• Non ci sono risultati.

Ideologia e teoria critica

Section I: The Terms of the Debate

2. Ideologia e teoria critica

Per una comprensione adeguata del rapporto habermasiano col retroterra francofortese e marxista è necessario chiarire il significato del binomio ideologia-teoria critica, imprescindibile anche per capire le critiche epistemologiche al positivismo (accusato di ideologia) e lo sviluppo successivo del pensiero del nostro autore (che tiene sempre in considerazione prioritaria le conseguenze teoriche delle sue tesi circa la possibilità di salvare uno spazio per la ragione critica). Il termine “ideologia” appare nel Settecento (con Destutt de Tracy) per delineare un'indagine sulla genealogia delle idee a partire dalle facoltà elementari del pensiero e solo con Marx ed Engels (Die deutsche Ideologie, 1845-46) assume la connotazione dispregiativa – con cui verrà ereditato dai francofortesi – di rappresentazione non veridica, ricoperta da giustificazioni illusorie sulla vera realtà dei fatti. In linea con ciò è la definizione che dà Habermas di ideologia:

“Sappiamo dall'esperienza quotidiana che le idee servono molto spesso ad attribuire alle nostre azioni motivi giustificatori invece di quelli reali [wirklichen]. Quello che a questo livello si chiama razionalizzazione, viene chiamato ideologia a livello dell'agire collettivo. In entrambi i casi, il contenuto manifesto di proposizioni è falsato [verfälscht] da un legame irriflesso [unreflektierte

Bindung] a interessi di una coscienza solo apparentemente autonoma”204.

203 L'unione di teoria e prassi è un caposaldo della filosofia marxista. Sull'eredità marxista in Habermas

cfr. Heller 1982. Habermas oppone al riduzionismo dell'ortodossia marxista una visione più ampia in cui la società si sviluppa non solo nella dimensione dell'innovazione tecnologica e del lavoro ma anche nella dimensione dell'interazione comunicativa. Marx, infatti, “non ha potuto cogliere il

dominio [Herrschaft] e l'ideologia come comunicazione distorta [verzerrte Kommunikation] perché

assumeva che gli uomini si fossero distinti dagli animali quando avevano iniziato a produrre i propri mezzi di sussistenza”, mentre Habermas mette l'accento sul concetto di interazione e comunicazione, Habermas 1968, p. 342, tr. it. p. 273. Habermas propone le sue integrazioni alla filosofia marxista specialmente in Habermas 1976 e Habermas 1968a.

Il carattere “oggettivo” dell'ideologia nel senso di “credenza intersoggettivamente condivisa” ne fa un pregiudizio di tipo particolare, più vicino alle “mura di un carcere [Kerkermauern] che di fantasimi”, dal momento che il suo valore intersoggettivo ne complica il disvelamento205. L'ideologia non è infatti un'illusione individuale ma è

qualcosa di ben più complesso, un'illusione diffusa e per questo più difficile da superare: se l'illusione del singolo può venir meno attraverso una relazione sociale in cui l'individuo apprende il suo errore, nel caso di un'illusione diffusa questa possibilità di apprendimento dagli altri non è possibile, essendo essi stessi ugualmente soggetti all'illusione.

Questo carattere oggettivo e totalizzante dell'ideologia deriva dal compito di cui si fa portatrice, ovvero spiegare il mondo (o una parte di esso) nella sua essenza, indiscutibilmente. Per questo motivo essa si impone con un carattere fondazionale e onnicomprensivo che pretende per i suoi asserti un valore assoluto di verità. Questa parvenza di verità l'ideologia la deriva dal suo carattere dogmatico (intransigenza) e fideistico che ne inquina l'effettivo valore epistemico ed esplicativo; questo dogmatismo serve proprio ad arginare il rischio di interrogarsi sull'effettivo carattere puro ed assoluto della spiegazione o descrizione in questione, che ne metterebbe in luce la dipendenza da valori, presupposti e contesti, inficiando l'assolutezza di cui fa vanto. Tale bisogno di assolutezza secondo Paul Watzlawicksembra avere origine dall'incapacità per l'uomo di sopravvivere in un universo privo di ordine e di senso in se e per sé: da qui la necessità di colmare questo vuoto con ideologie totalizzanti e dal carattere essenzialista- fondazionalista206.

