituire una pluralità indivisa, che non si raddoppia in alcuna “persona representata”. Per cui, non rimane spazio per le differenziazioni fra dimensione concreta, reale, sociale, e dimensione giuridica: le due si confondono in un quadro che le vede interagire, un quadro che che si delinea proprio a seguito del processo di generalizzazione, nel quale i beni possono trovare una collocazione e la successione non deve affrontare l’eventualità di una vacanza. Il collegio, nella sua forma istituzionale e anche come insieme di individui (sebbene ex-insieme o insieme in divenire) è considerato in questo senso come persona giuridica. La rappresentazione fa attivare un meccanismo riflessivo in cui i membri di un’entità sociale sono al tempo stesso rappresentanti dell’istituzione e sono anche, da essa, rappresentati, poiché il meccanismo rappresentativo, partendo dalla finzione, va a sdoppiarsi in una duplice dimensione, da un lato attiva (i monaci rappresentano, ciascuno individulamente, l’intera comunità) e dall’altro passiva
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(i monaci sono rappresentati dalla comunità-istituzione). Attraverso la personificazione dello spazio descrittivo vuoto, da colmare con un soggetto che possa funzionare da centro di imputazione di diritti, si verifica lo sdoppiamento del piano sociale (concreto) in “istituzionale”. Nel periodo fra i secoli XIII e XIV, la personalità giuridica delle universistates viene fatta corrispondere con una successione senza interruzioni, grazie ad un processo linguistico- rappresentativo molto simile a quelli finora descritti, basato sulla finzione, sulla traslazione di modelli noti su contesti ignoti, e sul riferimento ad esempi per la spiegazione e la comprensione (tipica dicotomia ermeneutica) dei casi complessi (stra-ordinari, appunto).180
Innocenzo IV aveva introdotto, proprio per definire queste entità collettive, come le città o le comunità monastiche, qualcosa di ulteriore rispetto alla terminologia della fictio: i cosiddetti nomen
iuris, nomen intellectuale (nome che designa un’idea) e la res incorporalis, ovvero il
nome designante una cosa non concreta. Come già si è anticipato, tutte queste “universalità” di beni avevano un’idenità ed un regime giuridico diversi da quelli dei singoli componenti, e per la definizione concettuale di queste nuove entità divenne fondamentale tutta la teoria dei corpi, funzionale alla differenziazione fra elemento singolo e collettività risultante da più elementi.181
Proprio a causa di queste dinamiche relative alla definizione e alla soluzione di un “hard case”, il trattamento del caso straordinario non fu mai slegato dal trattamento del caso ordinario: le due dimensioni, quella della ordinarietà e quella della straordinarietà, furono sempre correlate. Il limen fra ordinario e straordinario è sempre la risultante di una procedura ermeneutica di formalizzazione e normalizzazione del rapporto fra forma e contenuto. Definire un contesto con l’attributo ‘straordinario’, è una modalità discorsiva che necessariamente va a porre in contrasto tale contesto con uno invece definibile come con il termine ‘ordinario’. Fuori e dentro un ordine: ordine che corrisponde alla dinamica che definisce i propri confini e che, a sua volta, ne è
180 Questa tipologia di rappresentazioni generalizzanti fu applicata a diversi campi del diritto, pubblico, private, canonico.
181 Teoria dei corpi e sui corpi che era debitrice alla filosofia classica, in particolare ai presocratici e ad Aristotele. Ancora più influente della teoria dei corpi era stata però la teoria delle cose incorporali, che venne infatti ricompresa, sempre da Innocenzo IV, per la definizione delle “cose incorporali” come “nomi intellettuali”.
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definito, secondo un meccanismo tipicamente riflessivo.182 La riflessività è, peraltro, l’unica dimensione in cui, all’interno di un medesimo ordinamento normativo, possono convivere ordinarietà e straordinarietà, proprio per la propensione che uno spazio comunicativo caratterizzato da dinamiche riflessive ha verso la definizione e l’autodefinizione dei propri margini e dei propri contenuti.
La casuistique mostra fino in fondo un aspetto che talora storia e teoria del diritto hanno trascurato, ovvero la irriducibile fattualità del diritto, non soltanto nel momento in cui il diritto stesso si dice o deve essere detto, ma anche nei processi definitori e di categorizzazione del nuovo in riferimento al
noto. Per questa sua spiccata capacità di collegare caso singolo e classificazione
universale, la casistica è per eccellenza il luogo della tessitura dell’ordinamento in quanto è prima di tutto messa in comunicazione fra concreto ed astratto, particolare e generale. La soluzione trovata per un caso singolo poggia sempre sugli equilibri delle soluzioni di altri casi, poiché il diritto deve poter assicurare, al proprio interno, coerenza.183
Coerenza che riguarda anzitutto la ricerca di equità fra il trattamento di situazioni simili (ma con qualche attributo differente) e la compatibilità fra modelli che possono trasversalmente acquisire forme di validità diverse. Proprio nella casistica, inoltre, viene messa alla prova la tenuta delle categorie, che nel processo di traslazione vedono misurata la propria capacità comprensiva, così come pure il loro rigore descrittivo e definitorio. Nella contiguità fra casi e norme che è caratteristica del dominio che abbiamo definito della casuistique, reti di somiglianze fra casi, fra quelli romani e quelli medievali, si instaurano per associare istituzioni e categorie o nomi rilevanti che si situano a livelli anche molto differenti, come nel caso narrato, in cui l’idea di collettività associata alla città o alla comunità monastica viene messa in relazione - nel percorso argomentativo – con il diritto successorio romano, con il contenuto del concetto di “patrimonio”, con l’idea di “giacenza” applicata all’eredità. In queste forme di continuità della casistica si scoprono regolarità, ma non soltanto; si scopre ben più di una dimensione della normatività; il caso straordinario mostra la sua esemplarità, la paradigmaticità
182 A questo proposito, si veda su tutti N. Luhmann, Struttura della società e semantica, Roma-Bari, Laterza (1983).
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che lo fa divenire unico e allo stesso tempo modello per casi simili e prossimi. I caso-limite diventa caso-esemplare, con ciò creando un contatto fra definizioni ed esemplarità, in cui l’elemento di straordinarietà è il medesimo che distingue il caso dalle trame dell’ordinario, e allo stesso modo è l’attributo che, partecipando della caratterizzazione dello stesso, ne definisce la rilevanza e contribuisce a descrivere dei tracciati di regolarità all’interno del sistema di cui partecipa. Come ha correttamente osservato Yan Thomas,184 l’aspetto più intrigante di tutta questa vicenda ermeneutica nella storia del diritto non è la trasmissione di categorie da un constesto ad un altro, ma è piuttosto scovare dietro questi spostamenti la storia di un’idea, di un pensiero, di una descrizione e dei suoi mutamenti, fra continuità e discontinuità. Dietro ai giochi di descrizione delle categorie, e anche dietro alle classificazioni, ci sono delle associazioni concrete fra casi, a causa delle quali si creano delle trame e dei riferimenti in cui le questioni si legano metonimicamente, il che attribuisce alle elaborazioni teoriche dei giuristi una attitudine spesso più poetica che logica, dimostrata dallo sviluppo di formule e nozioni che si spingono sempre oltre i contesti in cui si sono originate: un’attitudine, appunto, ana-logica.