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Correlazione o congruenza?

Section I: The Terms of the Debate

2. Correlazione o congruenza?

Si può parlare di corrispondenza in due modi differenti. La si può considerare come una “correlazione” (1) o come una “congruenza” (2). Nel primo caso, come fa Moore, non è necessario cercare la struttura di un fatto per poi asserire un isomorfismo tra essa e la proposizione corrispondente: noi, più semplicemente, abbiamo bisogno di sapere quali tipi di fatti devono esistere per rendere vera una proposizione. Ma, appunto, quali tipi di fatti sono richiesti? Noi potremmo evitare questo problema cercando di formulare il concetto di correlazione in maniera diversa, cioè riferendoci al concetto di “stati di cose”, piuttosto che a quello di fatti, come fa John L. Austin, schierandosi a favore di un uso ordinario del termine “fatto”94.

Bradley 1907. La differenza è che il realismo di Russell spinge i giudizi verso la realtà, mentre Bradley spinge la realtà verso il piano epistemico dei giudizi. Secondo Lynch 2001, p. 120 “Se IT [identity theory] è presa come una visione realista della verità sembra dipendere da quale termine, 'proposizione' o 'fatto' ha priorità esplicativa”, tr. it. mia.

93 Se Russell è ambivalente circa la loro esistenza, Armstrong 1997 li rifiuta mentre Beall 2000 li

sostiene.

È sua opinione che l'idea di correlazione tra frasi e stati di cose è puramente

convenzionale, senza nessun impegno verso il come la realtà è in sé. Si capisce come

all'interno di quest'impostazione ogni idea di struttura e di isomorfismo viene meno. Ma il problema qui è un altro, legato alla nozione di stati di cose, e alla sua vaghezza: si tratta di entità complesse? In che cose differiscono questi stati di cose dai fatti? Entrambi sembrano contenere oggetti e proprietà. Solitamente si definiscono gli stati di cose come cose che possono realizzarsi o meno. Generalmente concepiamo i fatti come fattori di verità, lo stesso non và detto degli stati di cose: se gli stati di cose possono esistere o no, e i portatori di verità (qualunque essi siano) possono essere veri o falsi, ai fatti manca la dimensione della possibilità. Proprio per questo, solitamente i fatti e non gli stati di cose sono considerati come fattori di verità: solo questi ultimi hanno la necessità che è richiesta affinché qualcosa giochi il ruolo di fattore di verità rispetto a un portatore di verità95. Possiamo dunque dire che se gli stati di cose contengono oggetti e

proprietà, i fatti li legano insieme. I fatti sono allora stati di cose che giungono ad esistenza. Ma da qui originano problemi sia per i fatti che per gli stati di cose. Come possono gli stati di cose correlarsi a proposizioni se non passando attraverso i fatti? E allora, quale dei due poli ha un ruolo maggiore nel determinare un fatto? Lo stato di cose che ne è alla base o il sistema epistemico che ne permette il riconoscimento? Questo è un altro modo per leggere il problema del realismo, e nuovamente la domanda sulla priorità della realtà (stati di cose, realtà non-epistemica) o delle giustificazioni a disposizione del soggetto in cerca di una conferma della sua pretesa di verità.

Per quanto riguarda la congruenza (2), possiamo riferirci alla teoria russelliana della credenza come relazione multipla, presentata nel suo The Problems of Philosophy96.

Possiamo mostrare agilmente il contenuto di questa teoria seguendo la spiegazione che ne dà Giorgio Volpe: se A pensa che B ama C, questa credenza è una relazione determinata tra quattro termini: A, B, C e l'Amore (rispettivamente soggetto, oggetti e relazione). Ogni credenza ha una direzione (è B che ama C e non il contrario). Questo fatto complesso, costituito da quattro termini e una direzione, è ciò a cui una credenza si riferisce ed è ciò che rende vera una credenza per via della sua esistenza, e – ancor più importante – della sua “struttura”97. In parole povere, Russell pensa che per rendere vera

qualcosa, è necessario che i fatti abbiano la stessa struttura delle proposizioni, credenze, enunciati che si stanno giudicando secondo la verità. Se questa formulazione sembra essere compromessa con una posizione epistemica (che spinge i fatti verso le proposizioni), possiamo esporre anche l'equivalente non-epistemica: proposizioni, credenze, ed enunciati hanno bisogno di avere la stessa struttura dei fatti a cui si riferiscono per poter essere vere.

1911, pp. 247-276 e Austin 1950. Qui la relazione non è strutturale: fatti e proposizioni si relazionano come “whole units”, piuttosto che “one-to-one”, Lynch 2001, p. 121.

95 Cfr. Wetzel 2008 con particolare riferimento a Valicella 2000. 96 Russell 1912.

97 Volpe 2005, p. 101, riferendosi alla nozione di proposizioni strutturate vista sopra. Lynch 2001, p. 120

sostiene che “non sarebbe accurato chiamare IT [identity theory] una teoria corrispondentista della verità, dal momento che secondo CT [correspondence theory], la corrispondenza è una relazione a due posti, mentre l'identità è una relazione a un posto [one-place relation]”, tr. it. mia.

