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Senso e partecipazione: un'implicazione necessaria

Section I: The Terms of the Debate

1. Senso e partecipazione: un'implicazione necessaria

La posizione habermasiana si trova a metà tra lo Scilla dell'intenzionalismo (che attribuisce in toto al soggetto individuale il peso della costruzione intersoggettiva del mondo sociale) e il Cariddi della sociologia sistemica (che invece non riconosce il ruolo determinante dell'individuo nel riconoscere le norme sociali e, da qui, farle valere fattualmente). Egli intende sviluppare allora una teoria comunicativa della società che sappia spiegare il rapporto dialettico tra questi due poli attraverso il medium del linguaggio. Come abbiamo visto, alla base di questa teoria comunicativa della società Habermas pone la decisione metateoretica di ammettere il senso come categoria sociologica che consente di distinguere comportamento e azione intenzionale. Da questa decisione dipende la possibilità di una fondazione linguistica della sociologia, dal momento che con la svolta linguistico-comunicativa egli interpreta il concetto generico di senso in maniera linguistica, ovvero come “significato”342. Dall'inserimento o meno

del senso in una teoria sociologica derivano infatti tre implicazioni:

1. la distinzione tra “comportamento” (Verhalten) e “azione” (Handeln);

2. la distinzione tra “osservazione” (beobachtung) e “comprensione di significato”

(Sinnverstehen);

3. la distinzione tra convenzionalismo ed essenzialismo.

Il primo punto porta il nostro autore a sostenere che un comportamento è intenzionale se governato da norme, le quali non accadono come gli eventi ma si basano su un significato riconosciuto intersoggettivamente (intenzione)343. Propendendo per

l'inserimento del senso come categoria sociologica, l'approccio habermasiano diventa “soggettivista” perché concepisce la società come un sistema di vita strutturato secondo il senso mentre un approccio “oggettivista” concepisce il processo vitale della società non come un processo di costruzione ma, esternamente, come un processo naturale (à

la Luhmann)344.

342 Habermas 1970, p. 11, tr. ing. p. 3. 343 Ivi, p. 13, tr. ing. p. 5.

344 Cfr. ivi, p. 19, tr. ing. p. 10. Tuttavia, nel caso di Habermas si tratta di un soggettivismo particolare

La seconda implicazione, invece, distingue osservazione e comprensione come differenti modi di esperienza in cui i comportamenti e le azioni ci sono accessibili: noi

osserviamo i comportamenti e comprendiamo le azioni; se un dato comportamento va

descritto come un'azione, bisogna legare alle caratteristiche di questo comportamento le regole su cui si basa e capire così il significato di queste regole345. L'aggiunta di

un'interpretazione (sulla base del significato) riporta il contenuto osservativo ad una struttura d'azione normativamente/intenzionalmente guidata – e quindi svincolata dalla rigidità delle azioni – per cui è possibile esibire ragioni. La grande differenza, che segna anche la presa di posizione anti-naturalista habermasiana, è che se da una parte l'osservazione di eventi (e dei comportamenti) può essere riportata al gioco linguistico delle misurazioni fisiche, dall'altra le azioni sono accessibili solo attraverso un'esperienza comunicativa e partecipativa, caso in cui si fa ricorso all'ermeneutica; non ogni cosa è comprensibile da una prospettiva naturalistica. Le azioni caratterizzano la realtà sociale in quanto distinta da quella naturale dei comportamenti: ad essa lo scienziato sociale accede attraverso un'ermeneutica il cui status epistemologico necessita però di essere chiarito:

“il problema del 'comprendere' ha assunto importanza metodologica nelle scienze dello spirito e sociali soprattutto perché lo scienziato attraverso la mera osservazione non ha alcun accesso alla realtà simbolicamente pre-strutturata [Wirklichkeit] e perché il comprendere-il-senso non è controllabile sul piano del metodo alla stessa stregua dell'osservazione nel corso di un esperimento”346.

