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Positivismo come ideologia

Section I: The Terms of the Debate

3. Positivismo come ideologia

Si è già accennato all'idea di Paul Watzlawick secondo cui l'ideologia origina dalla necessità umana di intravedere un ordine sensato nel reale. A partire dall'età moderna, con la crescente fiducia in una comprensione totale della realtà basata su osservazioni oggettive ed esperimenti ripetibili, la scienza ha cominciato a colmare il vuoto ideologico che si è venuto a creare a causa dell'indebolirsi dei grandi modelli religiosi, etici e scientifici212. Attribuendo alla scienza il ruolo di equivalente ideologico di quei

modelli, Watzlawick si pone in chiara posizione anti-scientista. Questa linea di pensiero anti-scientista è stata portata avanti già dai francofortesi che accusavano il positivismo di fine Ottocento di ideologia: esso, sul piano epistemologico, erige a verità oggettiva e assoluta qualcosa senza però saggiare criticamente ciò che pretende di far valere

assolutamente. 209 Cooke 2006a, pp. 1-2.

210 Ivi, p. 3. Qui “etica” si intende nella maniera più generica, ovvero come un modo di pensare e agire

guidato dall'idea di bene.

211 Ivi, p. 208. L'autrice interpreta ciò come la ricerca della giusta dose di trascendenza da attribuire

all'ideale-guida cui una critica dell'ideologia deve far riferimento. Sulle differenze tra l'impostazione della Cooke e quella di Habermas si dirà di più in seguito.

Nel suo tentativo di ricostruire la “preistoria” del positivismo moderno, in Erkenntnis

und Interesse Habermas mostra come il positivismo si è sviluppato all'insegna di un

rinnegamento della riflessione213. Esso segna la fine della teoria della conoscenza perché

con una smoderata fiducia nelle scienze moderne si illude di poter fare a meno della riflessione – di ascendenza kantiana – sulle condizioni della conoscenza possibile, e quindi di interrogarsi sui limiti della conoscenza. Il postivismo, a detta di Habermas, sostituisce la teoria della conoscenza con la teoria della scienza e nel far ciò, oltre a ridurre la conoscenza a mera conoscenza scientifica, esso “dogmatizza la fede della scienza in sé stessa”. In questo modo il positivismo:

“nasce e tramonta con il principio scientista [Grundsatz des Szientismus] che il senso della conoscenza è definito da ciò che le scienze producono, e può quindi essere sufficientemente esplicato attraverso l'analisi metodologica dei procedimenti scientifici. La teoria della conoscenza [...] cade ora sotto a quello stesso verdetto di presunzione e di insensatezza che essa aveva un tempo inflitto alla metafisica”214.

L'intento habermasiano è proprio quello di mostrare che una volta sottoposto il positivismo ad un'analisi critica riflessiva, esso deve abbandonare la sua pretesa assolutista se non vuole ricadere in un'ideologia che propone come avalutativi (Wertfrei) dei risultati che tali non sono. Infatti, tutte le prospettive scientiste che vogliono investire la scienza di un'aura di assolutezza sono imputabili di ideologia poiché si fanno passare per qualcosa che non sono e non possono essere. Esse presentano i loro risultati come neutri (e perciò degni di valere assolutamente) mentre in realtà questa neutralità è inattingibile, essendo per noi impossibile valicare i limiti del nostro contesto storico-culturale che è sempre prospettico, valutativamente impregnato e in evoluzione:

“Appena l'apparenza oggettivistica [objektivistische Schein] viene rovesciata in senso ideologico- affermativo, la necessità del metodologicamente inconsapevole [Unbewußten] trapassa nella dubbia virtù di una dichiarazione di fede scientista. L'oggettivismo non impedisce affatto alle scienze di penetrare nella prassi della vita, come riteneva Husserl. Esse vi sono comunque integrate”215.

