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Qualche appunto sull’anagoge

Nel documento Ana-logica (pagine 75-79)

PARTE PRIMA

CAPITOLO SECONDO

2. Analogia, allegoria, simbologia

2.1 Qualche appunto sull’anagoge

Da sempre si è sostenuto che le Sacre Scritture avessero più di un senso; la comprensione dei testi sacri ha per questa ragione rappresentato uno dei primi luoghi di sviluppo di una teoria ermeneutica, per cui anche ad essa bisogna sinteticamente ritornare nell’archeologia dell’ana-logica. L’idea che le Scritture avessero più di un senso non è mai stata assente dall’orizzonte teologico, né a quello filosofico era mai stata estranea la tesi per cui ad uno scritto si può sempre applicare una chiave che i suoi autori non avevano conosciuto: anche il discorso giuridico, d’altra parte,87 mostra diverse e frequenti riproduzioni del problema della polisemia.

La peculiarità della lettura e dell’intepretazione cristiana della Bibbia non sta tanto nell’uso di allegorie e del linguaggio figurato in genere, ma piuttosto nel fatto che l’allegoria è regolata e compresa in relazione all’esperienza di un momento storico concreto considerato unico e subordinata al messaggio che la annuncia (il kerigma). In origine, la dottrina della polisemia della Scrittura è applicata alla lettura cristiana dell’Antico Testamento, il quale prima di tutto ha una sua molteplicità si sensi, e di cui il Nuovo Testamento fornisce un modello. Ad esempio, quando nel Vangelo di Giovanni si dice “Colui di cui è scritto nella legge di Mosé e nei profeti, l’abbiamo trovato, è Gesù”, è un’espressione che ha funzionato da modello di riferimento per l’interpretazione di alcuni passaggi dell’Antico Testamento, come “e’ di me che egli ha scritto” (riferito ad Abramo). La certezza svelata nel Nuovo Testamento inaugura una rivoluzione nella

86 Dante, Convivio, II.I. 6-8

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lettura dell’Antico Testamento e di tutte le espressioni discusse o discutibili che potevano a questo punto essere comprese. Nell’Antico Testamento finiscono per essere scoperti sensi fino ad allora inaspettati, pur sempre da sostenere con i dati antichi, dal momento che il senso del nuovo, per quanto più chiaro o più esplicito, non può mai essere senza genealogia. Nuovo ed antico (come ignoto e

noto) ritornano, sotto un diverso aspetto, a mostrare una relazionalità profonda

che, come più volte si è ribadito, è un tratto fondamentale dell’ana-logica, e in particolare dell’ana-logica nel diritto (come più avanti in questo lavoro viene sostenuto, in particolare cap. IV e V).

I termini usati per descrivere i possibili sensi della Bibbia sono diversi, e sono ancora in evoluzione, ma resta comunque possibile identificare i tratti più importanti dei livelli di interpretazione ammessi in teologia in letterale,

allegorico, tipico o figurato, e mistico o anagogico.88 Il senso letterale è quello in cui è possibile la comunicazione fra l’autore e coloro ai quali è destinato il messaggio. Per cui il senso letterale di una Scrittura si inserisce in uno spazio limitato dalle convenzioni e dalle possibilità semantiche del momento storico e del contesto in cui il messaggio si è costituito. A fianco al senso letterale vi è sempre un senso allegorico, che è cifrato nella misura in cui i concetti e i discorsi vengono sostituiti da immagini e raffigurazioni. Oltre questi primi due livelli, vengono generalmente segnalati anche il senso tipico (o fugurato) e, quello che interessa più di tutti per il nostro discorso, un senso “mistico”, “spirituale”, o “anagogico”. Nel percorso narrativo biblico vi sono numerosi tipi e figure aperti verso una interpretazione futura: typos designa un marchio, una matrice abbastanza evidenziata perché il suo segno possa durare a lungo, e

