• Non ci sono risultati.

Trasporti: costruzione di un sapere metaforico

Nel documento Ana-logica (pagine 162-171)

PARTE PRIMA

CAPITOLO TERZO

7. Trasporti: costruzione di un sapere metaforico

Il confine fra interpretazione e conoscenza diviene più labile, soprattutto dopo queste osservazioni sulla funzione classificatoria delle somiglianze. Se con le riflessioni precedenti si è affermato il ruolo del pensiero analogico è stato centrale nello sviluppo dell’ermeneutica, è bene discutere attraverso quali strumenti - riconducibili al campo analogico - si sia sviluppato il sapere umano. In particolare, per completare il discorso aperto con la teoria dell’episteme foucaultiana, è utile integrare a questo punto qualche breve ma necessaria

216 Per contenere il tema della metafora e del suo ruolo nei processi cognitivi, si è scelto di limitare la bibliografia di questo paragrafo a Giambattista Vico, e si è volontariamente lasciato da parte, sebbene solo temporaneamente e per evitare di consegnare uno spazio eccessivo alla metaforologia nel quadro del lavoro nel suo complesso, all’importante contributo di H. Blumenberg, che rappresenta un cardine importante sul tema. Tanto con Paradigmi per una

metaforologia, quanto con La leggibilità del mondo e Elaborazione del mito, Blumenberg ha offerto un

contributo molto importante alla comprensione della metafora e delle diverse dimensioni in cui essa opera. Immaginando ad esempio la natura come se fosse un libro, egli costruisce la grande metafora della natura-libro (da qui la possibile “leggibilità del mondo”), ma questa è soltanto la metafora maggiore che è inclusiva di molte altre, che normalmente la mente umana elabora per comprendere l’ignoto attraverso il noto. Dice Blumenberg “Tra i libri e la realtà è posta un’antica inimicizia. Lo scritto si è sostituito alla realtà, nella funzione di renderla - in quanto definitivamente inventariata e accertata - superflua” (La leggibilità del mondo, p. 11); più avanti aggiunge: “(…) sorprende che il libro sia potuto diventare la metafora proprio della natura - sua antipodica nemica - che esso sembrava destinato a derealizzare; tanto più peso, tanta più forza devono avere avuto gli stimoli che hanno prodotto questo collegamento di libro e natura. (…) Con la psicologia della Gestalt e la fenomenologia, la teoria della percezione ha abbandonato l’atomismo sensistico del secolo scorso, sostituendo ai meccanismi di associazione e dissociazione una struttura di datità della nostra percezione affatto diversa. Chi voglia descrivere questo mutamento incorre inevitabilmente o quasi nella metaforica del linguaggio e della lettura. (…) Ogni fenomeno singolo è perciò ‘ormai soltanto una lettera, che non si coglie per se stessa, che non viene considerata secondo i suoi propri elementi sensibili o secondo la totalità del suo aspetto sensibile, nella quale invece lo sguardo sorvola e passa per rappresentarsi il significato della parola cui la lettera appartiene e il senso della frase in cui questa parola si trova’. E’ possibile passare da ogni elemento al tutto, ‘giacché la costituzione di questo tutto è rappresentabile e rappresentata in ogni singolo elemento” (La leggibilità, pp. 13- 15; Blumenberg cita a sua volta Ernst Cassirer, Philosophie der symbolischen Formen, Berlin, 1929).

163

osservazione sulla logica poetica vichiana, che ha posto la metafora a fondamento conoscitivo dell’essere umano. D’altra parte, una simile inclinazione sarà riscontrata anche sotto certi aspetti nel linguaggio giuridico, come vedremo meglio nella seconda parte dedicata all’analisi dei casi.

