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Dal responsum alla regula

Nel documento Ana-logica (pagine 53-57)

PARTE PRIMA

CAPITOLO PRIMO

3. Prudentia: il metodo casistico

3.1 Dal responsum alla regula

Il metodo casistico nel sistema giurisprudenziale romano ha permesso al diritto di tenere perennemente aperta la possibilità dell’adeguamento alle novità, in un processo che tuttavia ha mantenuto coerenza e una forma peculiare di continuità (anche attraverso soglie e rotture), in equilibrio con le esigenze della prassi, la quale risente ovviamente dei profondi mutamenti politico-sociali. Il pensiero analogico e le forme di sapere ad esso connesse nella tradizione giuridica romana sono un esempio interessante del modo in cui un metodo si possa trasformare in una vera e propria struttura discorsiva su cui si instaurare meccanismi cognitivi, tanto che molto spesso le questioni legate all’uso dell’analogia e dell’esemplarità nel diritto romano hanno finito per

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trasformarsi in un vero e proprio dibattito epistemologico fra i giuristi. Una cosa è certa: il diritto romano si è sviluppato come diritto fondamentalmente giurisprudenziale le cui caratteristiche essenziali possono essere riscontrate nella duttilità e nella coerenza, che si sono realizzate anche in ragione dell’uso di strumenti quale quello analogico, il quale crea riferimenti con il passato in una dinamica di comparazione, adattamento e valutazione della compatibilità con il presente, in questo modo tracciando anche, creativamente, nuove prospettive teoriche. Lo studio critico delle modalità con cui la tradizione giuridica romana ha fatto uso di casi e decisioni precedenti per la regolazione di nuovi casi analoghi deve spingersi oltre la struttura casistica in sé: i meccanismi del diritto giurisprudenziale sono pratiche che hanno infatti una forte connessione con la struttura epistemologica del sistema giuridico intero, essendo il diritto, in questo contesto, un ordine in costante evoluzione e perennemente in ridefinizione.

Il connotato più rilevante del diritto repubblicano e classico consiste in una tradizione giuridica controllata dagli esperti, che hanno contribuito alla creazione di formazioni discorsive che hanno segnato quella che per secoli è stata definita “tradizione”: una fitta rete di opinioni, principi e regole, di prassi che in questa rete trovavano un criterio di misura e di validazione. Durante tutta l’epoca repubblicana, la tradizione giuridica ha costituito una vera e propria tela, che i giuristi furono autorizzati a tessere in virtù delle loro competenze, e soprattutto dell’auctoritas. Traditio e auctoritas vanno dunque osservate insieme, come concetti che si sono sviluppati in modo relazionale: l’autorità spesso veniva legittimata dalla tradizione e la tradizione ha trovato nell’autorità una struttura su cui incardinarsi, e ne è stata segnata. Ciò è di particolare interesse se si considera che l’utilizzo di casi precedenti e simili, che abbiamo visto essere espressione del sapere analogico nella tradizione giuridica romana, è espressione sia del richiamo alla traditio, sia della del riferimento alla

traditio in termini di una legittimazione dell’auctoritas.

Il metodo casistico consiste inoltre di tutte le tecniche di semplificazione ed astrazione dei principi giuridici a partire dai casi concreti; fra queste, particolare attenzione va dedicata ai responsi, quelle soluzioni dei casi pratici discusse pubblicamente dai giuristi, la cui autorità deriva dal singolo precedente e dalla trama di soluzioni ed opinioni accettate anche nella prassi,

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attraverso un meccanismo che è stato sancito da un rescritto di Adriano, di cui si parla Gaio:

“Responsa prudentium sunt sententiae et oponiones eorum, quibus permissum

est iura condere. Quorum omnium si in unum sententiae concurrunt, id quod ita sentiunt, legis vice, optinet; si vero dissentiunt, iudici licet quam velit sententiam sequi: idque rescripto divi Hadriani significatur.”59

Nei responsi sui casi singoli si trovano le radici di tutte quelle operazioni di generalizzazione ed astrazione oltre il caso particolare che divennero poi, per gli storici medievali, le tecniche ermeneutiche principali e pure le principali fonti di creazione attraverso la teorizzazione intorno a un problema specifico. Aumentando il livello di generalizzazione nella trasmissione dei principi individuati casisticamente, si arriva alla formazione di regulae di carattere casistico, le quali sono un altro elemento fondamentale nella composizione del campo di significato del sapere analogico che archeologicamente si sta tracciando. 60 Le regole iniziarono a rappresentare, già a partire dalle metodologie dei giuristi romani, il massimo grado di semplificazione delle soluzioni casistiche e insieme la ricerca della certezza attraverso la descrizione di principi generali dell’ordinamento.

