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L’uno, i molti, il medio

Nel documento Ana-logica (pagine 113-119)

PARTE PRIMA

CAPITOLO SECONDO

5. Predicazione analogica e discorso giuridico

5.2 Omologo, analogo

5.2.1 L’uno, i molti, il medio

Vediamo ora in che modo il rapporto fra le parti e il tutto sia ricostituito proprio attraverso il medio, il che contribuirà ad affermare l’idea secondo cui il pensiero analogico ha fra le proprie funzioni principali quella di creare connessioni fra i singoli enunciati e il discorso. D’altra parte, vista la fondamentale relazione fra analogia e generalizzazione, che sarà analizzata nel capitolo prossimo (cap. III par. II), il discorso deve convergere verso una digressione intorno al rapporto fra parti e tutto in prospettiva storico-filosofica, il che serve da base per tutte le osservazioni che a proposito saranno svolte nella parte centrale, dedicata ad una ricognizione nelle modalità operative dell’ana-logica.

Peraltro, da un punto di vista filosofico la ricomprensione dell’universale nel particolare è il fondamento di ogni discorso intorno a tipi, modelli, esempi, paradigmi, standard, il che significa che questo meccanismo va analizzato già a

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partire da questa sezione iniziale del lavoro affinché la riflessione conclusiva possa essere propriamente integrata dalle necessarie premesse di natura concettuale.

Questa digressione è inoltre fondamentale per una ragione ulteriore: non soltanto l’analogia si coglie quando da un particolare si inferisce qualcosa di un altro particolare (passando per l’universale), come già si è detto; essa infatti non serve soltanto a validare un’inferenza dove vi sia l’assenza di una norma. Il pensiero analogico, sebbene incalcolabile e di quasi impossibile definizione, è l’unico criterio atto a mediare fra le cose e i loro modelli - dunque l’analogia, prima di essere a livello del discorso un dispositivo di connessione fra parti e tutto, genere e specie, è anche e prima di tutto il luogo della ricomprensione fra pensiero e realtà. Per cui un’idea è un’idea perché somiglia alla cosa che rappresenta a livello del pensiero, un esempio o un modello sono tali poiché fra essi e le cose esemplificate vi è un livello tale di somiglianza, e tanto rilevante, da giustificare il fatto che quel preciso particolare sia trattato da modello, esempio (o tipo, o standard): “innegabile è il fatto empirico per cui nella concretezza dell’esperienza si dà volta per volta un’idea, un modello o un codice interpretativo tale da imporsi preferenzialmente su tutti gli altri in astratto compossibili.”139 Attraverso l’analogia diventa “comprensibile l’idealità della tematica, cioè l’impossibilità di ridurre il significato del ‘tema’ a considerazioni strutturali e funzionali. L’immanenza delle idee nelle cose o del significato nella tematica si coglie per intuizione, la quale - nel senso kantiano della Anschaung - fa parte della percezione stessa”.140

Un modello (l’uno ricomprensivo dei molti, per cui è, come tutti i referenti del campo analogico, medio per eccellenza) vale per tutte le cose alle quali si applica, che sono potenzialmente infinite: alla stessa maniera la correlazione fra l’idea di “uomo” e gli uomini che popolano la realtà è riproducibile nei termini uno-molti, dal momento che ogni cosa in concreto ha la capacità di esemplificare tutte le idee delle quali partecipa. Trovare l’uno al di là delle sue individuazioni corrisponde all’operazione giuridica per cui di fronte ad una fattispecie si tenta di risalire ad un concetto generale ed astratto al fine di verificare, ad esempio, se due elementi del discorso siano riconducibili ad

