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Razionalità: un concetto epistemico

Section I: The Terms of the Debate

3. Razionalità: un concetto epistemico

Habermas sviluppa una concezione pragmatica della razionalità, in cui essa è legata al come i soggetti utilizzano il sapere e non al mero possesso dello stesso: “quando adoperiamo l'espressione razionale supponiamo una stretta [enge] relazione fra razionalità e sapere”428. Ma il sapere è utilizzabile in vari modi e direzioni. Questa

consapevolezza di una pluralità di usi del sapere è figlia della visione del mondo moderna occidentale ed è quindi frutto di un'“evoluzione cognitiva” e del nostro peculiare “stadio di sviluppo cognitivo” in cui la dimensione ontologica è ramificata (Piaget)429.

Tale differenziazione non si da ad esempio nelle società arcaiche, dove i miti assolvono esemplarmente la funzione unificante di “immagini del mondo”: qui non vi è alcuna netta distinzione concettuale tra cose e persone, tra agire teleologico e comunicativo, tra intervento strumentale e creazione di relazioni interpersonali, tra interpretazione mitica del mondo e dominio magico dello stesso. Questa separazione è piuttosto motivo di quel progresso tecnico-sistemico che caratterizza le società moderne – weberianamente interpretato come legato all'avvento dell'etica protestante – che ha reso possibile quello spirito capitalistico che, scindendo le diverse sfere di valore (concretizzate in sistemi autonomi), assicura al progresso tecnico una strada autonoma e libera da freni inibitori di tipo morale-estetico: finché il sapere del mondo è collegato a etica e religione non si può conoscere in modo autonomo e “disincantato” e quindi avere progressi che non corrono il rischio di esser giudicati “immorali”430. È su questa scia che le società

moderne sviluppano al loro interno diversi sistemi funzionalmente organizzati in relazione agli scopi particolari che perseguono.

Secondo Habermas, Weber riconosce che “con la comparsa delle strutture della coscienza moderna, si disgrega l'unità immediata del vero, del buono e del perfetto suggerita dai concetti basilari religiosi e metafisici” ma egli “si spinge troppo in là allorché dalla perdita dell'unità sostanziale della ragione inferisce un politeismo di forze di fede in lotta fra di loro, la cui inconciliabilità è radicata in un pluralismo di istanze di validità incompatibili [unvereinbar]”431. Per Habermas, invece, la filosofia ha ancora un

ruolo di “interprete” nel tenere unite le diverse pretese della ragione, che si concretizzano in diversi sistemi vitali, diversi usi del sapere, e diverse pretese di validità, presupponendo diversi concetti formali di mondo.

428 Habermas 1981, I, p. 25, tr. it. p. 61.

429 Qui il problema è di ritrovare universalmente i presupposti pragmatici visti prima o di mostrarne la

superiorità. Habermas scarta la prima via (imboccata invece da Apel) e apre dunque all'idea di una

teoria normativa del progresso socio-culturale che possa spiegare l'ipotesi di un raggiungimento di questo stadio evolutivo anche da parte di società che non sono ancora entrate nell'orizzonte post- tradizionale. Questa possibilità può essere sviluppata in direzione riduzionista-naturalista (ma Habermas rifiuta il naturalismo forte di tipo quineano), in una direzione di filosofia della storia (ugualmente problematica per Habermas) o essere evitata in direzione contestualista-rortiana (ma crollerebbe così il richiamo ad un concetto di evoluzione cognitiva nella stessa direzione per tutto il genere umano). Cfr. Cooke 2001, pp. 12-14.

430 Caso esemplare è il processo a Galileo, dovuto alla fusione di scienza e religione, Habermas 1981, I,

pp. 250-251, tr. it. pp. 268-269. Oltre alla scienza, anche l'arte e l'etica si autonomizzano dalla tradizione e dalla religione.

Questa “unità della ragione nella molteplicità delle sue voci” è resa possibile da una razionalità formale e argomentativa:

“proprio sul piano formale del soddisfacimento argomentativo di pretese di validità è garantita l'unità della razionalità nella molteplicità delle sfere di valore [Wertsphären] razionalizzate secondo una propria autonomia [...] argomenti e ragioni hanno almento questo in comune: essi [...] possono dispiegare la forza della motivazione razionale”432.

Proprio questa possibilità di salvare l'unità della ragione almeno sul piano formale, (progetto che costituisce il punto di disaccordo con Rorty)433 è la strada che Weber non

ha intuito, non avendo distinto a sufficienza tra i contenuti di valore delle tradizioni culturali e quel livello più basilare costituito dai criteri universali di valore che organizzano le componenti cognitive, normative ed espressive della cultura in sfere di valore autonome. In questa direzione formale, a tenere insieme la divaricazione crescente dei diversi usi del sapere (e quindi delle diverse forme di razionalità) non c'è più il richiamo alla tradizione, a interpretazioni mitico-magiche della realtà o ad un cosmo ordinato (come quello supposto dal concetto greco di teoria pura), ma il richiamo ad argomenti e ragioni che pur nella diversità dei loro usi sono accomunati dalla stessa forza motivazionale e dalla stessa struttura (atti linguistici).