Nell’elaborazione dei responsi, alcuni ritengono che i giuristi romani si appellassero ai precedenti esclusivamente sulla base del principio della

auctoritas, in tal modo conferendo a tutta la scienza giuridica e al suo sviluppo

un carattere essenzialmente irrazionale:61 il responso, in questo caso, non si esprime in un enunciato motivato, che individui il suo rapporto con il dirtto come scienza pratica, ma si fonda essenzialmente sull auctoritas, il che di fatto significa l’impossibilità di individuare, nella fase iniziale della formazione del diritto romano, un sistema di precedenti organizzato razionalmente. Ciò che tra l’altro rende questo fenomento particolarmente interessante è il rapporto che si viene ad instaurare fra la ratio decidendi del singolo caso ed il principio giuridico che da essa viene estrapolato, in una dinamica caratterizzata dalla

59 Gaio, 1,7.

60 Per un approfondimento sul carattere essenziale della regolarità nella analogia, rimando alla trattazione specifica dell’argomento, nel cap. IX.

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generalizzazione della soluzione concreta su un livello superiore, il che riconnette questo discorso alla profondità semantica della parola anà-logia di cui si è detto nei paragrafi precedenti. L’astrazione oltre il caso singolo porta alla formazione delle regulae di carattere casistico, il che significa che, una volta trovata una soluzione per un caso in particolare e dopo che questa è stata messa in forma in un responso, tale soluzione rappresenterà un modello esemplare per gli eventuali altri casi che, in futuro, avranno un carattere simile. Per cui, dall’originario sviluppo del singolo responso, viene a delinearsi un lavoro di “raccolta” degli attributi rilevanti per quel caso all’interno di un principio: questa dinamica è una delle peculiarità del metodo dei giuristi romani, e si è realizzata principalmente attraverso l’uso sistematico dei precedenti.62

Nel lavoro dei giuristi dell’età classica, ad esempio in Labeone, i meccanismi appena descritti assunsero una rilevanza tale per cui l’intera tecnica dei giuristi venne a riassumersi nei libri responsorum, definitionum e regularum, raccolte di soluzioni improntate su processi di generalizzazione (per cui se un ragionamento vale per un caso, deve valere anche per gli altri casi ad esso simili), costruiti su criteri di probabilità. Questo tipo di lavori, sulla soglia fra soluzioni pratiche e rilfessioni teoriche, è ciò che rende il metodo casistico ed il sistema prudenziale particolarmente importanti per la comprensione delle “regolarità”, le quali hanno caratterizzato le giurisprudenza classica, caratterizzandola come un discorso basato sulle connessioni fra pratiche e teoria.

La struttura tipica del responso, quale emerge non solo da Labeone ma che dai libri responsorum di Scevola, è costruita sulla progessione casus-quaestio-

responsum, il che di per sé rappresenta una semplificazione il cui intento è di

trovare un modello che possa valere per la soluzione anche di fattispecie future, come emerge da quest’altro estratto:

Regula est, quae rem quae est breviter enarrat. Non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat. Per regulam igitur brevis rerum narratio traditur, et , ut ait Sabinus, quasi causae coniectio est, quae simul cum in aliquo vitiata est, perdit officium suum. (D. 50, 17,1 - Paul. l. 16 ad Plautium)

62 cfr. Letizia Vacca, Contributo allo studio del metodo casistico nel diritto romano, Milano, 1976, p. 109-110.

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La regula ha dunque nella giurisprudenza romana un carattere ibrido, e può essere più cose insieme: “rem quae est breviter enarrat” dovrebbe riferirsi alle regole di definizione, mentre “non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula

fiat” potrebbe rappresentare un tentativo di criticare le regole che hanno

assunto un carattere normativo, e al contempo è un invito a leggere lo “ius quod

est” come la vera e propria matrice della regola.

In conclusione, si è visto che la decisione di un caso ha assunto, nella tradizione romanistica, un significato ben più complesso di quello letterale: con “decisione” si devono intendere, infatti, non solo la sentenza, ma anche le soluzioni proposte dai giuristi e gli atti discrezionali dei magistrari giusdicenti che si concretavano nella statuizione del diritto secondo cui andava regolata la singola fattispecie, e pure, a partire dall’epoca del principato, le risoluzioni imperiali prese in relazione ai singoli casi (decreti e rescritti). Una riflessione completa sul metodo casistico deve quindi ampliarsi oltre la rilevanza del precedente e tenere conto dei rapporti fra la soluzione proposta in un caso e quelle elaborate dai giuristi successivi.

Nel documento Ana-logica (pagine 53-57)