Per evitare l'ideologizzazione della scienza è necessario, secondo Habermas, riabilitare il ruolo della riflessione, ovvero il momento della discussione sulla legittimità della conoscenza. Nel far ciò, si può superare il tentativo positivista di porre fine alla teoria della conoscenza con una fede scientista che è l'anticamera dell'ideologia, dimenticando che:

213 Habermas 1968, p. 9, tr. it. p. 3.

214 Ivi, pp. 88-89, tr. it. pp. 69-70. Il primo positivismo “fonda la fede scientista delle scienze in sé stesse

mediante una costruzione della storia del genere umano come storia dell'affermazione dello spirito positivo”, ivi, p. 93, tr. it. p. 73 con riferimento alla legge dei tre stadi di A. Comte. Si tratta di una “filosofia scientista della storia” (una spiegazione del senso della scienza secondo la storia dell'umanità) che il francese espone in Comte 1842.

215 Habermas 1965a, p. 1152, tr. it. pp. 56-57. Il crollo della neutralità è per Habermas il crollo

“L'esplicazione del senso della validità di giudizi o di proposizioni era possibile mediante il ritorno alla genesi delle condizioni, che non si trovano nella stessa dimensione dello stato di cose giudicato o asserito”216.

L'assolutismo preteso dai positivisti (vecchi e nuovi) per l'oggettività dei risultati delle loro ricerche si inserice all'interno di quella visione dicotomica di scienze avalutative dei fatti e decisioni irrazionali che origina dal tentativo positivista di distinguere il “positivo” dall'immaginario, dall'incerto, dal vano, dal relativo. Così si separa la scienza dalla metafisica, eliminando dalla prima i problemi privi di senso (non positivi), le cosiddette questioni esterne – come ad esempio quella della corrispondenza con una realtà esterna – giudicate alla stregua di pseudo-problemi di tipo metafisico-assoluto217.

La pecca principale di tale impostazione è per Habermas quella di dare per scontata l'“avalutatività” (Werfreiheit) delle scienze empiriche, che consiste nel:

“voler legare l'apparenza oggettivistica alle osservazioni espresse nelle proposizioni protocollari: cioè in esse deve essere dato in modo attendibile un elemento evidentemente immediato, senza aggiunte soggettive”218.

Come vedremo nel corso del prossimo capitolo, quest'idea ristretta di oggettività proposta dal positivismo porterebbe ad un'etica non-cognitivista che Habermas rifiuta, sostenendo che anche per problemi valutativi è possibile aspirare ad una forma di oggettività, pur trattandosi di un'oggettività non metafisica (reale in sé e per sé) ma da considerarsi come accordo intersoggettivo. Questo salvataggio dell'oggettività sia dal vortice relativista che dai pericoli di un'ipostatizzazione metafisica permette di sperare ancora in delle risposte razionali (e sottratte al dominio) anche per ambiti etici e politici che non sono da relegare nel “non senso” come vorrebbe un positivismo estremo, ma chiedono risposte valide oggettivamente, alla pari dei problemi scientifici.

216 Habermas 1968, p. 90, tr. it. p. 70.

217 Cfr. Parrini 2002, p. 90 con riferimento a Carnap.

218 Con la sua teoria degli interessi conoscitivi, Habermas mostrerà che “le proposizioni protocollari non

sono affatto riproduzioni di fatti in sé [Tatsachen an sich], ma esprimono piuttosto successi o insuccessi dell nostre operazioni”, Habermas 1965a, p. 1146, tr. it. p. 50, corsivo mio. L'avalutatività, incarnata magistralmente dal positivismo, è un'ideologia perché dimentica i suoi veri interessi e fornisce un'immagine falsata della scienza (quanto a oggettività). Il dibattito su tale concetto nasce con Weber 1922. Pur condividendo con il positivismo ottocentesco il privilegio dato alla razionalità scientifica, il neo-positivismo (R. Carnap e A. J. Ayer) se ne differenzia per l'attenzione prestata all'aspetto logico-linguistico dell'attività scientifica.