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La critica al modello di Luhmann

Section I: The Terms of the Debate

2. La critica al modello di Luhmann

Al fine di far emergere la peculiarità della posizione intersoggettivistica habermasiana, è interessante la critica di Habermas al modello sistemico sviluppato da Niklas Luhmann, accusato di non tenere in adeguata considerazione il peso degli individui e del

riconoscimento nella formazione e nel mantenimento della società326. L'importanza del

dibattito Habermas-Luhmann è riconosciuta dalla stesura congiunta di un libro-dibattito intitolato Teoria della società o tecnologia sociale, in cui i due autori si confrontano sui punti di convergenza e di divergenza tra le loro rispettive posizioni. È un dibattito molto serrato in cui emerge il tentativo habermasiano di sventare il rischio di “sociologismo” a cui la posizione luhmaniana sembra prestare il fianco327. Luhmann, infatti, non

riconoscerebbe all'individuo la possibilità di un “rifiuto” dell'ordine sociale corrente e quindi non riconoscerebbe quella normatività che consiste nella libertà di imporre un ordine diverso allo stato di fatto, a seconda del valore a cui si sceglie di vincolare il proprio agire. Senza tale possibilità, ovvero senza poter distinguere l'individuo dal sistema sociale (o dai comportamenti adattativi della specie), non sarebbe possibile una teoria critica della società perché l'individuo non avrebbe l'autonomia sufficiente a intraprendere il distacco critico dalla realtà e intervenire in essa con misure volte ad adeguarla all'ideale.

La categoria fondamentale in questo contesto è quella del “riconoscimento”: in una teoria sistemica, dove tutto è ridotto a relazioni funzionali (dove essere e dover essere, fatti e norme, sono trattati come equivalenti funzionali), questo concetto non ha ragion d'essere. Per Habermas, invece, il riconoscimento è fondamentale per la tenuta dell'integrazione sociale degli individui e per la possibilità di una teoria dell'evoluzione sociale che, diversamente da quanto accade nel mondo meramente organico, avvenga su base razionale più che su quella soltanto funzionale-adattativa328. Infatti l'uomo non è

meramente un organismo biologico che basa il suo stare al mondo soltanto su relazioni adattativo-funzionali: il bisogno di vedere nella realtà un ordine sensato è connaturato all'uomo fin dagli inizi ed è questo il motivo per cui gli ordinamenti legittimi durano soltanto finché sono accompagnati dal riconoscimento della loro validità. Habermas e Luhmann optano entrambi per l'inserimento della categoria del senso nella propria teoria sociale ma il disaccordo tra i due nasce relativamente all'origine dell'identità di significato che sta alla base dell'attribuzione del senso.

Per Habermas, l'abbiamo visto, essa non nasce dalla somiglianza delle reazioni comportamentali a stimoli uguali ma è da ricondurre al riconoscimento intersoggettivo della validità di una regola da cui si origina l'identità del suo significato.

325 Ivi, p. 23, tr. it. p. 19.

326 Habermas, Luhmann 1971, p. 142, tr. it. p. 95.

327 Si tratta del rischio di ridurre l'individuo alla società. Cfr. Izzo 2005, p. 143. 328 Per un'analisi del concetto habermasiano di evoluzione sociale cfr. Schmid 1982.

Più complicata è la posizione di Luhmann che, secondo Habermas, non riesce a distinguere adeguatamente il momento della regolarità (fattualità) da quello della validità. Tale limite ha notevoli conseguenze nello sviluppo della sua teoria della società perché genera la difficoltà dell'associare individuo e società senza far riferimento al concetto di legittimità, inteso come riconoscimento di sensatezza (e validità) dell'ordine di cose vigente. Tale ostacolo viene superato da Habermas in una prospettiva wittgensteiniana-meadiana329. Entrambi gli autori sono del parere che il senso debba

essere uno dei concetti fondamentali della sociologia, eppure una differenza sostanziale c'è:

“Punto di partenza della sua analisi rimane il soggetto isolato. Questo non è casuale, infatti, l'impostazione teoretico-sistematica impone lo stesso concetto monologico di senso (trascurando il fondamento dell'intersoggettività) [...] In luogo di ciò, io vorrei proporre di ricondurre l'identità del significato al riconoscimento intersoggettivo di regole, in cui le regole sono contraddistinte, prima delle regolarità empiriche, dalla loro validità normativa”330.