L'agire, diversamente dal comportamento, è orientato normativamente, ovvero gode di quella libertà di agire diversamente da come si agirebbe di impulso (normatività). Esso, infatti, è guidato da significati, regole, norme, che il soggetto riconosce e di volta in volta accetta ma potrebbe non accettare. La loro formulazione e accettazione avviene in maniera linguistica ed è per questo motivo che la loro comprensione assume la forma di un'ermeneutica347. Tale forma del comprendere implica una partecipazione:

“lo scienziato sociale non ha con il mondo vitale un approccio fondamentalmente diverso da quello del profano nel campo delle scienze sociali. Egli deve già appartenere in un certo modo al mondo vitale di cui vorrebbe descrivere le parti costitutive. Per descriverele, deve poterle comprendere; per comprenderle deve poter partecipare in linea di principio alla loro produzione; e la partecipazione presuppone l'appartenenza”348.

dall'influenza meadiana.

345 Si tratta di una distinzione di vecchia data, che si ritrova già nelle concezioni dualistiche dello

storicismo (Dilthey) e del neo-kantismo (Rickert), che oppongono scienze della natura e scienze dello spirito, spiegare e comprendere. Questa controversia non è più attuale secondo Habermas poiché, come abbiamo visto nel capitolo precedente, è stata superata dalla critica al positivismo e dalla svolta post-empiristica dell'epistemologia analitica. Cfr. Habermas 1981, I, pp. 160-162, tr. it. pp. 187-188.

346 Habermas 1981, I, pp. 159-160, tr. it. p. 186. L'insufficienza del punto di vista dell'osservatore per

questo tipo di fenomeni è chiara nel fatto che diversamente dalle osservazioni del comportamento, le cui “regole” (regolarità) sono superficiali, nel caso delle azioni le regole (norme) sono strutture profonde che sono alla base del comportamento.

347 Di tale modalità del comprendere non ha bisogno un'impostazione sistemica che, come quella di

Luhmann, schiaccia gli individui su un funzionalismo di tipo biologico.

Come ricorda Habermas, facendo riferimento alle tesi di Hans Skjervheim, comprendere il senso è un'esperienza di tipo diverso dalla “percezione” di oggetti fisici perché richiede l'assunzione di una relazione intersoggettiva con il soggetto che ha prodotto un'espressione sensata:

“il comprendere-il-senso è [...] un'esperienza non attuabile solipsisticamente perché di natura comunicativa. Il comprendere un'espressione simbolica richiede in linea di principio la partecipazione a un processo di intesa. Significati, siano essi materializzati in azioni, istituzioni, prodotti di lavoro, parole, contesti di cooperazione o documenti, possono essere scoperti soltanto

dall'interno”349.

Per chiarire, lo scienziato sociale per comprendere il senso deve già appartenere al mondo vitale di cui vorrebbe descrivere le parti costitutive, deve poter partecipare – in linea di principio – alla produzione e stabilizzazione di comportamenti sensati. La partecipazione presuppone l'appartenenza, dal momento che una ragione è tale se noi la valutiamo come tale. Seguendo le parole di Habermas:

“l'interprete non avrebbe compreso che cosa sia una 'ragione' se non la ricostruisse con la propria pretesa di fondazione e cioè, nel senso di Max Weber, se non la interpretasse razionalmente. La

descrizione delle ragioni [Beschreibung] richiede eo ipso una valutazione [Bewertung]”350.

Nello stesso momento in cui lo scienziato sociale comprende, esso anche valuta, e questo è il motivo per cui il concetto di partecipazione gioca un ruolo centrale: “l'interprete non può affatto aver presenti le ragioni senza giudicarle, senza prendere posizione su di esse [nicht vergegenwärtigen, ohne sie zu beurteilen] in senso affermativo o negativo”351. Questo è l'unico modo per comprendere le azioni in quanto

distinte dai comportamenti: “se l'interprete si limita all'osservazione nel senso rigoroso del termine, egli percepisce soltanto i substrati fisici delle espressioni senza comprenderle”352.

