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Il sacello della Santa Casa Rappresentazione e significat

II.2. Le repliche architettoniche della Santa Casa di Loreto

II.2.2. Prototipi architettonici e questione della riconoscibilità

Dal punto di vista ambientale, le repliche architettoniche della Santa Casa possono essere suddivise in due grandi categorie: isolate nello spazio a costituire un edificio a sé stante, collocate in aperta campagna o nelle pertinenze di un'istituzione religiosa oppure aggregate o inglobate in una chiesa, preesistente o appositamente costruita. La scelta di una o dell‟altra soluzione non è, ovviamente, affidata al caso, ma strettamente vincolata a una serie di problematiche contingenti che vanno dal problema degli spazi disponibili a quello della corretta gestione delle pratiche devozionali in relazione alle masse di pellegrini, dalla tradizione architettonica votiva propria delle zone in cui è prevista la costruzione del sacello al prototipo iconografico scelto come punto di riferimento. Come è facile intuire, ricchissima è anche la gamma delle soluzioni intermedie, nelle quali elementi delle principali tipologie individuate si fondono per dare vita a modelli architettonici ibridi.

Le cappelle isolate in aperta campagna si diffondono a partire dalla seconda metà del XVI secolo principalmente lungo l'arco alpino e nell‟Europa centro-orientale. Numerosi studi, abilmente riassunti da Antje Stannek, hanno analizzato le numerosissime traduzioni lauretane dell'area germanofona rilevando una serie di analogie strutturali e simboliche strettamente legate agli eventi storico-religiosi avvenuti in qui luoghi148. L'immagine evocata

da queste piccole cappelle-chiesa è quella di una sorta di faro del cattolicesimo controriformato ovvero di perno visivo e spirituale che si erge nelle vaste campagne minacciate dall'eresia protestante. È evidente che tale soluzione non comporti alcun problema dal punto di vista della corretta gestione dei pellegrini e dell'espletamento delle funzioni religiose: le chiesette lauretane isolate sono indipendenti e dispongono degli spazi necessari per poter gestire in tutta tranquillità il concorso dei fedeli.

147 Per l'opera di Gaudenzio architetto, plasticatore e pittore si veda G.T

ESTORI,Gaudenzio alle

porte di Varallo, Varallo Sesia 1960.

148 Per un inquadramento di carattere generale si veda W.L

IPPMANN,Tipologie di chiese in Austria

e Germania meridionale all‟insegna delle riforme e delle lotte religiose (secc. XVI-XVII), in L‟architecture religieuse européenne au temps des Réformes: heritage de la Renaissance et nuovelles problematiques, actes des deuxièmes Rencontres d‟Architecture Européenne (Maisonos- sur-Seine, 8-11 juin 2005), études réunies par M. Chatenet-C. Mignot, Paris 2009.

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Dal punto di vista iconografico, come già considerato nel caso di Roccapietra, buona parte di questi sacelli sembra ispirarsi all‟antica chiesa di Santa Maria di Loreto così come doveva apparire nel primo secolo e mezzo di esistenza, ossia un piccolo edificio ad aula unica in muratura, non a caso definito dagli studiosi del settore "a blocco", ubicato lungo una via importante di comunicazione, isolato e circondato da qualche ambiente di servizio, con un campanile innestato ed eventuali porticati per il ricovero dei pellegrini. Similmente al santuario di Loreto, tali fondazioni sono generalmente rette da un religioso o da una famiglia monastica residenti nelle immediate vicinanze; in alcuni casi, frequenti in Alto Adige, la Santa Casa viene fondata come edificio autonomo e solo in seguito, col crescere della vita devozionale, affidato a una comunità monastica o a una confraternita di devozione. Occorre precisare che la tipologia isolata trova spesso riscontro nella tradizione di santuari e chiese di pellegrinaggio dell'arco alpino, dove le architetture si trovano in suggestivo dialogo con il paesaggio montano circostante: è dunque probabile che, dovendo adattare il culto alle consuetudini edilizie del posto, la scelta sia caduta su una forma immediatamente riconoscibile dalla popolazione locale, in una suggestiva commistione di modelli di riferimento. Sulla scorta di alcuni casi eccellenti, come la Loretokirche costruita da Anna Caterina Gonzaga presso Innsbruck, la suggestiva ipotesi che oltralpe si sia intenzionalmente voluto riprendere il primo aspetto del sacello lauretano tramandato dalle fonti come una sorta di nostalgico dialogo con la Santa Casa delle origini, e dunque con le radici stesse dell'identità cattolica, non è del tutto fuorviante.

