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L'introduzione del culto: motivazioni e aspetti fondant

III.3. La devozione femminile di casa Gonzaga: la Santa Casa annessa al monastero mantovano delle clarisse osservanti d

III.3.1. Una corte monastica

Fra XVI e XVII secolo, la casata gonzaghesca esprime figure di donne, duchesse e imperatrici di altissima levatura morale e intellettuale, destinate a lasciare un segno indelebile nella storia delle corti presso cui si troveranno a risiedere. Le politiche di

matronage devozionale costituiscono la migliore via di affermazione di indipendenza di una

gentildonna, oltre che un buon espediente per tutelare il proprio patrimonio: l'arricchimento della proposta devozionale locale, in linea con le ultime tendenze spirituali, e l'investimento in opere di bene principalmente rivolte al mondo femminile e infantile riflettono, su scala pubblica, lo slancio religioso della signora promotrice comunicando ai sudditi un rassicurante senso di materna protezione.

Il repentino successo del monastero di Sant'Orsola, che s'impone quasi dal nulla nell'affollato panorama regolare cittadino che contava al tempo ben ventidue ritiri femminili, trova la sua ragione d'essere nel carisma della fondatrice: fin dall'abbandono delle Borre, gli sforzi di Margherita Gonzaga sono interamente rivolti all'accrescimento della fabbrica e del suo patrimonio artistico, assicurando alla nuova istituzione una serie di privilegi assolutamente eccezionali, normalmente preclusi ai monasteri e che solo una donna influente come lei avrebbe potuto ottenere. Per strappare ampie concessioni e

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l'autorizzazione al cambio della regola, la duchessa dà sfoggio di tutte le sue doti diplomatiche facendo leva sulla propria autorevolezza: nel 1604 invia a Roma don Guarini a udienza con il cardinale Alessandro de‟ Medici, futuro papa Leone XI, e con il pontefice Clemente VIII, ai quali vengono sottoposte richieste talmente ardite da strappare un complice silenzio più che un convinto assenso230. In cambio, Margherita si impegna ad accrescere la

proposta devozionale del monastero, dotandolo di preziose reliquie - fra cui quelle di San Mercurio martire e Santa Lucrina, ricevute in dono da papa Paolo V e collocate in quattro nicchie ai lati dell'altare maggiore nel 1614 - e introducendo, una ventina di anni prima rispetto a Cremona, la devozione delle Sette Chiese: il celebre percorso a tappe attraverso gli edifici più insigni della città viene riproposto in scala minore all'interno del monastero, nel chiostro secondo l'Amadei, dove la duchessa avrebbe fatto realizzare sette altari presso cui svolgere la devota processione231.

Non suscita interesse tanto il fatto che una nobile vedova abbia preso la decisione di ritirarsi in convento, pratica di antica e consolidata memoria come attesta la felice esperienza delle zie materne a Innsbruck, quanto le reali intenzioni sottese alla fondazione di Madama Serenissima, concilianti tensione spirituale e desiderio di affermazione personale. Quello che distingue la nuova sede di Borgo Pradella, oltre alla magnificenza degli ambienti, è la destinazione, a fianco di quella monastica, a casa di preghiera ed educazione per le donne di casa Gonzaga232, predisponendo nell‟ala a fianco della chiesa sfarzosi appartamenti degni

del loro rango. Nel corso del Seicento, oltre alla fondatrice in Sant'Orsola risiederanno, solo per citare i nomi più importanti, la pronipote e futura duchessa Maria, fondatrice della Santa Casa di Loreto, le due future imperatrici di nome Eleonora, figlie rispettivamente di Vincenzo I e di Maria messe in educazione fino al momento delle nozze, la duchessa vedova Caterina de‟ Medici, stabilitasi nel 1626 di sua spontanea volontà negli appartamenti che furono di Margherita dopo la morte del marito Ferdinando II Gonzaga, e una principessa del ramo di Bozzolo. Nel caso dell'arciduchessa d'Austria Isabella, vedova di Carlo II, il monastero assolve anche alla funzione di asilo politico: accusata di alto tradimento, nel 1671 si rifugia in

230 Nella sua cronaca, don Guarini narra nel dettaglio le fasi del viaggio, allegando una copia della

supplica avanzata da Margherita per il cambio di regola, cfr. BCMN,GUARINI, ms. 1088 (I.II.9), cc. 37-

38v.

