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La teoria del limite ideale di Peirce

Section I: The Terms of the Debate

1. La teoria del limite ideale di Peirce

Secondo Charles Sanders Peirce, una di quelle differenze che non fa differenza alcuna è quella tra proposizioni vere e proposizioni false, come è stata generalmente concepita dai sostenitori delle teorie corrispondentiste della verità – ovvero basata sull'assunto di una realtà indipendente che invera o falsifica le nostre proposizioni (eredità del vecchio dualismo tra soggetto e oggetto)164. Possiamo concepire agilmente la differenza tra

verità e falsità (esser vero ed esser falso) senza per ciò richiedere un impegno metafisico. Infatti, se non possiamo conoscere la corrispondenza delle nostre credenze con una realtà indipendente, questa differenza non fa alcuna differenza per la nostra pratica. Come un'alternativa alla teoria corrispondentista della verità (come viene concepita, ad esempio, dal realismo metafisico), Perice mira a mantenere la distinzione tra vero e falso ma in maniera pragmatica, senza impegnarsi verso l'idea di una realtà indipendente a cui le verità devono corrispondere. Egli sviluppa perciò una teoria del “limite ideale”, basata sull'idea che una proposizione è vera se sarà considerata tale dai membri della comunita scientifica “alla fine della ricerca” (at the end of the inquiry)165.

Ma qui ci si trova davanti ad un aut aut:

a) una proposizione è vera perché sarà riconosciuta tale dai ricercatori dotati delle migliori risorse epistemiche disponibili;

b) o perchè è vera indipendentemente dal riconoscimento umano del suo valore di verità166?

Questa teoria riduce enormemente il riferimento ad una realtà indipendente, mirando piuttosto a definire la verità in termini epistemici – ma non idealisti – cioè optando per (a). Alcuni problemi, tuttavia, si annidano proprio all'interno di questa strategia, come quelli che derivano dall'idea che una proposizione giustificata sotto condizioni ideali non possa poi rivelarsi falsa in futuro (alla luce di nuove conoscenze) e dalla possibilità di un'ipotesi che sia vera o falsa ma di cui noi non potremmo mai scoprire il valore di verità (come quella che forse il sette luglio del 1950 un irlandese ha detto “good bye” 3000 volte)167. Queste proposizioni sono chiamate “minima trivialia” da Wolfgang

Künne: se noi neghiamo la loro verità, allora ci troviamo nella scomoda idea di un'indeterminatezza metafisica del passato (simile alla ben più comprensibile indeterminazione metafisica del futuro).

164 Peirce 1878. 165 Volpe 2005, p. 161.

166 Questa posizione tende al realismo aletico, secondo cui ci sono stati di cose che sono totalmente

inaccessibili alla conoscenza umana: proposizioni a loro riguardo sarebbero vere o false indipendente dall'accessibilità alle stesse da parte del genere umano. Cfr. Alston 1996.

Quest'indeterminatezza conduce all'idea che la realtà abbia qualche gap o buco; dall'altro lato, se queste proposizioni avessero un valore di verità, allora una teoria epistemica della verità – sviluppata alla maniera peirceana – sarebbe “estensionalmente inadeguata”, lasciando fuori dal raggio epistemico alcune proposizioni che possiedono un valore di verità senza essere però giudicabili168.

Sembra che Peirce opti per una concezione eccessivamente ottimista circa i risultati della ricerca scientifica, negando un valore di verità a tutte quelle proposizioni che mancano dell'evidenza richiesta per convincere tutti i membri di una comunità scientifica e sovraccaricando il valore delle giustificazioni epistemiche sotto condizioni ideali. Infatti, anche se in una situazione epistemica ideale, le giustificazioni sono

sempre prospettiche169. È interessante notare come Peirce intende spiegare la

convergenza dei diversi membri di una comunità scientifica sulla stessa credenza: secondo lui ci sarebbero degli oggetti esterni reali che regolarmente agiscono sui nostri sensi portando sulla stessa direzione le opinioni dei ricercatori. Ma che dire allora delle proposizioni sugli eventi passati? Come potrebbe la realtà del passato collegarsi ai sensi di ricercatori presenti e futuri, e come potrebbe far ciò esattamente nello stesso modo (in maniera uniforme), portando le loro menti nella stessa direzione unica e universale? Si potrebbe sostenere ciò solo se i ricercatori potessero viaggiare indietro nel tempo, per lasciarsi influenzare (sensibilizzare) dagli eventi passati, ma questa è pura fantascienza170.

Un altro problema per la posizione di Peirce consiste nel fatto che lui considera realtà come la somma delle credenze che caratterizzano una comunità al limite ideale della ricerca. Ma allora o la realtà è un Ready-Made World che i ricercatori cercano di afferrare, o è costruita dalle nostre credenze che si rivelano vere “on the long run”171.

Rifiutando il realismo metafisico, egli opta per la seconda strada e ci fornisce una concezione della realtà che è eccessivamente dipendente da ciò che i futuri ideali ricercatori penseranno, e in questo modo il suo peso ontologico non è abbastanza forte da dare conto del potere causale che egli attribuisce a questa realtà per spiegare il consenso (convergenza) dei ricercatori. In quest'ottica, con buone ragioni Dell'Utri sostiene che il realismo epistemico di Peirce è troppo debole, tanto che sfiora l'idealismo: la realtà non ha indipendenza perché è costituita da tutti gli effetti che sono percepibili attraverso i sensi (in un futuro ideale), e quindi non ci sono aspetti della realtà che sono reali senza essere (almeno potenzialmente) empiricamente percepibili, come un realismo di senso comune sembra sostenere172.

168 Caputo 2015, pp. 71-72. Künne 2003, p. 396. Cfr. anche Salis 2015, pp. 240-244: tali “lacune nella

realtà” sarebbero negate dal realista. L'impossibilità di rispondere a certe domande qui ed ora non determina l'assenza di una risposta tout court: dire che esistono lacune nella realtà sembra spezzare la continuità e la generalità dei legami causali tra eventi. Le lacune possono riguardare semplicemente la nostra conoscenza della realtà: l'idea di enunciati attualmente indecidibili è “una base troppo tenue per una conclusione così forte come l'esistenza di lacune nella realtà”, ivi, p. 242. Secondo Salis, la stessa attività scientifica riposa su questo presupposto di tipo realista.

169 Volpe 2005, p. 166. 170 Jardine 1986.

171 Volpe 2005, pp. 166-170. 172 Dell'Utri 2004, p. 164.