Con la costruzione della chiesa di Santa Maria di Loreto presso Roccapietra di Varallo il modello di replica isolata si impone lungo l‟area alpina occidentale, ma secondo tempi, presupposti e intenti del tutto differenti rispetto a quelli manifestati nell'Europa continentale. Come era già avvenuto presso il santuario marchigiano, anche a Roccapietra l‟applicazione in un secondo momento di un loggiato esterno decorato da semplice struttura logistica si trasforma in un vero e proprio elemento linguistico immediatamente riconoscibile dai pellegrini che giungono percorrendo la via pubblica antistante. La cappella gaudenziana di Roccapietra «rappresenta un punto di avvio e riferimento per l'intera fenomenologia dei Sacri Monti, di cappelle e di edifici votivi»149: dagli approfonditi studi di Santino Langè, emerge che

quella che noi riconosciamo oggi come una forma consueta e funzionale di cappella votiva isolata, composta da un corpo centrale con portico esterno, risalirebbe proprio al prototipo di Roccapietra150.

149 L

ANGÉ, 1997, p. 371.

150 Lo studioso propone dei confronti fra le fondazioni lauretane varallesi e le cappelle

dell‟Annunciazione dei Sacri Monti di Varese, Ossuccio, Oropa e Arona. Sulla tipologia architettonica dei molti edifici lauretani sorti in area alpina a seguito di Varallo si veda ID., Territorio, paesaggi, santuari, in Barocco alpino. Arte e architettura religiosa del Seicento: spazio e figuratività, a cura di Id.- G. Pacciarotti,Milano 1994, pp. 42-45.

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Nell‟Italia urbanizzata, spiritualmente risolta e religiosamente ben strutturata, il fenomeno delle Sante Case assume connotati completamente differenti e vede affermarsi principalmente la seconda categoria architettonica, quella del sacello annesso o inglobato a una chiesa o a un complesso religioso. A livello tipologico, si tratta della soluzione più vicina alla conformazione del santuario centrale di Loreto, dove per visitare la cappella è necessario sperimentare l'edificio sacro che la ospita secondo una lunga e assodata tradizione di "edifici scrigno" sorti o adattati per contenere manufatti e reliquie architettoniche venerabili, dal complesso della Scala Santa a Roma al Santo Sepolcro in San Pancrazio a Firenze o, più avanti, la Porziuncola in Santa Maria degli Angeli ad Assisi, ma anche la camera natale di Carlo Borromeo, ricostruita ad Arona nella chiesa richiniana dedicata al santo arcivescovo all'interno del santuario del Sacro Monte, o la Tomba dei Re Magi in Sant‟Eustorgio a Milano. Si tratta, dunque, di un fenomeno del tutto caratteristico tuttavia non unico nel suo genere151, che contempla svariate applicazioni strettamente dipendenti da

variabili di natura più contingente che iconografica: la scelta del modo in cui annettere un manufatto come la Santa Casa è influenzata da vincoli quali la disponibilità economica dei soggetti promotori o il problema, di non poco conto considerata la mole e il tipo di allestimento, degli spazi disponibili, non trattandosi di una cappella o di un semplice altare ma di un vero e proprio edificio autonomo, ingombrante e difficilmente collocabile in un ambiente predefinito. Una volta risolto il problema di come adeguare il contesto, si pone la questione, altrettanto impegnativa, di come organizzare gli spazi in modo da consentire il corretto svolgimento delle pratiche lauretane, per non creare ammassamenti e problemi di ordine pubblico in occasione delle solenne celebrazioni mariane, agevolando lo spostamento dei custodi ed evitando di intralciare le normali funzioni dell'edificio ospitante. L'impatto devozionale associato all'"arrivo" del sacello è di enorme portata e va, nella maggior parte dei casi, a sconvolgere le abitudini del luogo: in occasione di anniversari, festività o epidemie le fonti narrano di sacelli letteralmente presi d'assalto dai fedeli, tanto da rendere necessario un servizio d'ordine interno per gestire il flusso in entrata e in uscita dei devoti in preda all'esaltazione mistica.