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MADEI, III, 1956, p. 350. A sua volta, la duchessa chiede al pontefice che vengano concesse le medesime indulgenze delle Sette Chiese di Roma, oltre che l‟indulgenza plenaria da lucrarsi nei giorni dei patroni San Francesco, Santa Chiara e Sant'Orsola, festa quest'ultima solennizzata come giorno festivo con messa cantata a partire dal 21 ottobre 1615.

232 Margherita ha a cuore l'educazione femminile: secondo il Donesmondi avrebbe visitato molte

giovani educate nei monasteri, indicando loro il modo più consono di vita e abbigliamento, scagliandosi contro i loro padri i quali, secondo una moda molto diffusa al tempo, dotavano in modo eccessivamente sfarzoso le figlie ritirate per ostentare la ricchezza della famiglia, cfr. DONESMONDI,

1612, pp. 464-465. Anche negli anni della reggenza estense, nonostante la giovane età, Margherita si era distinta fondando un pio albergo per orfane, detto delle Orfane di Santa Margherita, cfr. G. D'ONOFRIO,Margherita Gonzaga, ultima duchessa di Ferrara, Ferrara 2011.

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Sant‟Orsola per restarvi segregata fino alla morte, sopraggiunta nel febbraio del 1685 e a seguito della quale viene sepolta in chiesa233.

L'educazione impartita alle fanciulle Gonzaga è eccellente e rivolta alla formazione di gentildonne destinate ai fasti mondani e all'esercizio del potere su scala europea: in Sant'Orsola si imparano le lingue, strumenti fondamentali per future regnanti, i classici della letteratura ma anche i tipici lavori manuali femminili, la musica, la danza e la pittura. L'esempio virtuoso dei seminaria nobilium gesuitici, collegi d'eccellenza dove i rampolli delle future classi dirigenti sono educati nella mente e nello spirito da un corpo docenti di altissimo livello forgiato dalla temperie tridentina, si estende ai vari istituti formativi sorti durante la Controriforma modellando le prerogative, nel caso dei ritiri femminili, sulle esigenze educative delle giovani donne del tempo, distogliendole dalle insidie e dalle tentazioni della vita.

Emancipatasi presto dalla famiglia, Margherita ha una solida e consapevole esperienza del mondo e sa quello di cui hanno bisogno le fanciulle a lei affidate: la duchessa fonda un luogo accogliente a "misura di donna", dove ritirarsi per coltivare la pace dell'anima ma al contempo essere degnamente e cristianamente preparate alla futura vita pubblica, senza per questo alienarsi dal mondo e dagli affetti famigliari. Il successo dell'iniziativa si coglie dalle memorie delle fanciulle residenti, le quali passeranno in Sant'Orsola, per loro stessa ammissione, anni felici e spensierati, i migliori della loro vita, intrecciando duraturi rapporti di affetto e amicizia.

Con la complicità delle autorità ecclesiastiche, che nonostante tutto si troveranno spesso in rotta di collisione a causa delle decisioni spregiudicate della duchessa, Madama Serenissima fonda una comunità presso la quale ritirarsi ma alle sue condizioni: Sant'Orsola è un'isola felice di privilegi, dove si avverte la netta separazione fra vita di corte e vita monastica. Margherita entra in convento senza prendere i voti e portando con sé il suo numeroso e vistoso seguito, privilegio esteso, ovviamente, a tutte le nobili che accedono all'educandato, non assoggettate in alcun modo alla regola francescana e residenti in appartamenti privati dotati di ogni comfort con il proprio seguito di dame e inservienti, come a voler riprodurre le consuetudini quotidiane della vita di corte234. Non essendo monache, la

duchessa e le sue ospiti sono in sostanza escluse dai digiuni, dalla clausura, dagli obblighi

233 I

NTRA,1895, p. 182.

234 In deroga ai divieti pontifici Margherita intrattiene in Sant'Orsola relazioni di tipo diplomatico e

politico, riuscendo addirittura a consentire l'ingresso degli uomini, assolutamente vietato di norma, in primis il fratello duca Vincenzo I e i suoi figli, ricevendo familiari, esponenti di ordini religiosi, artisti e ambasciatori in missione ufficiale. Il Donesmondi dà una versione edulcorata di questa eccessiva autonomia, sostenendo che la duchessa viveva «ritiratamente con quell'altre spose [...] eccetto che, non havendo mutato l'habito vedovile, esce talhora per urgenti affari del publico, e della Corte, o per qualche sua particolare divotione», cfr. DONESMONDI, 1612, p. 388.