Nella sua logica poetica, Giambattista Vico parla di una facoltà creativa che nasce dal Senso, introducendo una linguistica cognitiva ante litteram per cui la lingua è un sistema anzitutto finalizzato alla conoscenza che permette di realizzare in maneira sistematica i processi cognitivi. Attraverso questa tesi Vico afferma la natura rappresentativa e figurale del pensiero.217

La metafora è per Vico un indizio del funzionamento dell’ingegno, essendo la facoltà della mente umana che consente di creare idee e concetti in base alle immagini del mondo e di spostare la mente al di là di ciò che si vede, si sente, si dice. Attraverso la metafora si può osservare come il pensiero concreto può essere trasformato dall’immaginazione in categorie di pensiero astratto, attraverso spostamenti, slittamenti e più genericamente attraverso trasporti, ovvero dinamiche per mezzo delle quali un un modello viene traslato da un campo di significato ad un altro, dinamiche che permettono per esempio di stabilire metaforicamente che si può parlare del braccio di un fiume o del capo di un albero. Non è un caso che la suggestiva inclinazione vichiana allo studio dei trasporti (delle metafore in maniera particolare) sia stata già ripresa da studiosi che hanno criticamente discusso il tema attuale del governo del corpo, che passa anche attraverso un controllo cognitivo dei nomi scelti per le cose. Come ha sottolineato Eligio Resta, “come il corpo divenga motore segreto del linguaggio o, diversamente, quanto esso costituisca la grammativa fondativa, o esso definisca il gioco platonico del ‘dar nomi a cose’, è raccontato da alcune indimenticabili pagine di Vico tratte dalla Scienza Nuova”.218

E’ il corpo in effetti secondo Vico a costituire l’originario dispositivo della traslazione nei meccanismi di denominazione e in quelli cognitivi; esso è il meccanismo centrale intorno a cui si costruisce la metafisica fantastica vichiana: ”Quello è degno d’osservazione:

217 Che è d’altronde quanto, mutatis mutandis, si vuole sostenere con questo lavoro a proposito del linguaggio giuridico. L’idea che la conoscenza sia essenzialmente metaforica è stata ribadita di recente anche da George Lakoff (Metaphors we live by, University of Chicago Press, 1980), secondo il quale il pensiero è fondativamente metaforico. Lakoff ha sviluppato le sue tesi insieme con Marc Johnson, il quale ha applicato l’idea che il pensiero viva principalmente di metafore anche al diritto, per cui tutto il pensiero giuridico è metaforico.

164

che ‘n tutte le lingue la maggior parte dell’espressioni d’intorno a cose inanimate sono fatte con trasporti del corpo umano e delle sue parti e degli umani sensi e dell’umane passioni. Come capo, per cima o principio; fronte, spalle, avanti e dietro; occhi delle viti e quelli che si dicono lumi ingredienti delle case; bocca, ogni apertura; labro, orlo di vaso o d’altro; dente d’aratro, di rastello, di serra, di pettine; barbe, le radici; lingua di mare; fauce o foce di fiumi o monti; collo di terra; braccio di fiume; mano, per picciol numero; seno di mare, il golfo; fianchi e lati, i canti; costiera di mare; cuore, per lo mezzo (ch’umbilicus dicesi dà latini); gamba o piede di paesi, e piede per fine; pianta per base o sia fondamento; carne, ossa di frutte; vena d’acqua, pietra, miniera; sangue della vite, il vino; viscere della terra; ride il cielo, il mare; fischia il vento; mormora l’onda; geme un corpo sotto un gran peso; (…)”.219 Al di là dei rilievi, che vengono lasciati in questa sede da parte, circa la critica antropocentrica alla teoria vichiana, secondo cui l’uomo primitivo e ignorante fa di se stesso l’intero

