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La svolta comunicativa della teoria critica

Section I: The Terms of the Debate

2. La svolta comunicativa della teoria critica

Quello di Habermas per la teoria critica sembra essere l'interesse costante e il motivo principale di tutte le sue scelte teoretiche che conducono allo sviluppo della teoria dell'agire comunicativo. Dal rapporto polemico con Luhmann e dall'impostazione ermeneutico-sociologica per cui Habermas opta (una sociologia che operi metolodologicamente secondo i dettami partecipativi dell'atteggiamento ermeneutico)

contrapposizione tra le scienze naturali e sociali c'è un concetto obsoleto di scienze naturali. Entrambe si basano su interpretazioni per cui, secondo Habermas, non si tratta di elevare la prassi delle scienze umane ma di deflazionare le pretese di oggettività delle scienze empiriche. Cfr. Hesse 1973 e Hesse 1982.

355 Ivi, I, p. 167, tr. it. p. 193. Tuttavia, Habermas sostiene che il piano teoretico non è extramondano ma

più intramondano delle relazioni comunicative a cui lo scienziato partecipa virtualmente, poiché si inserisce con maggior profondità in quelle pratiche quotidiane vissute come automatismi (e quindi in modo ingenuo) dai partecipanti. Cfr. ivi, I, p. 178, tr. it. p. 204.

emerge la necessità di mantenere uno scarto tra la fattualità e la normatività che renda possibile l'attività critica. In particolare, è sulle conseguenze della partecipazione virtuale per lo sviluppo di una teoria critica che voglio concentrarmi, perché solo con la distinzione tra atteggiamento teoretico e partecipativo (“oggettivante” e “performativo” nei termini di Skjervheim) è reso possibile quel bifrontismo di cui gode l'uomo (attraverso il linguaggio) con cui egli può volgersi ad uno stesso oggetto (in questo caso la realtà simbolicamente pre-strutturata) o nel ruolo della seconda persona o in quello di una terza persona357. Se non fosse possibile questo distanziamento critico (mai radicale

ma dialettico) dall'oggetto implicito nella prospettiva di una terza persona, non sarebbe possibile enucleare il know how a cui si partecipa performativamente e, oggettivandolo in un know that nell'atteggiamento oggettivante, valutare discorsivamente la possibilità di un intervento critico. Questo bifrontismo è reso possibile dalla capacità di

autocoscienza del soggetto, che altro non è che la possibilità di un dialogo con sé stesso.

L'autocoscienza è quindi un'attività dialogica358. D'altro canto, la teoria critica sembra

riferirsi a un concetto di autocoscienza della società (piuttosto che al concetto di autocoscienza del singolo), intendendo con ciò la possibilità di stabilire un dialolgo

della società con sé stessa.

Ciò che intendo dire è che così come avviene nel singolo, dove la critica mediante la psicoanalisi avviene nel mezzo del linguaggio, anche nella società la critica, mediante una teoria critica, deve basarsi sul medium del linguaggio; così come nel primo caso questo meccanismo linguistico aprirebbe le porte alle possibilità emancipative (che per Habermas sono implicite alla stessa possibilità linguistico-comunicativa), lo stesso vale nel caso della società. Come si vedrà con la teoria degli atti linguistici, è col linguaggio che si costruiscono le fondamenta e le istutizioni della società perché è con esso che si stabiliscono relazioni e promesse, e si coordinano i propri fini con quegli altrui. È il linguaggio il mezzo che costituisce e tiene insieme la società (nel piano della spontaneità dell'agire comunicativo), ed allo stesso tempo è il linguaggio il mezzo per la critica della società stessa (nel piano riflessivo del discorso). La società, infatti, corre il rischio di reificare come assolutamente legittime delle relazioni che invece traggono la loro legittimità solo dal riconoscimento e dall'attribuzione di legittimità da parte dei soggetti.

Così come sono state costruite attraverso l'intendersi reciproco e il consenso e si sono ora automatizzate al punto da costituire certezze d'azione dogmatiche, queste relazioni possono esser modificate nuovamente con la stessa modalità linguistica-discorsiva, capace di ricreare (ad un livello diverso) le condizioni per tornare ad agire comunicativamente su uno sfondo comune su cui vige il consenso359.