139 E. Melandri, La linea e il circolo (1968; 2004), p. 670. 140 E. Melandri, Op. cit., p. 670.

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un’unica ratio che li ricomprenda (come ad esempio un’automobile o un velivolo potrebbero essere ricompresi nell’idea di “mezzo di trasporto”). La relazione fra l’uno e i molti è biunivoca: l’ana-logica integra infatti forme di rappresentazione dei molti nell’uno e dell’uno nei molti, e più ancora che integrarle in verità ne conosce le istanze e su di esse si basa. Il che è d’altra parte comprensibile se si considera che le idee sono infinite (non solo potenzialmente): secondo una diffusa teoria metafisica, infatti, i qualia pur non essendo infiniti innescano reazioni che procedono all’infinito: ne basta uno, poi col suo complemento da un quale (un’essenza) se ne formano due, e con ciò si duplica questa dinamica all’infinito. L’apertura delle possibilità, che è un carattere proprio della realtà, complessifica, da un lato, il rapporto fra uno e molti; dall’altro però spiega la ragione per cui in sistemi discorsivi come il diritto la logica non sia sufficiente a dominare questa ampia gamma di dimensioni possibili. E’ qui che ad essa viene in soccorso l’ana-logica, che lavora proprio attraverso dispositivi che coniugano l’universale e il particolare.

Stabilito dunque che l’ana-logica è anche un criterio di mediazione fra l’uno e i molti, prima di concludere è ancora utile integrare qualche brevissima osservazione sul principio di individuazione, tema centrale di tutta la tradizione metafisica occidentale, a partire dai presocratici per arrivare ad Aristotele sino alla filosofia moderna. L’individuazione è infatti quel meccanismo attraverso cui da una sostanza universale si individuano, letteralmente, i singoli enti e vengono ad esistenza, per cui tale meccanismo ha a che fare direttamente con la relazione coessenziale che lega universale e particolare, mostrando come quest’ultimo di fatto derivi da un tutto universale con cui, per essendosi da esso distaccato ed individuato, condivide pur sempre con esso alcuni caratteri. Il principium individuationis è un criterio o elemento della determinazione ontologica dell’ente singolo - che rende ragione della sua unità e indivisibilità e quindi della differenziazione di due cose l’una eguale all’altra o, laddove la sostanza comune o universale sia intesa come ontologicamente prioritaria, di più individui esistenti in una stessa specie. Esso è anche, d’altra parte, il principio della conoscibilità dell’ente singolo e richiama il grande problema logico e metafisico dell’identità e della differenza, poichè proprio sulla base del processo di individuazione si possono ricostruire somiglianza (sulla base di identità e differenze) fra il particolare e l’universale o

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fra due particolari in rapporto all’universale.141 In effetti, da un punto di vista

metafisico la conoscibilità dell’ente singolo riguarda la possibilità che due enti possano essere accostati per mezzo di una somiglianza rilevante, per cui la conoscenza è molto spesso basata sulla somiglianza, il che conferemerebbe l’idea per cui tutto il pensiero, umano in genere e giuridico nella specie, sia analogico prima ancora di essere logico, poiché soltanto attraverso l’ana-logica si può conciliare quell’armonia tra forme e contenuti necessaria per trovare conformità fra realtà e scienza. Il principio di individuazione ha peraltro una rilevanza centrale in questo lavoro, essendo direttamente correlato al principio di analogia: il mondo, che è unitario (ovvero riconducibile ad un’unica sostanza), appare invece differenziato, variopinto, e caratterizzato da una fondamentale molteplicità, apparendo sotto le infinite forme del principium

individuationis: questo, attraverso lo spazio e il tempo, costituisce il criterio e

insieme il fattore di frammentazione della realtà in tante cose individuali, distinte fra loro ma in qualche modo sempre riconducibili ad unità. Al principio