Per quanto riguarda i manufatti annessi a strutture regolari o secolari preesistenti, nel caso più diffuso la Santa Casa va a occupare spazi in precedenza destinati ad altri usi e si presenta innestata in modo perpendicolare, come una cappella estradossata, o parallelamente al corpo dell'edificio sacro, a configurare una sorta di santuario autonomo. La tipologia edilizia dei sacelli annessi è abbastanza rodata: il manufatto si impone a forza negli spazi e nella vita devozionale dei luoghi ospitanti stravolgendo completamente l'aspetto di quell'area, mentre il problema della sperimentabilità degli ambienti interni viene risolto con

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L‟argomento è stato delineato, con ampi riferimenti al caso lauretano, da L.PATETTA,Il modello del Santo Sepolcro, la Santa Casa di Loreto e la progettazione dei santuari come scrigni, in ID.,Storia e tipologia. Cinque saggi sull‟architettura del passato, Milano 1989, pp. 121-157.

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una serie di accorgimenti studiati ad hoc. Come confermano i casi di Cremona e Verona, la Santa Casa compare isolata al centro di una successione di ambienti fruibili, composti da uno spazio di raccolta antistante che segnala al fedele la presenza del culto - definito a seconda dei casi atrio, vestibolo o anticappella - sul quale si affaccia la Finestra dell'Angelo e un altare esterno, e da corridoi laterali che si congiungono in un ambiente retrostante a costituire una sorta di deambulatorio, assetto che trova la sua origine tipologica nella stessa basilica lauretana e, ancor prima, nelle logge esterne addossate all'antica chiesa di Santa Maria. A questi vani di smistamento è delegato il compito di mettere in comunicazione la Santa Casa con l'edificio ospitante, isolando efficacemente il sacello e la sua vita devozionale; al prototipo aggregato fanno riferimento anche le Sante Case che riutilizzano lo spazio di una cappella precedente e appaiono inglobate lateralmente nel corpo della chiesa, come quella della cattedrale di San Paolo ad Aversa.

La scelta migliore, da un punto di vista spaziale e architettonico, è quella di costruire ex novo chiesa ospitante e sacello nell'ambito di un unico progetto edilizio: è questo il caso più ricco di risvolti simbolici, in cui il dialogo fra architettura e significati e fra contenuto e contenitore si fa serrato e univoco. Stando alle riflessioni di Luciano Patetta, la Santa Casa, reliquia da riprodurre e venerare, è conservata, come a Loreto e come nelle grandi basiliche di Terrasanta, in un grande edificio-contenitore senza collegamenti strutturali di mediazione con quello ospitante: libero da vincoli spaziali, all'interno dello spazio ecclesiale il sacello costituisce l‟elemento fondante ed è collocato a piacimento senza la preoccupazione di dover allestire un circuito alternativo per poterlo fruire. La visibilità è, in questi casi, massima: la Santa Casa non si trova più in posizione defilata ma assume un ruolo protagonista, collocandosi in asse con l'ingresso principale in qualità di fulcro fisico e simbolico della nuova chiesa, proprio come a Loreto.

Non necessariamente, come in Santa Maria della Carità a Brescia o nel santuario di Graglia, le nuove strutture sorte per incapsulare il sacello sono intitolate alla Madonna di Loreto: la dedicazione lauretana di una chiesa, oratorio o complesso religioso non sempre è legata alla presenza di una replica architettonica, in quanto per scatenare l'indotto devozionale è sufficiente quella di una statua o di un dipinto della Madonna.

Quello del sacello incapsulato in un edificio appositamente costruito costituisce uno fra i casi meno frequenti: il cantiere prevede la costruzione di due fabbricati nell'ambito della medesima campagna edilizia e viene concepito in seno a un progetto di esaltazione del culto di più ampia portata, con lunghe tempistiche e pesanti ricadute di tipo economico. Non stupisce, quindi, il fatto che questi progetti siano stati generalmente promossi dalle classi dominanti - comunità cittadine, regnanti e porporati - le uniche che potevano permettersi di intraprendere e portare a termine, in tempi il più possibile brevi, una simile impresa.

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Il ventaglio di soluzioni è ampio: le chiese ospitanti possono presentare una pianta longitudinale, in evidente richiamo alla basilica del santuario marchigiano con il sacello posizionato sotto la cupola o in corrispondenza dell'area presbiteriale, oppure centrale preferibilmente a matrice ottagonale, dove la Santa Casa si innesta generalmente nel lato del poligono prospiciente all'ingresso, penetrando di qualche metro verso l'aula; non mancano esempi più magniloquenti di sacelli collocati al centro dell'edificio, si veda la cappella ceca di Brno, o che, pur trovandosi addossati alla parete di fondo, come ad Arona o Recanati, dominano totalmente lo spazio dell'aula unica nel quale sono inglobati. Nella prima soluzione, adottata ad esempio nelle chiese lauretane di Milano e Tresivio, la collocazione del sacello nell'area normalmente riservata all'altare maggiore o al coro assume una forte valenza sacrale imponendo la creazione di un percorso di smistamento molto simile a quello dei sacelli aggregati, problematica al contrario sconosciuta in un edificio a impianto centrico come quello bresciano, dove lo spazio aperto e unico dell'aula è organizzato in funzione del manufatto ed è dunque in grado di accogliere senza problemi la massa dei fedeli.