Come anticipato, in linea con l'idea di una razionalità formale, bisogna attribuire la razionalità di un'espressione/azione (entrambe legate ad un sapere proposizionale, ovvero linguistico) non al possesso di un sapere ma all'uso che di esso se ne fa; non all'efficacia della scelta mezzo-scopo – valevole solo per una classe limitata di azioni e costituente un tipo di sapere specifico – ma alla più generica “criticabilità” di un sapere (incarnato in intenzioni, azioni o espressioni) e alla capacità di fondazione argomentativa come caratteristica universale della razionalità. Da ciò possiamo derivare che un'espressione/azione è valutabile come razionale se è accessibile ad una valutazione oggettiva ovvero se può essere formulata come pretesa di validità trans- soggettiva, e dunque se può essere accettabile e giustificabile anche per altri soggetti, una volta posta in relazione ad uno dei tre concetti formali di mondo434.

Il giudizio di razionalità presuppone la “comprensibilità” che non si dà per i comportamenti ma solo per le azioni, dal momento che essa risiede nell'interpretazione, che è una ricostruzione delle ragioni che producono le azioni.

432 Ivi, I, p. 339, tr. it. p. 352. “In linea di principio una ragione sostanziale che si disgrega nei suoi

momenti può ben conservare la sua unità sotto forma di razionalità procedurale”, ivi, II, p. 451, tr. it. p. 954. Al concetto di “unità della ragione nella molteplicità delle sue voci”, Habermas dedica un capitolo della sua raccolta Nachmetaphysisches Denken intitolato Die Einheit der Vernunft in der

Vielfalt ihrer Stimmen, riferito come 1988g.

433 Sia Habermas che Rorty sono d'accordo sul fatto che il vecchio ruolo di “assegnatrice di posto”

(Platzanweiser) e “giudice” (Richter) sono eccessivi per la filosofia; Rorty, però, sostiene che nel rinunciare a questi ruoli, la filosofia dovrebbe anche rinunciare ad essere il “custode della razionalità” (Hüter der Rationalität) e quindi dovrebbe svanire anche la forza trascendente che noi colleghiamo all'idea del Vero o dell'Incondizionato. Habermas non è d'accordo: invece di assegnatrice di posto, ossia del ruolo proprio della teoria della conoscenza, lui concepisce per la filosofia il ruolo di “sostituto provvisorio” (Platzhalter). Habermas 1983, pp. 11-12, tr. it. pp. 8-9.

Emerge allora il legame della razionalità con il riconoscimento della razionalità: il sapere a partire dal quale si giudica la razionalità o meno di un'azione (o di un'espressione) deve esser accessibile al riconoscimento intersoggettivo. Per il riconoscimento della razionalità è necessaria la “partecipazione”, come abbiamo visto nel caso dell'interpretazione del senso, per cui possiamo dire che la razionalità esiste solo in un orizzonte intersoggettivo, piuttosto che essere una qualità ontologica in sé, un'idea platonica da raggiungere (cfr. il concetto di teoria pura). La razionalità diventa così un concetto epistemico (accessibile), e tale diventa il concetto di verità che altro non è, allora, se non un caso specifico della razionalità (volta al mondo oggettivo). Insistendo sul legame tra razionalità ed uso del sapere è possibile superare la restrizione weberiana del concetto di razionalità alle sole azioni strumentali-strategiche.

Infatti, in relazione all'uso si può distinguere tra un impiego non comunicativo del sapere (razionalità cognitivo-strumentale) ed uno comunicativo (razionalità comunicativa), e quindi tra due direzioni della razionalità: “sotto un aspetto il telos inerente alla razionalità appare come una disposizione strumentale, sotto l'altro come intesa comunicativa”435. Oltre questi due casi, però, definiamo razionale anche chi segue

una norma vigente e può giustificare il proprio agire (normativamente guidato) nei confronti di un critico e persino chi esprime sinceramente un desiderio. Anche in questi casi, infatti, si ha a che fare con l'utilizzo di un sapere valutabile (in relazione ad uno dei mondi oggettivi) come più o meno giustificato, quindi più o meno razionale e allora più o meno sensato436. Abbiamo a che fare, allora, con 4 forme di razionalità:

 una razionalità “cognitivo-strumentale” (tipica della scienza tecnica e delle tecnologie sociali), incarnata in una pretesa di verità e rivolta ad un mondo oggettivo;

 una razionalità “pratico-morale” (tipica del diritto e della morale), incarnata in una pretesa di giustezza e rivolta ad un mondo sociale;

 una razionalità “estetico-pratica” (tipica dell'erotismo e dell'arte), incarnata in una pretesa di veridicità rivolta ad un mondo soggettivo;

 e una razionalità “comunicativa” (tipica delle intese), incarnata in una pretesa di comprensibilità e rivolta al mondo della vita437.