L'illusione di verità è quanto una teoria critica vuole render manifesto per “dissolvere

criticamente la non verità esistente” (kritischen Auflösung der existierenden

Unwahrheit) e quindi realizzare un'emancipazione da quegli interessi nascosti che

impediscono una conoscenza autentica dei fenomeni. Tale nascondimento congenito ad ogni ideologia, deriva allo stesso tempo dalla volontà di istituire un dominio, attraverso il controllo della comunicazione e della conoscenza (più in generale, dell'informazione), ovvero decidendo arbitrariamente cosa svelare e cosa no207. Per questo motivo Maeve

Cooke parla di ideologia come una falsa coscienza sistematicamente “indotta”, ovvero una cecità (verso interessi reali) il cui fine è la riproduzione del sistema sociale ed economico da cui origina208. L'istinto di certezza illustrato da Watzlawick viene dunque

sfruttato per instaurare un dominio dal carattere dogmatico. Esso infatti, si impone talvolta sulla base di verità taciute e manipolate, ed è qui che il discorso politico- emancipativo si avvicina a quello epistemologico legato alle possibilità o meno di una conoscenza oggettiva. L'ideologia presenta una visione metafisica della realtà ma che origina da una costruzione il cui disvelamento potrebbe far crollare la forza dogmatica con cui tale interpretazione della realtà (sia essa la realtà oggettiva-naturale o quella sociale) ha necessità di farsi valere per fini manipolatori e di dominio.

205 Habermas 1963c, pp. 310-311, tr. it. p. 81. Egli parla di “pregiudizio istituzionalizzato”

(institutionalisierten Vorurteil), con cui “il dogmatismo assume l'aspetto di ideologia. Da questo momento la ragione impegnata contro il dogmatismo opera sotto il nome di critica dell'ideologia ”, ivi, p. 315, tr. it. p. 85.

206 Watzlawick 1981a.

207 Habermas 1963c, p. 311, tr. it. p. 81. 208 Cfr. Cooke 2006a, p. 11.

Quello che caratterizza l'ideologia è allora la commistione (dal punto di vista epistemologico) tra costruttivismo e realismo metafisico (dogmatico); lo scarto tra questi due poli è colmato dagli interessi che stanno alla base della costruzione e al tempo stesso motivano il presentarsi della stessa come assoluta. Il disvelamento di questa commistione farebbe collassare la pretesa assolutezza della stessa, ed è quanto una teoria critica si propone.

Maeve Cooke intravede le origini della teoria critica fin dal pensiero di Rousseau, in particolare dalla sua idea che l'uomo nasce libero, ma ovunque è in catene, influenzato dalle relazioni e ordinamenti sociali in cui agisce. La teoria critica ha allora di mira la “fioritura umana individuale” (individual human flourishing), nel senso di un individualismo che dà priorità al benessere individuale su quello collettivo e al bisogno, per l'individuo stesso, di essere capace di accettare liberamente una concezione della fioritura umana (autonomia)209. Questi, secondo l'autrice, sarebbero i due cardini di

un'idea di “buona società” (good society) senza la quale l'idea stessa di una teoria critica sarebbe inconcepibile, mancando delle basi etiche per le sue diagnosi critiche: senza un ideale di buona società da portare in essere, lo sforzo teorico-critico di stimolare trasformazioni sociali e cognitive (e disvelare le ideologice) non avrebbe senso210. In

breve, la teoria critica cerca di rendere il mondo un posto migliore. Va detto, tuttavia, che il problema principale per una teoria critica – definita dall'autrice come una riflessione eticamente orientata che guarda criticamente agli ordinamenti sociali dal punto di vista degli ostacoli che essi pongono alla fioritura umana individuale – è quello di non cedere all'autoritarismo nel presentare la propria idea di good society. Si tratta di bilanciare la giustificazione dell'idea che la guida senza imporla come dogmatica. Il dogmatismo, infatti, impedisce un'autentico apprendimento e blocca la re-articolazione creativa di idee potenzialmente emancipative211.