È quest'ultima la tipologia più celebrativa fra quelle analizzate finora, perfettamente allineata alle aspettative di promotori, custodi e fedeli e rispondente alle esigenze di monumentalità e visibilità proprie del culto. La soluzione di incapsulare la Santa Casa in una struttura a pianta centrale, laddove gli spazi consentano una riflessione di questo tipo, è sperimentata con successo in epoca barocca quando lo studio delle sue molteplici applicazioni torna in auge dopo la ricoperta quattrocentesca del genere. Secondo un processo di astrazione, viene isolata in pianta la situazione "centrale" della basilica di Loreto, ossia il binomio cupola ottagonale-Santa Casa, focalizzando in questo modo l'attenzione sul nucleo del santuario. In questi casi, alla mimesi architettonica si associa quella simbolica legata alla Vergine Maria152: come l'ottagono è figura di mediazione fra il quadrato - la Terra -

e il cerchio - il Cielo - così la Madonna raffigura l'intercessione, tramite il Figlio, fra umanità dolente e Regno dei Cieli. Per questo motivo molti santuari lauretani presentano dettagli a impianto centralizzato, come cupole o cibori posti nei pressi o a protezione del sacello.

A queste casistiche standard, a cui in sostanza tutti i sacelli fanno capo nelle loro linee essenziali, si aggiungono una serie di variazioni sul tema pressoché impossibili da catalogare, frutto della libera interpretazione dei molteplici modelli lauretani in circolazione. Frequenti sono i casi intermedi fra la prima tipologia di Santa Casa isolata nello spazio e la seconda annessa a un edificio sacro, con sacelli eretti all'interno di chiostri o spazi verdi di pertinenza di ordini monastici come nelle cappelle di Mantova e del convento dei cappuccini di Praga; principalmente diffusi oltralpe sono, come già accennato, i sacelli isolati nello spazio e annessi a residenze private. Un caso interessante è quello dell'Augustinerkirche di

152 Per la riscoperta degli edifici a pianta centrale nel Quattrocento e la relativa simbologia

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Vienna, dove si è verificato un processo di incapsulamento inverso: il sacello viene forzatamente inserito al centro della navata principale di un edificio già esistente, stravolgendone totalmente l'asse prospettico e le modalità di fruizione degli spazi sacri. Anche il modello di Santa Casa circondata da deambulatorio e vestibolo conosce applicazioni intermedie: lungo l‟arco alpino si trovano esempi di sacello isolato circondato però da corridoi e anticappella chiusi e comunicanti con l'esterno tramite ingressi laterali, una sorta di evoluzione della struttura di Roccapietra per favorire le esigenze del pellegrinaggio, ben rappresentata a Cavona, in provincia di Varese, o a Lanzo d'Intelvi, presso Como.

Per quanto riguarda la «mimesi materiale e spaziale della Santa Casa»153, pur essendo

puntualmente celebrata dalle fonti per conferire prestigio alle fondazioni locali essa non è tuttavia particolarmente importante ai fini del culto e della sua riconoscibilità: secondo un processo di imitazione più devozionale, o per meglio dire sensoriale, che estetico, l‟immediata riconoscibilità delle repliche è assicurata dalla riproduzione non tanto di tutti i particolari quanto di alcuni elementi caratterizzanti dell'allestimento interno ed esterno, dettagli di forte impatto visivo e scenografico che impressionano il fedele ancorandosi nella sua memoria ancor più della perfetta posa delle singole pietre o delle misure esatte dei muri, il cui spessore a Loreto è ovviamente più pronunciato rispetto alle copie in quanto comprendente il muro dei recanatesi. In tal senso, è evidente che tutti i nuovi santuari siano sorti su solide fondamenta, per assicurare loro lunga vita. La replica di una Santa Casa è un fatto squisitamente devozionale: alla volta del XVII secolo il culto può dirsi universalmente conosciuto, tuttavia la maggior parte delle persone, non essendo mai stata a Loreto, non è in grado di fare stringenti confronti con il sacello originale e si affida pertanto fiduciosa alle copie che sorgono numerose sul territorio. Chi, al contrario, ha avuto l‟occasione di effettuare un pellegrinaggio, non può ricordare ogni minimo dettaglio con precisione ma serba il ricordo di un ambiente angusto con muratura a vista e qualche dipinto, facilmente riscontrabile nelle copie locali.