mondo, quello che più interessa rilevare è piuttosto la grammatica, la logica

poetica costriuita intorno alla traslazione; ancora una volta, più delle ragioni ci interessa qui osservare i modi, i come: il trasporto diventa il meccanismo per mezzo del quale viene definito ciò che è distante attraverso ciò che è più vicino, ovvero l’ignoto (o innominato) attraverso il noto (o il già nominato). Le figure sono il mezzo attraverso cui la conoscenza procede e si sviluppa, e certo è quasi superfluo, a questo punto, richiamare le osservazioni svolte nella prima parte di questo lavoro a proposito delle connessioni fra metafora e analogia già rilevate da Aristotele, in particolare nella Poetica. Vico aggiunge ancora: “Per cotal medesima logica, parto di tal metafisica, parto di tal metafisica, dovettero i primi poeti dar i nomi alle cose dall’idee più particolari e sensibili; che sono due i fonti, questo della metonimia e quello della sineddoche. Perocché la metonimia degli autori per l’opere nacque perché gli autori erano più nominati che l’opere; quella dè subbietti per le loro forme ed aggiunti nacque perché (…) non sapevano astrarre le forme e la qualità dà subbietti”.220 L’opera di Vico mostra l’origine corporea dei traslati (sineddoche, metonimia, metafora); in particolare, l’attenzione vichiana per la metafora racconta di come l’umanità ha iniziato a conoscere il mondo, a denominarlo, a definirlo e a condividerne i

219 G. Vico, Princìpi di scienza nuova, Milano, Mondadori (2011), p. 222, par. 405. 220 G. Vico, Op. cit., p. 223, par. 406.

165

significati attraverso i trasporti dal corpo umano alla realtà. La metafora è quella “picciola favoletta” che “alle cose insensate da senso e passione”, ed essa ben prima di essere un ornamento del discorso è un dispositivo per la conoscenza primitiva, essenzialmente sensibile (perché in questo caso fondata sull’immaginazione); una forma di conoscenza che è stata detta “pre-logica”, poiché approssimativa e basata su relazioni e connessioni molto più che su formule fisse o su certezze. Le oscillazioni fra immagini e significati, attraverso sineddoche, metonimia, ma soprattutto attraverso il pensiero metaforico, sono indicate da Vico come uno dei modi principali di costruzione del mondo. Procedendo genealogicamente dall’intuizione vichiana all’indietro, è necessario ripartire dalla filosofia classica per ritornare a Vico e per riconnettere poi quest’ultimo al tema centale di questo lavoro.221

L’idea aristotelica di metafora, sviluppata a cavallo fra scienza retorica e scienza poetica, viene recepita dalla cultura latina, la quale ne enfatizza i caratteri della trasferibilità (translatio) e della confrontabilità, ritenendo la metafora una similitudine più semplificata - o abbreviata - e collocandola nella dimensione dell’oratoria; la metafora è a Roma uno degli strumenti dell’oratore, che fra narrazione e persuasione si occupa di stabilire forme di sapere da poter trasmettere, e talora imporre. Cicerone la definisce come “una breve similitudine ridotta a un’unica parola (…) messa in un posto altrui come se fosse il suo”,222 e anche Quintiliano, quando ne parla, conferma la tesi per cui la metafora riguarda un trasferimento e un confronto che si concretizzano in un paragone abbreviato: in pratica, la metafora è vista come una similitudine abbreviata, e dalla similitudine si distingue perché quest’ultima consiste in un paragone con l’oggetto che si vuole descrivere, mentre la metafora è direttamente collocata al posto della parola stessa, e in questo senso essa contiene il rapporto che invece nella similitudine viene reso esplicito attraverso l’uso del “come”. La similitudine si ha quando dico che un uomo si è comportato come un leone, la metafora quando dico, di un uomo, che è un

221 La metaforologia ha da qualche tempo acquisito un nuovo vigore, non a caso gli studi cognitivisti e neuroscientifici hanno riscoperto la metafora quale modalità di pensiero radicata nel pensiero umano. Questo rilevo non desta alcuna sorpresa, considerato quanto finora è stato anticipato a proposito della logica poetica e della metafisica fantastica vichiane, che come si è visto hanno posto la metafora alla base dei traslati su cui si fonda prima di tutto la conoscenza, e in rapporto a questa l’interpretazione.