141 Tale principio ha avuto diverse applicazioni a seconda delle epoche e dei contesti di volta in volta interessati, uno fra i quali è la dicotomia forma - sostanza nel mutamento dell’essere in Aristotele, che poi più tardi nella scolastica per Averroè corrisponde al sostrato per la ricezione degli accidenti dato dalla forma, la quale finisce così per costituire il principio di individuazione. Interrogandosi sullo statuto ontologico degli enti naturali, e ricercando quindi i principi che diano ragione del loro mutamento, Aristotele ha elaborato una teoria della composizione degli enti sulla base della distinzione di forma e materia, per cui laddove la prima determina l’ente nelle sue qualità specifiche o in quelle accidentali, la seconda offre un sostrato permanente al mutamento, garanzia a un tempo del divenire e dell’identità della cosa con sé stessa. In tal senso, se ciò che accomuna più individui di una specie è la forma, la materia – capace di recepire i contrari – individua la forma, spiegando a un tempo la distinzione nell’essere e il mutamento della cosa. A partire dal sec. 12°, con il processo di traduzioni che porterà alla conoscenza dell’intero corpus degli scritti aristotelici nonché di alcune fondamentali opere dell’esegesi araba, l’individuazione torna a essere considerata sul piano metafisico. Fondamentale è la posizione di Avicenna che, introducendo fra l’altro il concetto di ‘forma della corporeità’, trova l’individuazione delle sostanze sensibili nell’estensione spaziale che realizzata attraverso la materia, l’unica dimensione in cui è possibile ricevere l’insieme degli accidenti. A individuare la cosa come tale non è quindi la materia prima e comune, che attiene soltanto al piano potenziale, ma la materia estesa, ovvero la materia che, entrando in composizione con la forma, è di volta in volta sottoposta a una determinazione quantitativa.

Leibniz, che al principio di individuazione dedica la Disputatio metaphysica de principio individui (1663), elaborando la soluzione nominalista, giunge alla concezione dell’individuo come determinato dall’insieme dei suoi predicati (omne individuum sua tota entitate individuatur), che sono però infiniti e dunque conoscibili nella loro totalità soltanto da Dio. D’altra parte per Locke – le cui intuizioni saranno poi riprese, fra gli altri, da Schopenhauer – il principio di individuazione va ricercato nelle determinazioni spazio-temporali. Molto più avanti Strawson introdurrà l’idea di “reference” come approdo della teoria sul principium individuationis; per Strawson l’uso e non l’espressione in sé può essere considerata “uniquely referring”: non v’è nulla di inerente ad una definizione che fa sì che essa si riferisca esclusivamente ad un oggetto; per Strawson le espressioni non si riferiscono, in generale, a nulla, ma è l’uso che fa di un’espressione un meccanismo di riferimento fra nomi e cose. Il principio di individuazione si pone nella prospettiva di Strawson come spiegazione intorno ai possibili usi di un’espressione.

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di individuazione deve dunque essere accostato il principio di analogia, per cui tutti gli esseri, essendo parti della natura, presentano (proprio a causa di questo elemento comune) fra loro un’analogia.142

142 A questo proposito si deve aggiungere che Schopenauer ha ritenuto che, per il solo fatto di essere parte della natura, ciascun individuo ha un’analogia con se stesso, in quanto soggetto facente parte della natura. Allo stesso modo, se il cuore dell’esistenza di un soggetto è la volontà di vivere, tutti gli esseri saranno anch’essi animati dalla volontà di vivere. Non stupisce che un romantico come Schopenauer utilizzi, per arrivare al nocciolo della sua teoria sulla volontà, anzitutto un principio analogico: se è vero che scopro che al fondo di me stesso c’è la volontà di vivere, negli altri esseri della natura ci sarà la stessa entità. Il romanticismo, come si dirà più specificamente a proprosito della dottrina sulla “natura dell cosa” nella terza ed ultima parte del lavoro, ha fatto spesso ricorso a simbolismi, analogie e simpatie fra gli enti che compongono la natura (tanto che uno dei dibattiti più interessanti sull’analogia fra i romantici riguarda alcune tesi di filosofia della natura in Fichte e Schelling). Mondo della conoscenza e mondo della rappresentazione vengono in contatto attraverso inclusioni, come avviene per l’arte (e per la musica in particolare).

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