Un'evoluzione di questa teoria è l'atomismo logico, impostato da Russell seguendo le idee che Ludvig Wittgenstein esponeva nel suo Tractatus logico-philosophicus. In particolare, è bene evidenziare la distinzione che qui si avanza tra proposizioni “atomiche” e “molecolari”, a seconda della loro complessità logica: le seconde sono composte da più proposizioni atomiche connesse attraverso connettivi logici (espressioni come “e”, “o” e così via). Le proposizioni atomiche fissano il valore di verità di tutte le proposizioni di un linguaggio.

Tuttavia, anche se utile per evitare l'idea dell'esistenza di fatti negativi (“X non è Y” è vera non perché è un fatto che “X non è Y” ma perché questa proposizione è falsa), questa posizione non è esente da problemi, primo tra tutti l'idea controintuitiva che le proposizioni atomiche segnino il limite di tutto ciò che c'è nel mondo98; inoltre, non è

così facile completare il progetto di portare alla luce tutte le proposizioni atomiche di un linguaggio, tanto più che è problematico lo stesso limite che segna cosa conta come proposizione “atomica”.

Vale la pena, infine, notare che recentemente vi sono state alcune interpretazioni della teoria corrispondentista della verità come una relazione causale secondo cui “la verità di una proposizione consiste nel riferimento delle sue parti ad una realtà oggettiva” e la relazione di riferimento è una relazione “fisica o causale tra parole e il mondo”99. Su

questa relazione causale qualcosa in più va detta. Intuitivamente siamo portati a ritenere che il criterio per decidere cosa esiste è quello di decidere cosa ha “potere causale” in senso lato. Secondo questo principio intuitivo, dunque, “essere reale equivale ad avere

poteri causali”100. Tuttavia, una versione più inclusiva (e, mi pare, anche più intutiva) è

quella che si riferisce al Sofista di Platone, dove si afferma che “ciò che possiede una potenza [...] o di fare un'altra cosa qualsiasi, o di subire anche la più piccola azione da parte dell'agente meno importante [...] è una cosa che realmente è”101. Secondo questo

criterio, il mondo è composto da “oggetti di media grandezza che possiamo incontrare nel corso della nostra esperienza quotidiana”, da “oggetti microscopici e macroscopici esperibili [...] tramite lo strumentario tecnologico delle scienze naturali” così come dagli “oggetti semplici e complessi che le scienze umane richiedono per fare funzionare il proprio apparato esplicativo” come associazioni politiche, banche, multinazionali, avendo essi “il potere di indirizzare le persone verso determinati comportamenti”. Si tratta, per questi ultimi, di “oggetti non concreti – almeno, non concreti come una pietra”102. Tale allargamento oggettuale è dovuto all'allargamento del concetto di causa,

comprendente tutto ciò che ha un ruolo “effettivo” nelle nostre vite, anche se è un ruolo non iscrivibile nella struttura causale della realtà naturale. Sempre su questa scia, si possono considerare reali anche gli ideali, che svolgono un ruolo di guida, e i valori estetici e religiosi103.

98 Essendo la nostra natura limitata, anche ciò che possiamo concepire è limitato.

99 Lynch 2001, p. 122, riferendosi a Davidson 1967 e Field 1972. Per una discussione rimando a Caputo

2015, pp. 109-111.

100 Dell'Utri 2015, p. 56.

101 Ibid, con riferimento a Sofista, 247e (corsivo di Dell'Utri).

102 Ivi, p. 57. Quest'idea di una diversità di livelli irriducibili e di gradi di indipendenza sarà ripresa nei

capitoli finali del presente lavoro.

Tale approccio causale all'ontologia non è in contraddizione con l'approccio “comunicativo” che ho adoperato fin dall'inizio, presentando il problema filosofico del realismo come quello di definire la realtà (come distinta dall'apparenza) in base alle nostre verità e le nostre verità (come distinte dalle mere giustificazioni) in base alla realtà. Tale approccio comunicativo è la via ideale per impostare la relazione realtà- verità in un modo che si adatti al meglio alla filosofia habermasiana che parte, infatti, dalla comunicazione e non dall'ontologia104.

Per Habermas, come vedremo, qualunque riconoscimento causale dipende dalla disponibilità culturale di determinate risorse che permettono il riconoscimento di una particolare relazione di causa-effetto. L'apparente contraddizione si risolve, dunque, una volta convenuto che l'attribuzione di un potere causale ad un oggetto è l'attribuzione di una proprietà, che altro non è che una verità. Per esser chiari: dire che “il calore è la causa dell'ebollizione dell'acqua” (con cui, secondo quanto detto poc'anzi, si accetta l'esistenza del calore nel corredo ontologico del mondo) sottointende la verità della stessa affermazione, la cui esplicitazione è “è vero che il calore è la causa dell'ebollizione”105.