88 San Girolamo è uno degli interpreti che hanno acquisito maggiore rilevanza in riferimento alla coesistenza dei quattro tipi di interpretazione nella tradizione cristiana. La sua originalità non consiste tanto nella fiducia accordata al senso letterale, ma nella sua apertura a ricercarla; egli non cessa mai di studiare historia e realia (eventi ed oggetti che descrivono la realtà). Maestro di retorica, scrittore appassionato, molto sensibile alle sfumature dei testi, ha ricevuto una forte influenza da S. Paolo, sostenendo che la lettera del testo pura e semplice uccide la comprensione se ricevuta carnaliter. Insieme a ciò un altro dei principi chiave della dottrina ermeneutica di Girolamo è la rilevanza accordata al fundamentum historiae. Grande attenzione è stata inoltre rivolta da Girolamo ai concetti di “tipo” e “figura”, che nella sua teoria sono sinonimi. La figura è occasionalmente figura retorica, ovvero frontiera tra senso deviato (metafora, translatio) e senso spirituale e più elevato. Il tipo viene distinto dalla allegoria, mentre l’interpretazione spirituale riguarda il livello del mistero e deve seguire - cosa fondamentale - la “coerenza (ordinem) della storia” e non interpretare ogni parola isolatamente, come fa l’allegoria. L’uso spirituale deve essere usato residualmente quando la coerenza interna del sistema vacilla, e non viceversa. In Girolamo si trovano anche riflessioni sulla tropologia, e sull’anagogè, che egli usa come sinonimo di “senso spirituale”, ed anche nel senso di elevazione dell’anima verso un livello più alto, superiore.

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corrisponde anche allo schema o al termine latino figura, e in relazione ad esso si parla di senso “tipico” o “figurato”. Nell’esegesi teologica, però, il senso che fra tutti è rivelatore della verità è quello spirituale; a partire dall’origine paolina, l’attributo “spirituale” designa un senso che può essere scoperto soltanto grazie all’azione della mente (“spirito” è inteso in questo senso). Nell’antichità si è sovente dato al “senso spirituale” altre designazioni, fra cui “allegorico”, “mistico” (da “mistero”, anche ancora una volta conferma il fatto che questo è fra i sensi quello più distante dalla realtà), o anche “tipico”.

La relazione fra analogia ed interpretazione anagogica consiste essenzialmente nel fatto che in entrambe il nucleo centrale del processo ermeneutico, del giudizio, della formazione di un concetto o della predicazione, si sedimentano nel tempo attraverso un meccanismo di messa in comunicazione fra immanenza e trascendenza. In particolare, il punto di contatto coincide con le procedure di generalizzazione,89 nella misura in cui così come accade per la semantica del termine ‘analogia’, che abbiamo visto essere intrinsecamente legata ad un movimento dal basso verso l’alto (e verso l’altro), anche i termini ‘anagoge’, ‘anagogico’ ed ‘anagogia’ sono legati ad un’idea di elevazione da un “più in basso” ad un “più in alto”. La radice comune è infatti il verbo greco

ἀνάγω (anago), che è stato tradotto in primo luogo come “conduco via” o

“conduco in alto”, o “conduco verso l’alto, sollevo”;90 come significati residuali, troviamo anche “faccio salire”, “conduco indietro” e “conduco di nuovo”. Il termine è stato usato da Dante, il quale lo ha derivato dalla tomistica, assumendo durante il Medioevo il significato di “interpretazione mistica” o “elevazione spirituale” (che è anche ciò da cui deriva l’interpretazione). Il prefisso anà- significa quindi anche in questo caso “verso l’alto”, ma non soltanto: infatti dall’idea di risalita dal basso verso l’alto deriva anche quella di “ritorno verso un luogo assoluto”, in cui tutte le cose hanno avuto origine, ed anche risalita verso una definizione generale che possa ricomprendere le declinazioni che si trovano nella realtà. Il verbo ago, d’altro canto, significa

89 Per la descrizione dello sviluppo semantico del prefisso anà- si rimanda ai primi paragrafi del capitolo primo.

90 Dal Vocabolario Greco-Italiano, Rocci, Roma (1998), che fra gli esempi riporta l’espressione “conduco una donna in una terra lontana” e dal Dizionario etimologico italiano, a cura di De Mauro e Mancini, Milano (2000), p. 87. L’espressione “anagogia” è stata ripresa, dopo il Medioevo, da Leibniz. Per lui l’induzione anagogica permette di risalire alla causa prima. Per estensione, la critica letteraria ha sviluppato il concetto di interpretazione anagogica come quella che tenta di andare oltre senso letterale ed immediato del testo.

