L'introduzione del culto: motivazioni e aspetti fondant
III.3. La devozione femminile di casa Gonzaga: la Santa Casa annessa al monastero mantovano delle clarisse osservanti d
III.3.2. Maria Gonzaga e l'ampliamento del monastero: la Santa Casa delle Chiodare
L‟eredità di Margherita viene raccolta dalle giovani donne di casa Gonzaga, che in Sant'Orsola trovano un rifugio protettivo e accogliente: è in quest'ottica di attaccamento al luogo che la duchessa pronipote Maria introdurrà il culto lauretano, promuovendo la costruzione di una copia architettonica della Santa Casa all'interno del recinto monastico.
Figlia del quinto duca Francesco IV, fin dalla tenera età Maria è oggetto dell'aspra contesa dinastica per la successione nel Monferrato e per questo viene prudentemente affidata alle cure della prozia Margherita238; rinchiusa nella corte dorata di Sant‟Orsola, la
piccola trascorre un'infanzia serena fino al momento delle nozze, avvenute nel 1627 con Carlo Gonzaga di Rethel. Qui nascerà l'amicizia con la zia Eleonora, futura imperatrice d'Austria: le due ragazzine, al centro di complicate trame politiche, passeranno gli anni della fanciullezza a stretto contatto come due sorelle, stringendo un legame che durerà tutta la vita nonostante le avversità e i problemi politici che si troveranno ad affrontare in età adulta239. La
futura duchessa si trova, suo malgrado, a vivere in prima persona uno dei momenti più terribili della storia mantovana: il suo matrimonio sancisce, di fatto, il passaggio del titolo ducale al ramo secondario dei Gonzaga-Nevers, nella persona del suocero Carlo di dichiarate simpatie filo francesi, provocando la brusca rottura dei secolari rapporti diplomatici e famigliari intessuti fra Mantova e la corte imperiale240 . Intimorito dal voltafaccia
gonzaghesco, nel 1630 l‟imperatore Ferdinando II, marito della cara zia Eleonora, invade e saccheggia Mantova provocando il celebre sacco della città, in concomitanza del quale si
futuro ospedale. La spoliazione di Sant'Orsola è sistematica e umiliante: opere d'arte, argenti, reliquiari e affreschi staccati vengono dirottati in parte all‟Accademia e in parte all‟asta o al Monte di Pietà. Le vicende relative alla soppressione e alle successive trasformazioni del complesso sono efficacemente riassunte in G.ZANCOGHI,Brevi cenni storici della chiesa di S. Orsola sussidiaria alla
parrocchiale di Ognissanti in Mantova, Mantova 1928 e N.SODANO, Chiesa di Sant'Orsola. Appunti e
racconti sul restauro, Mantova 2008, pp. 18-20.
238 Fonte di prima mano sulla vita di Maria è il resoconto celebrativo scritto dal gesuita Giovan
Battista Manni, cfr. G.B.MANNI,Ristretto della vita esemplare di madama Maria Gonzaga duchessa di
Mantova, e di Monferrato, in Vienna nella stamparia di Gio. Battista Hacque, 1669. Per il profilo biografico, con bibliografia e fonti di riferimento, si veda R. TAMALIO, voce Gonzaga, Maria, in Dizionario…, 70 (2008), consultabile online all'indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/maria- gonzaga-duchessa-di-monferrato-e-di-mantova_%28DizionarioBiografico&2 9/.
231 A Eleonora Gonzaga è dedicata la biografia di Maria del gesuita Manni, di cui alla nota
precedente.
232 Si vedano i contributi di A. S
PAGNOLETTI, Intrecci matrimoniali tra Asburgo e casate
principesche italiane tra XVI e XVIII secolo e di C. ANTENHOFER, Briefe, Besuche, Hochzeiten. Die
Gonzaga im Kontakt mit deutschsprachigen Fürstenhäusern (1354-1686), in Le corti come luogo di comunicazione. Gli Asburgo e l'Italia (secoli XVI-XIX), atti del convegno (Trento 8-10 novembre 2007), edizione italiana a cura di M. Bellabarba, Bologna 2010, pp. 17-37 e 38-60.