Il rapporto tra individuo e società è un problema di delimitazione. Si può propendere allora per una priorità della società sull'individuo – e sostenere, ad esempio, un determinismo sociale sull'identità individuale – o, viceversa, riconoscere il ruolo dell'individuo nel determinare lo spazio sociale – che quindi si rivela plasmabile. Se in un caso si perde l'autonomia dell'identità individuale e si pongono le basi all'ineludibilità delle ideologie331, nell'altro si perde l'oggettività del mondo sociale,

ovvero delle regole sociali che ci stanno davanti come oggettive e con cui non si può fare a meno di confrontarsi. Dal giusto equilibrio tra questi due poli dipende la possibilità della teoria critica, mirante a togliere legittimità a quanto giudicato ideologico, senza tuttavia distruggere la possibilità di stabilire un ordine sociale non ideologico.

Solo con una giusta dose di autonomia individuale si può sensatamente parlare di legittimazione e criticare un sistema giudicato ideologico: una legittimazione che viene da individui-automi non è una vera legittimazione, poiché essa richiede piuttosto razionalità e riconoscimento di validità. Tuttavia, partendo da un concetto intersoggettivo di identità, l'emancipazione dell'individuo (obbiettivo della teoria critica) non è da intendere alla stregua di un affrancamento dalla società (che con le sue influenze e manipolazioni agirebbe a scapito del singolo e a favore del potere), bensì come riscatto dall'isolamento e dall'anomia cui un certo tipo di società (ideologica) conduce gli individui.

329 Habermas critica anche la teoria funzionalistica della verità di Luhmann: la verità non è un'invarianza

che si dà a livello fattuale, ma un'invarianza riconosciuta, che ha valore normativo. Senza questa pretesa normativa noi non possiamo distinguere le pretese la cui validità poggia sull'autorità o sulla costrizione da quelle pretese la cui validità è criticabile e motivabile. Habermas, Luhmann 1971, pp. 224-225, tr. it. p. 151.

330 Ivi, p. 189, tr. it. p. 127.

331 Habermas 2002 si concentra proprio sul rischio che la manipolazione genetica possa eliminare le basi

stesse dell'autonomia individuale, ovvero il riconoscimento dei propri vincoli naturali come non artificiali (nel senso di posti da alti soggetti).

Tale riscatto, a sua volta, è da intendere in maniera fondamentalmente sociale perché è attraverso una socialità pura (comunicativa) che i singoli possono recuperare la loro identità e la loro libertà332. Solo in senso sociale è possibile la creazione comunicativa

dell'identità e della libertà, ed arginare così le tendenze coattive tipiche di ogni ideologia333. La meta è allora la fondazione razionale (rationelle Begründung) delle

prescrizioni culturali, sociali e identitarie “secondo il principio che la validità di ogni norma [...] viene fatta dipendere da un consenso conseguito nella comunicazione libera dal dominio [herrschaftsfreier Kommunikation]”334. È proprio un adeguato sviluppo del

concetto di validità che manca in Luhmann: annullando la distinzione tra fattualità e validità, viene meno quello spazio delle ragioni che consente l'accettazione o il rifiuto delle norme, e quindi lo spazio della legittimità. Questo è quello spazio in cui “le ragioni possono fluttuare liberamente [frei flottieren] e dispiegare senza ostacoli la loro forza di motivazione razionale [rational motivierende Kraft]”335. L'assenza di questo

spazio della legittimità fa si che:

“il nuovo modo di legittimazione che Luhmann costruisce non riposa né sul riconoscimento di tradizioni, né su una convinzione personalmente responsabile del singolo, cioè, legata alla disponibilità alla motivazione discorsiva, ma riposa invece, sull'accettazione meccanica di decisioni burocratiche”336.

Per Habermas, invece:

“la validità delle norme riconosciute intersoggettivamente riposa [...] sull'esigenza ideale che esse possano essere giustificate, in ogni momento, in un discorso pratico; e, nel caso che esse, di fatto, non reggessero a una tale prova, necessita la legittimazione”337.

Con un occhio al mantenimento di questo spazio del riconoscimento, la soluzione più promettente – ma allo stesso tempo più complessa – risulta quella di una via intermedia che riconosca entrambe le forze (del singolo e della società) e questo è quello che fa Habermas appoggiandosi alla psicologia sociale di Mead con la sua costituzione sociale del sé:

332 Pura nel senso di non autoritaria; essa lascerebbe aperto lo scambio dialettico tra rifiuto e accettazione

come motore del cambiamento sociale.

333 Habermas 1981, I, pp. 518-523, tr. it. pp. 515-520.

334 Habermas 1968, p. 344, tr. it. p. 275. Da qui l'importanza data da Habermas al concetto di intesa prima

e di democrazia deliberativa poi, quest'ultimo sviluppato ampiamente in Habermas 1992.