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“spingo” o “sollevo”. Per cui il campo semantico dell’anagogia interessa in modo più comprensivo un movimento, una dinamica, che mette in comunicazione, in concreto, due o più posizioni, e in astratto, concretezza e forme della generalizzazione.91 E’ anagogico il movimento che viene prodotto da una spinta, da una forza che ha la capacità di “condurre in una direzione; è questo l’aspetto del pensiero anagogico che ne ha fatto un tipo fondamentale nell’interpretazione biblica: la spinta che conduce il discorso dal basso verso l’alto, attraverso una risalita che può anche essere un movimento all’indietro, in senso genealogico avremmo detto oggi, è data da un’energia mistica (secondo la tomisitica), che è l’unica dimensione ermeneutica per mezzo della quale si può tentare di comprendere il valore assoluto della verità da svelare. Oltre alla dimensione teologica, il campo semantico dei referenti dell’anagogia si è, con lo sviluppo degli usi e delle funzioni, ampliato verso nuove dimensioni,92 essendosi affermato nel senso di “portare in alto da un luogo basso verso un luogo alto”, e da questo si è esteso fino a “portare in mare aperto, condurre in mare” e a “portare dalla costa verso l’interno”. Inoltre, anagogico è uno degli attributi che si riferiscono alla resurrezione, per la sua capacità di rappresentare una dinamica di ripristino di uno status quo ante, modificatosi per qualche ragione, e più in generale di coincidere col “portar indietro” o il “riconsegnare”, in un contesto di replicazione di un movimento (per cui anà- finisce per significare anche “ancora una volta”, tanto da essere usato per indicare il calcolare all’indietro). Più in generale, l’anagogica ha dunque raccolto tutti questi significati in un più generale e complesso meccanismo di restituzione ad una forma precedente, anteriore, e soprattutto originale.93

Ripercorrendo un distico di Agostino di Dacia, l’anagogia appare come il percorso che delinea il piano più elevato a cui l’interpretazione deve tendere:

“Littera gesta docet, quid credas allegoria/moralis quid agas, quo tendas anagogia”

91 Per una analisi approfondita del ruolo delle forme della generalizzazione nello sviluppo di una metodologia storico-giuridica si rimanda al prossimo capitolo (III).

92 H. G. Lidell, R.Scott, Greek-English Lexicon. With a Revised Supplement, Clarendon Press, Oxford, 1996, p. 102.

93 Così si il lessico greco-inglese Lidell-Scott, “to restore to its original shape, to reckon, to

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ovvero “la lettera insegna ciò che è successo, l’allegoria ciò che devi credere, il senso morale (tropologico) ciò che devi fare e il senso anagogico ciò verso cui devi tendere”.94 Il distico è stato composto per riassumere la tesi di San Tommaso sui quattro sensi; questi richiamava al fatto che il “senso letterale o storico” è il fondamento del senso spirituale, il quale a sua volta si compone di tre elementi: allegorico, morale e anagogico. Si dice “senso letterale” ciò che l’autore vuole dire (quem auctor intendit o quod loquens per verba vult significare), quindi già questo può allontanarsi leggermente dal senso immediato delle parole. Il senso inteso dall’autore (divino) può andare oltre a ciò che l’autore umano vuol dire o significare, poiché la modalità narrativa della Bibbia riprende la dottrina classica della tropologia (delle figure e dell’uso delle stesse per esprimere i concetti), per cui una res anteriore è, per volontà divina, il “tipo” per una res posteriore. Lo scarto che si mantiene fra il significante (tropo) ed il significato (messaggio divino, narrazione, discorso in genere) si riduce di fatto ad una forma di convenienza: come ha notato lo Pseudo-Dionigi, infatti, il più sensibile o il più basso è anche il più adatto a significare ciò che è più spirituale e meno accessibile.95

Nel documento Ana-logica (pagine 75-79)