166

leone.223 Durante il Medioevo viene sviluppata l’idea della metafora come analogia e si afferma l’assunto del trasferimento tra cose animate e cose inanimate: si profila inoltre la tesi secondo cui la metafora può costituire il fondamento di una vera e propria dimensione discorsiva che va al di là della figura in sé, per cui si stabilisce una connessione rilevante fra metafora e allegoria: attraverso una data immagine è possibile sviluppare un intero circuito significativo, fra translatio e transumptio, essendo quest’ultima il procedimento per mezzo del quale il pensiero metaforico può essere esteso dal singolo termine a più ampi segmenti del discorso (transumptio dictionis e

transumptio orationis). Quest’impostazione viene integrata nelle pratiche

stilistiche e letterarie medievali, fino a raggiungere l’apice nei lavori di Dante; con la teoria della transumptio si configura un ampliamento degli artifici discorsivi della metafora in favore dell’allegoria.224

Attraverso questi passaggi, qui soltanto accennati al fine di dare un’indicazione di massima del quadro evolutivo del tema metaforico nel corso dei secoli, una costante resta indiscussa: il processo metaforico è, tanto quanto quello analogico, un processo dinamico che viene applicato diffusamente, i cui centrali aspetti di rilevanza per il lavoro presente sono due, il trasporto e la comparazione. Essi infatti richiamano alcuni dei temi più ricorrenti della teoria del campo analogico, che sono la dinamicità delle prospettive in cui i referenti agiscono, e la commisurazione come dispositivo centrale in ogni discorso incentrato sulla valutazione di identità e differenze. La concezione della metafora come transumptio orationis permette alla figura di diventare il principale tra i tropi, fino a farsi autentico artificio di creazione di pensiero (o metafora di invenzione), come abbiamo visto, nel pensiero seicentesco: durante questa fase si evidenziano in maniera peculiare una teoria della metafora come

brevitas, come «argutezza» e come «maraviglia» nel Cannocchiale del Tesauro

(1654, 1670), e la grande intuizione vichiana, già introdotta nei passaggi precedenti, contenuta nei Principi di scienza nuova (1725). Vico pone la metafora, come si è detto, a fondamento conoscitivo degli uomini primitivi - attribuendole

223 Quintiliano, Institutio Oratoria, VIII, vi, 8.

224 E per esempio l’immagine della selva oscura diventa una cellula metaforica pronta a essere variata nelle sue componenti, per essere declinata ed applicata in contesti diversi e disomogenei.

167

un valore cruciale per il funzionamento del linguaggio, nel quale il parlare figurato e metaforico è antecedente al parlare descrittivo, analitico e razionale.225 Nella Vita della mente,226 Hannah Arendt riprende una considerazione greco-classica per cui (come voleva Eraclito, tra gli altri) gli occhi sono più fedeli testimoni degli orecchi, e pone la metafora a fondamento del pensiero, poiché essa cerca di rendere visibile l’invisibile e effabile l’ineffabile. Così, ancora una volta nel quadro di una concezione analogica, la metafora ha un fondamento iconico, in forza del quale il risultato è una sorta di ‘sesto senso’ percettivo che permette di creare connessioni a volte fondate sulla forma e altre volte sul contenuto: ad esempio, posto che il tramonto sta al giorno come la vecchiaia alla vita, si ritiene metaforicamente che la vecchaia sia il tramonto della vita. Proprio come le segnature di cui parla Foucault, la metafora crea, ha una forza poietica che si mostra nella sua logica poetica, e mette in relazione l’invisibile con il visibile; ciò è possibile, d’altra parte, grazie al ruolo giocato dai trasporti e dalla misurazione, che costitutivamente riguardano la sfera della relazionalità e della traslazione. Per questo, si può affermare che l’idea del trasporto è semanticamente coessenziale al concetto di metafora e di analogia: ciò che conferma, d’altra parte, il fatto che uno dei nuclei segreti del tema analogico è la relazionalità fra parti e tutto (così come quella fra genere e specie); come ha infatti anche notato Roland Barthes a proposito della retorica, ogni analisi del discorso oscilla fra un polo sintagmatico e uno paradigmatico, ovvero fra una dimensione del tutto e una delle parti (che compongono il tutto). E’ proprio nella connessione fra questi due poli, uno più sistematico dell’ordine del discorso (sintassi) e uno figurativo il cui focus viene posto sul ruolo giocato dal singolo elemento, che gran parte degli aspetti rilevanti del campo analogico emergono.