435 Ivi, I, pp. 30-31, tr. it. pp. 66-67.

436 Il concetto di identità è alla base dell'oggettività di cui godono i tre mondi formali habermasiani: essi

devono essere supposti come identici per tutti coloro con cui il soggetto entra in relazione e verso cui fa valere le sue pretese. Solo sotto la supposizione di un mondo oggettivo “è possibile capire perché una proposizione deve essere o vera o falsa [must be either true or false] [...] la supposizione controfattuale di un mondo oggettivo rende significativo l'uso binario dell'opposizione vero/falso”, Lafont 1993, p. 308, tr. it. mia, corsivo nel testo.

437 Per tale catalogazione cfr. Habermas 1981, I, p. 326, tr. it. p. 340. Habermas riprende la tripartizione

Ciò che accomuna queste quattro forme di razionalità è l'esser tutte legate ad un sapere veicolato da una pretesa di validità criticabile. Non tutte le pretese di razionalità, infatti, rimandano all'esistenza di situazioni di fatto che inverano o falsificano una pretesa. Le pretese di razionalità si riferiscono anche alla validità di norme e di esperienze vissute e tutte sono accomunate dalla necessità di giustificare la propria pretesa di razionalità, che prende la forma di una pretesa (linguistica) di validità:

“le espressioni che sono connesse a pretese di giustezza normativa e di veridicità soggettiva, così come altri atti lo sono alla pretesa di verità proposizionale o di efficienza, soddisfano il presupposto centrale della razionalità: possono essere fondate e criticate”438.

Delle forme di razionalità viste sopra, la razionalità comunicativa ha una posizione fondativa e prioritaria. Dal momento che la razionalità non è altro che l'attribuzione/riconoscimento di razionalità, la razionalità comunicativa è a alla base di ogni agire razionale poiché ogni forma di interazione e ogni giudizio di razionalità necessita sempre di una intesa prioritaria che costituisce il sapere di sfondo di tutte le nostre interazioni439. Tale intesa prioritaria è quella fornita dall'appartenenza ad un

comune mondo della vita che funziona come recipiente di senso da cui partono i riferimenti di volta in volta avanzati verso i tre mondi440. Esso è quindi in una posizione

di superiorità che porta la stessa razionalità comunicativa ad essere basilare (in quanto condizione di possibilità e criticabilità) per le altre. La criticabilità presuppone infatti la comprensibilità.

Se la forma prioritaria di razionalità è una forma di razionalità sociale, che si rifà non al possesso ma alla comunicazione di buone ragioni, allora Habermas ha davanti a sé la strada per sviluppare il concetto di razionalità in una direzione argomentativa – cioè esplicitato mediante una teoria dell'argomentazione – partendo dalla considerazione che un argomento contiene ragioni che sono legate alla pretesa di validità sollevata per una determinata azione/espressione e la forza di un argomento si commisura alla plausibilità delle ragioni. Nell'ottica della svolta linguistica cui Habermas si volge ora, non esistono buone ragioni (nella mente) che non siano già formulate dialogicamente (nate in un discorso argomentativo per lo meno con sé stessi e reso possibile dal linguaggio in cui il soggetto cresce), e questo ribadisce la razionalità come sapere di tipo linguistico- proposizionale: non vi è una traduzione delle ragioni in forma argomentativa ma esse nascono già sotto forma di argomenti potenzialmente esprimibili. Weber, allora, non avrebbe insistito a sufficienza sul legame razionalità-sapere ed avrebbe privilegiato solo la relazione della prima col mondo oggettivo, mancando così di riconoscere lo stretto legame della razionalità con l'argomentazione, con le diverse direzioni epistemiche del mondo della vita con cui avrebbe potuto scorgere la gamma delle diverse correlazioni

ontologiche del concetto di razionalità. 438 Ivi, I, pp. 35-36, tr. it. p. 71.

439 Allo stesso modo l'aspetto perlocutivo dell'atto linguistico presuppone l'aspetto illocutivo per la sua

realizzazione: serve infatti che “il parlante simuli l'intento di perseguire senza riserve i propri fini illocutori, lasciando all'oscuro l'ascoltatore dell'effettiva violazione delle presupposizioni dell'agire orientato all'intesa”, Habermas 1988b, p. 132, tr. it. p. 130.