Per quanto riguarda l'interno, la complessità strutturale del prototipo lauretano rende, di fatto, impossibile la sua perfetta imitazione. L'aspetto determinante in una replica è la riproduzione di quella particolare atmosfera intima e suggestiva che solo in Santa Casa è possibile sperimentare e che rende tutti i sacelli, pur nelle loro infine declinazioni, immediatamente identificabili: elementi di sicura riconoscibilità sono la pianta rettangolare, la copertura a botte con volta stellata, l‟ubicazione degli ingressi agli angoli e nella zona del Santo Camino, la muratura sconnessa e a vista - recante, possibilmente, qualche inserto lapideo nella zona sottostante e citazioni dei motivi edilizi più caratteristici, come gli inserti a spina di pesce, la trave lignea o lo sfondamento lungo la parete nord -, affreschi votivi nella parte alta, il tabernacolo incassato a destra dell'altare, la Finestra dell‟Angelo con il

153 L

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Crocifisso e, soprattutto, l‟allestimento della zona sacra in posizione sopraelevata rispetto al piano di calpestio e separata dall‟aula tramite una grata, con pareti rivestite da una pannellatura lignea recante al centro l'edicola-nicchia della Madonna di Loreto incoronata e in dalmatica, circondata da figure angeliche ed ex voto. Necessaria è anche la presenza di alcuni oggetti distintivi del culto, quali le sacre scodelle, il corredo di vesti e gioielli e le lampade ardenti, senza i quali un sacello non può ritenersi completo; sui Sacri Monti, dove l'immedesimazione è totale, con un volo di fantasia si ripropone talvolta l‟ambientazione casalinga arredando l'ambiente con utensili contadini tipici dell‟epoca. Individuati i dettagli caratterizzanti, la libertà nella loro interpretazione è totale: dimensioni del sacello, apparato decorativo, fattezze e corredo della statua variano da luogo a luogo, generando interessanti fenomeni di declinazione locale dell‟archetipo centrale, iconografie parallele e modelli di riferimento secondari di grande interesse.

Se l'allestimento interno è molto circostanziato e curato nei minimi dettagli, la traduzione delle pareti esterne è, al contrario, molto meno vincolante e, laddove riproposta, basata su criteri di sintesi iconografica e decorativa dei dettagli caratterizzanti. La casistica, strettamente legata alle problematiche architettoniche e alla disponibilità economica, è molto varia e contempla casi di sacelli privi di apparato decorativo, come a Lanzo d'Intelvi o in Santa Maria Corte Orlandini a Lucca, a casi eccezionali di riproduzione dell'intero rivestimento.

Sebbene, alla volta del XVII secolo, la recinzione qualificasse già da un secolo circa il sacello di Loreto ed esprimesse un programma iconografico fondante per i significati del culto, rare volte le repliche citano fedelmente l'apparato marmoreo della Santa Casa; più frequentemente le pareti esterne recano dettagli, figurativi o architettonici, liberamente ispirati alla recinzione, spesso tradotti, per contenere i costi, con tecniche miste quali pittura e scultura in gesso o a scagliola. I motivi più ricorrenti sono quelli della partizione architettonica con pilastri, lesene e nicchie, della profilatura marmorea degli stipiti di ingresso e della balaustrata superiore introdotta per celare la vista della volta a botte, completati dalla presenza di Sibille, Profeti e scene mariane tradotti in assoluta libertà esecutiva e stilistica. Innumerevoli sono i casi di elaborazione autonoma dei dettagli, come nella cappella di Sulzbach-Rosenberg in Baviera, dove nella zona retrostante all'altare si cita il Santo Armadio della Vergine affrescandolo, o in quella di Cortemaggiore in provincia di Piacenza, dove il rivestimento marmoreo esterno è riassunto in un fregio decorativo a pannelli in stucco inserito in una esuberante cornice mistilinea e alternato da mascheroni di gusto barocchetto. Una parete che cita il modello lauretano è sempre prevista ed è quella recante la Finestra