Come Barthes ha fatto per la rivisitazione della classica dicotomia fra polo sintagmatico e polo paradigmatico (o delle figure) per la retorica, anche Ricoeur ha operato una revisione e critica della tradizione retorica della

225 Saltando dal Seicento al secolo scorso, il pensiero metaforico ha conosciuto in Ricoeur un esponente di rilievo, considerato che nella sua teoria la metafora corrisponde alla creazione di un pensiero originale per mezzo di un processo ermeneutico incentrato sulla contraddizione che aggiunge senso, mentre al contrario l’interpretazione letterale tende a semplificare e ridurre il senso. Si veda in proposito P. Ricoeur, La metafora viva. Dalla retorica alla poetica. Per un

linguaggio di rivelazione, Jaca Book (1997).

226 Hannah Arendt, La vita della mente, ed. it. a cura di Alessandro dal Lago, Bologna, Il Mulino (2007).

168

metafora, spostando il problema della metafora da una semantica della parola ad una semantica del discorso e del suo ordine. Sempre per Ricoeur, nella teoria della metafora più della suggestione del segno rileva tutta la struttura semantica che dal singolo e apparentemente slegato segno viene mossa. La metafora viva è costituita da una “scintilla di senso” che è l’integrazione fra l’enuciato metaforico, che non è più da considerarsi come un puro e semplice ornamento stilistico, e un nome improprio, una sostituzione terminologica fondata sulla somiglianza rilevante; la metafora è dunque non più (o meglio non solo) l’integrazione di due termini attraverso un riferimento, ma è una vera e propria forma di predicazione, una predicazione bizzarra, un'attribuzione

impertinente. Proprio come l’analogia non è soltanto un tipo di ragionamento, la

metafora non è un semplice fenomeno di parola, ma un complesso evento testuale e discorsivo che si sviluppa dalla parte e procede nella ricomprensione di questa all’interno del tutto. La parte, attraverso il campo tensionale creato dal pensiero metaforico, è capace di rappresentare altri e diversi elementi della realtà e di scoprire dimensioni ontologiche nascoste dell'esperienza umana attraverso l’immaginazione che permette di creare un senso nuovo proiettando una comprensione del mondo diversa.

L’apertura alla grammatica vichiana come spazio di comprensione del

carattere ad un tempo sintagmatico e paradigmatico del linguaggio serve da sfondo a quanto, nel corso di questo lavoro, viene sostenuto a proposito del discorso giuridico. Il potenziale “poetico” del linguaggio giuridico emergerà in diversi tratti come una traccia da cui è fondamentale partire se si vuole procedere ad un’analisi dell’ermeneutica giuridica che sia ben strutturata.227

E’ dunque a Vico che occorre ritornare per comprendere come il linguaggio giuridico si intrinsecamente connesso con la gran parte degli interrogativi tipici della filosofia del linguaggio; Vico ha infatti affermato che “Quamobrem ex vero confici potest doctrinam de verborum significatione propriam philosophiae iuris partem fuisse”,228 espressione tradotta nel modo seguente: “e

227 Non è sfuggita d’altro canto alla filosofia la capacità performativa del linguaggio, il quale (per dirla brevemente secondo una nota formula) permette di “creare mondi con le parole” (J. Austin, How to do things with words, Harvard University Press, 1975).

169

perciò non ci scosteremo punto dal vero, affermando che la dottrina della significanza delle parole forma parte integrante della filosofia del diritto”.229

171

Nel documento Ana-logica (pagine 162-171)