335 Habermas 1999, p. 149, tr. it. p. 144. Una distinzione va fatta, secondo Habermas, tra la forza delle

ragioni e quella delle norme: se queste ultime vincolano la volontà degli attori, le prime la guidano.

336 Habermas, Luhmann 1971, p. 262, tr. it. p. 176. Cooke 1992, p. 272 evidenzia un'identità di

significato in Habermas tra autonomia, “auto-determinazione” (Selbstbestimmung), “auto- realizzazione” (Selbstverwirklichung) e “individuazione” (Individuierung).

“se si considera il fatto che l'identità dei singoli capaci di parola e di azione si può formare soltanto sul livello dell'intersoggettività, nel rapporto con gli altri soggetti, allora l'identità dell'io, come criterio di delimitazione [Abgrenzungkriterium] diventa discutibile [...] L'identità dell'io, l'identità dei singoli e l'identità dei gruppi, l'identità dei gruppi estranei, si formano unu actu. Pertanto una divisione analitica tra sistema sociale e sistema psichico [...] non è sensata”338.

Mead sfuma il confine tra soggetto e socialità, ritenendo che la formazione dell'identità si compie attraverso il medium della comunicazione linguistica e la soggettività dei propri desideri e sentimenti non si sottrae affatto a quel medium. In questo senso, le istanze del io e del me – paragonabili all'io e al super-io di Freud – devono scaturire dal medesimo “processo di socializzazione” (vergesellschaftung): nel darmi del tu, io divento un io339. Io riconosco l'altro come un io perché può prendere il mio posto ed io il

suo, ma è pur sempre un io diverso dal mio340. Infatti

“mentre gli uomini sviluppano la loro individualità in forme culturali di vita, agli animali manca la coscienza dell'individualità. Gli uomini acquistano una specifica nozione di sé come persone che entrano in reciproci rapporti come Io e Altro, Ego e Alter, e nel contempo formano comunità nella consapevolezza della loro assoluta diversità”341.

L'io acquista questa nozione di sé stesso come persona e individuo solo grazie al fatto che cresce in una determinata comunità costituita da relazioni di reciproco riconoscimento tra membri. La soggettività si forma allora nell'imparare ad assumere l'atteggiamento di un altro nei confronti di sé stesso, imparando a tenere in conto diverse prospettive coordinandole. Su queste basi, allora, una sociologia che accetti il senso come concetto fondamentale non può astrarre il sistema sociale dalle strutture della personalità e non può ridurre questa a quello. Questo perchè il senso è legato al riconoscimento intersoggettivo (e non a mere regolarità empirico-osservative), e poiché il riconoscimento validante è strettamente connesso all'identità (permeata essenzialmente da ciò che essa riconosce come valido) essa, la sociologia, è sempre anche una psicologia sociale.

338 Ivi, pp. 216-217, tr. it. pp. 145-146. Non c'è riflessione che non si possa ricostruire come discorso

interiore: l'autoriferimento del soggetto avviene col passaggio alla prospettiva della seconda persona.

339 Habermas 1981, II, pp. 92-93, tr. it. p. 625. Sulla priorità o meno del linguaggio sul pensiero cfr.

Ferretti 2005, pp. 3-33. Egli contrappone i sostenitori della concezione comunicativa del linguaggio (Pinker) – per cui esso è sottoposto al pensiero (teoria del codice) – ai sostenitori della concezione cognitiva del linguaggio (Whorf) – per cui esso determina le strutture del pensiero (determinismo linguistico). Questa contrapposizione è alla base del dibattito Habermas-Searle: il primo critica l'impostazione intenzionalistica della teoria degli atti linguistici sostenuta dal collega americano (che incorre nel problema della traduzione del mentale nel linguistico), contrapponendogli la propria impostazione intersoggettivistica. In sostanza, Searle è ancora mentalista secondo Habermas. Cfr. Habermas 1988c, con riferimento a Searle 1969 e Searle 1979.

340 Ciò si lega alla capacità di applicare pronomi personali, secondo i dettami della filosofia di Wilhelm

von Humboldt. Habermas 1970, p. 77, tr. ing. p. 60. Cfr. Humboldt 1830.

Tra le conseguenze del funzionalismo sistemico di Luhmann che derivano dalla mancata

osmosi tra fattualità e validità, c'è la tendenza a giustificare l'ordine attuale solo se

funziona (anche se non legittimato), mentre una teoria della società che voglia dirsi

critica, ovvero che voglia mantenere aperta la possibilità di non riconoscere (e dunque

mutare) l'ordine sociale, non può accettare ciò. Infatti il senso (validità riconosciuta) è alla base del valore fattuale delle norme sociali che dipende dal loro riconoscimento validante.

2.2 Una teoria comunicativa della società