Tuttavia, si tratta di un modo problematico perché legare il comprendere al partecipare e al valutare: “impedisce all'interprete, come vedremo, di operare quella separazione tra questioni di significato e di validità [Geltungsfrage] che potrebbe assicurare al comprendere-il-senso un insospettabile carattere descrittivo”353. La necessità della

partecipazione – e quindi della valutazione – sembra infatti precludere alla comprensione del senso quel carattere di oggettività di cui godono le scienze naturali, generalmente viste come avalutative perché meramente osservative354.

349 Ivi, I, pp. 164-165, tr. it. p. 191. La realtà simbolica è un universo che sarebbe incomprensibile allo

sguardo di un osservatore incapace di comunicare. Per il riferimento a Skjervheim 1959, cfr. Habermas 1981, I, pp. 163-164, tr. it. pp. 190-191.

350 Ivi, I, p. 169, tr. it. pp. 195-196.

351 Ivi, I, p. 191, tr. it. p. 216. Ecco cosa Habermas eredita dall'ermeneutica: essa afferma, a ragione, una

connessione interna tra questioni di significato e questioni di validità.

352 Ivi, I, p. 168, tr. it. p. 194. Cfr. Bianchin 1995, p. 149: “anche se si potessero prevedere con esattezza

tutti i suoni emessi da una comunità linguistica non si sarebbe in grado di partecipare ad un colloquio”.

353 Habermas 1981, I, p. 160, tr. it. p. 186.

Habermas cerca allora di salvare l'oggettività di questo genere di attività partecipative sostenendo che l'opera interpretativa dello scienziato sociale deve partire dallo stesso contesto e dallo stesso sapere dei partecipanti ma con una finalità diversa (teoretica). Infatti, lo scienziato non è interessato a conciliare i suoi piani con quelli degli altri partecipanti (coordinamento insito nell'intesa cui deve partecipare per comprendere il senso), ma solo alle ricadute teoretiche che sono extra-contestuali, per cui egli è partecipe ma non in maniera completa:

“i diretti partecipanti perseguono nella prassi comunicativa quotidiana degli intenti d'azione [Handlungsabsichten]; la partecipazione al processo cooperativo di un'interpretazione serve a creare un consenso sulla cui base essi possono coordinare i propri piani di azione e realizzare le relative intenzioni. L'interprete scientifico non persegue intenti di azioni di questo genere. Egli prende parte al processo di intesa a motivo del comprendere e non in vista di uno scopo [...] il sistema d'azione, nel quale lo scienziato sociale si muove come attore, si colloca su un altro piano; di regola esso è un segmento del sistema scientifico, comunque non collima [dekt nicht] con il sistema d'azione osservato”355.

Agire e parlare, sebbene legati nella prospettiva di una teoria degli atti linguistici e di un agire comunicativo, vanno tenuti nelle rispettive distanze: in un caso il mezzo linguistico è usato ingenuamente e con finalità d'azione, nell'altro si tratta di un parlare sganciato da contesti d'azione e quindi dalle finalità concrete dell'intesa. Solo così è possibile quel distanziamento minimo che consente allo scienziato sociale di astrarre dal sistema cui si immedesima e produrre un sapere teorico trasformando il know how del sapere implicito della comunità (veicolato nella forma di un agire comunicativo) in un know that che caratterizza il discorso scientifico. Lo scienziato sociale trascende dall'interno il contesto in cui penetra per intervenire criticamente dall'esterno nel ruolo di un “osservatore partecipante” (teilnehmenden Beobachter). È per questa finalità trascendente che la sua partecipazione è meramente “virtuale” (virtuellen), termine che sottolinea l'identificazione soltanto parziale dello scienziato col contesto di cui vuol comprendere il senso356.