357 Tale bifrontismo è dato dall'uso dei pronomi personali e, come si vedra, dalla possibilità di far valere

diverse pretese di validità per uno stesso contenuto proposizionale. É una potenzialità interna al linguaggio che, però, per dispiegarsi ha dovuto attendere un certo grado di sviluppo culturale.

358 Cfr. Swindal 1999, pp. 27-56 sulla relazione dialettica io-non io. Perché una teoria critica abbia inizio,

è allora necessaria una decisione soggettiva, una sentita esigenza individuale, ed è per questo che Habermas non corre il rischio di eliminare la dimensione dell'individualità.

359 Questo rapporto duale tra discorso e agire comunicativo si chiarirà meglio in seguito, una volta

introdotto il concetto di atto linguistico che riproduce questo dualismo nella sua struttura (componente locutiva e illocutiva).

Si chiarisce ora come ciò che l'ideologia vuol far apparire ab-soluto (nel modo delle certezze d'azione indiscusse dell'agire comunicativo), è in realtà frutto di un ben determinato processo (d'intesa), la conoscenza del quale è l'unico modo per operare mutamenti strutturali dello status quo, scardinando l'assolutezza erroneamente attribuita e ristabilendo una nuova legittimità. Ciò, secondo Habermas, avviene attraverso l'ascesa alla dimensione riflessiva del discorso, dove si può ristabilire un consenso sulle certezze di sfondo necessarie a guidare l'azione360. Ma come è possibile un dialogo della società

con sé stessa che sembra necessario ai fini del riconoscimento di questa prospetticità? Il tentativo habermasiano di sviluppare una sociologia ermenutica sembra rispondere proprio all'esigenza di spiegare questo bifrontismo che è concesso all'uomo dal linguaggio. È il linguaggio che rende l'uomo capace di comprendere la società e al contempo di mantenere quell'atteggiamento critico – che si manifesta in una partecipazione meramente virtuale – che solo permette:

“di intervenire drasticamente, se necessario [...] nonché di rivedere errori, correggere malintesi ecc. Le stesse strutture, che consentono l'intendersi, procurano altresì le possibilità di un

autocontrollo riflessivo [reflexiven Selbstkontrolle] del processo di intesa. È questo potenziale di

critica insito nell'agire comunicativo stesso che lo scienziato sociale, entrando in quanto partecipante virtuale nei contesti dell'agire quotidiano, può utilizzare sistematicamente”361.

La teoria critica di Habermas si lega alla sociologia nel momento in cui il fine della prima è la valutazione della società esistente che va compresa in termini sociologici (interesse emancipativo e pratico)362. Se una sociologia intenzionalista ha difficoltà nello

spiegare l'ordine sociale, ovvero come individui separati possano coordinare le proprie azioni e aspettative; se una sociologia sistemico-funzionalista a là Luhmann ha difficoltà a spiegare la nozione di legittimità, perché non riconosce autonomia agli individui; allora solo riconoscendo la centralità del linguaggio è possibile, secondo Habermas, dare conto di entrambi i poli. Solo il linguaggio è il mezzo sia “dell'individuazione” che della “socializzazione”; solo il linguaggio permette di creare e di mutare la società; solo il linguaggio consente il passaggio dalla posizione del partecipante a quella del teorico363.

Il linguaggio, dunque, è mezzo sia dell'ideologia e della critica dell'ideologia, e permette allo scienziato sociale di attraversare liberamente il confine tra il certo e il problematico, tra l'indiscusso e il discutibile, e svelare le ideologie celate nella nostra spontaneità d'azione (comunicativa) aprendo allo stesso tempo la possibilità di una loro dissoluzione (discorsiva).

360 Si concretizza ora il senso di quella proposizione degli anni '60 secondo cui “l'interesse

all'emancipazione non è una vaga intuizione, anzi può essere riconosciuto a priori. Infatti ciò che ci distingue dalla natura è l'unico dato di fatto che possiamo conoscere per sua natura: il linguaggio. L'emancipazione è posta per noi già con la sua struttura”, Habermas 1965a, pp. 1150-1151, tr. it. p. 55.

361 Habermas 1981, I, p. 176, tr. it. p. 202. 362 Cfr. Mollicchi 2012, pp. 113-115.

363 Come Habermas ribadirà in seguito “La lingua 'unisce isolando' [verbindet indem sie vereinzelt] e così

protegge i soggetti comunicativamente socializzati dalla 'degenerazione per isolamento' [vor der