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liturgici e dall'imposizione dell'abito e del velo monastici235; sono inoltre libere di uscire,

teoricamente solo in caso di gravi ragioni di stato, e possono persino ricevere visite private e ufficiali.

Il ventaglio dei privilegi si estende anche alla famiglia monastica: senza, ovviamente, mai trascurare una sincera vocazione, le suore sono considerate alla stregua di protette e vengono selezionate secondo criteri di adeguatezza cortigiana. Fin dai tempi delle Borre, Margherita apre caritatevolmente le porte a fanciulle sprovviste della dote necessaria per entrare in altri monasteri purché siano, come se si trattasse di selezionare delle ancelle più che delle monache, «ben nate» e «ben educate». Rispetto alle nobildonne residenti, le clarisse sono tenute a rispettare una serie di vincoli imposti dalla loro condizione pur godendo di una serie non indifferente di deroghe: a differenza di quelle di Santa Paola, alle quali si sarebbero dovute ispirare, le suore di Via del Borgo non vivono in clausura e in ristrettezze materiali ed economiche e possono addirittura ereditare, gestire il loro patrimonio con frutto e possedere beni in città. A garanzia di una maggiore autonomia, Margherita riesce a svincolare le sue monache dall'autorità del generale dell'ordine per sottoporle a quella del vescovo locale il quale, essendo un parente, garantisce ampi margini di autonomia. Considerate nel loro insieme, tali prerogative sono più che sufficienti per attirare un crescente numero di aspiranti novizie, assicurando al monastero una frequentazione, ed entrate, cospicue e costanti236.

Sant‟Orsola manterrà la doppia destinazione, monastica ed educativa, anche dopo la morte della promotrice e l'estinzione della seconda linea dinastica nel 1708: intimamente legato alle sorti della famiglia dominante, con la devoluzione asburgica si innescherà un lento e inesorabile declino che culminerà con il decreto di soppressione, ordinato da Giuseppe II nel 1786237.

235 Talvolta le signore decidono di rinunciare al loro status prendendo i voti, come nel caso di

Olimpia Gonzaga del ramo di Castiglione la quale, dopo un periodo di ritiro, decide di vestire l'abito nel 1606 assumendo il nome, non casuale, di suor Margherita, cfr. AMADEI, III, 1956, pp. 351-352.

236 La famiglia d'origine delle future suore, in base al rango e alla disponibilità economica,

provvedeva al pagamento di una retta per la permanenza della figlia, elargizione che poteva essere corrisposta sia in denaro che in natura e che veniva registrata in libretti contabili. All'anno 1686 si legge che le famiglie di rango minore potevano sborsare per un anno «quatro sachi formento un carra di vino un carra legna un terzo fassine» per il sostentamento della novizia. Per quanto riguarda, ad esempio, la dote di Isabella Clara d‟Austria si legge: «Adì 18 settembre 1682. Ricevuto dall‟eccellentissimo signor d. Gilberto d‟Austria scudi venticinque per la dotena della eccellentissima signora d. Isabella d‟Austria sua figlia per mesi sei che finiranno alli 18 marzo 1688 cha a messo oggi nel nostro monastero in educazione [...]», cfr. ASMn, Archivio Ospedale Civile, b. 84, fasc. 85, Libro delle signorie secolari.

237 Il monastero avrebbe dovuto ospitare il nuovo ospedale il quale, fra travagliate vicende, aprirà i

battenti solo nel 1811. Sottoposto alla prassi di devoluzione demaniale, i beni mobili vengono requisiti, stimati dal notaio collegiato e cancelliere imperiale Angelo Pescatori e venduti, mentre i dipinti più pregevoli della chiesa esterna sono destinati alle collezioni del Museo dell‟Accademia, dove però non rimangono a lungo andando incontro alla dispersione. Il direttore stesso dell'Accademia, Giovanni Bottani, è incaricato di effettuare una cernita fra opere di pregio, da destinare alle collezioni pubbliche, e quelle ordinarie da vendere al pubblico incanto, i cui proventi sarebbero andati a vantaggio del

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III.3.2. Maria Gonzaga e l'ampliamento del monastero: la Santa Casa delle