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diffonde la peste, portata secondo la tradizione proprio dalle truppe mercenarie e asburgiche e diffusasi in breve tempo fino a Verona.
Sorpresa dalla violenza degli eventi, prima di raggiungere il marito in esilio Maria si rifugia con i figli Carlo ed Eleonora nell'unico luogo in cui si sente veramente sicura: il monastero di Sant'Orsola. Qui, perpetuando la tradizione di famiglia, lascerà in educazione la figlia fino al momento delle nozze con l'imperatore Ferdinando III nel 1649, unione combinata dalla sempre attenta zia Eleonora, di cui Ferdinando era figliastro, per rinsaldare i rapporti con la città natale. Nel 1637, alla morte di Carlo Gonzaga Nevers, Maria diventa reggente in vece del figlioletto al tempo ancora minorenne: saranno anni molto difficili, tuttavia la duchessa riuscirà a tenere salde le redini del ducato, minacciato da più parti, grazie a una grande tenacia e all'appoggio dell'imperatrice, che proteggerà Maria nei turbolenti anni della reggenza favorendo a Vienna una politica filo-mantovana e tessendo trame matrimoniali in suo sostegno241. Lasciato il governo al figlio emancipato, nel 1647
Maria si ritira fino alla fine dei suoi giorni nel palazzo di Porto Mantovano, rivolgendo le sue attenzioni alla preghiera e alle opere di bene242.
Animata da un sincero spirito mariano, maturato negli anni dell'infanzia di fronte a una statua della Vergine presente nella chiesa interna di Sant'Orsola, Maria lascerà un segno profondo nella storia del tanto amato monastero di Borgo Pradella contribuendo all'allargamento della sua fabbrica, sicura di perpetuare in questo modo la volontà della defunta zia Margherita che l‟aveva amorevolmente accolta quando era solo una bambina.
Riprendendo la Breve relatione,
«[...] un modello pure di questa [Santa Casa di Cremona], due anni sono [nel 1645] si mandò alla Serenissima di Mantova, a sua richiesta, per riformare una da quell‟Altezza fabricata nel monastero di Sant‟Orsola di detta città, il quale mandò poi a donare all‟imperatrice Eleonora».
Queste poche ma circostanziate parole rivelano una situazione molto particolare: «Madama Serenissima» - titolo riferito alla duchessa reggente Maria considerato il 1645 come data di richiesta del modello - non avrebbe cercato misure e disegni del sacello cremonese per fondare una Santa Casa, bensì per "riformarne" una «da quell‟Altezza fabricata nel
241 Anche il primogenito di Maria, Carlo futuro duca, sarà oggetto degli interessi dell'imperatrice,
che combinerà le nozze con Isabella Clara d‟Asburgo, figlia dell‟arciduca d‟Austria Leopoldo V, l‟infelice nobildonna che, accusata di tradimento, morirà segregata in Sant‟Orsola. 234
Maria sarà l'ultima esponente di casa Gonzaga a soggiornare a lungo nel palazzo di Porto; le sue spoglie, sepolte senza pompa, riposano nella chiesa francescana di Santa Maria delle Grazie. La duchessa incoraggerà l‟attività di numerose opere pie e confraternite di devozione, istituendone due nel 1641 e nel 1642, sotto il titolo della Madonna Incronata e di San Carlo. Nei medesimi anni sostenterà anche la chiesa delle carmelitane scalze, o teresiane, presso Santo Stefano e la parrocchiale di Sant‟Antonio di Porto Mantovano, da lei stessa fondata e investita del titolo di cappella ducale nel 1658 di fronte all'amato palazzo lungo la strada che portava a Villa La Favorita, cfr. MANNI,
1669, pp. 7-11, 20-21, 26-37; A.GAIONI,Un comune chiamato Porto: Porto Mantovano, 20 secoli di cronaca, Mantova 2005, pp. 30-35; 68-70.
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monastero di Sant‟Orsola» ossia, interpretando alla lettera, per ridurre a miglior forma un sacello da lei stessa istituito in precedenza. L'intento di Maria non sarebbe stato, quindi, quello di introdurre bensì di potenziare la devozione già esistente: il tal caso, quello mantovano sarebbe l'unico caso fra quelli analizzati in cui la fonte dichiara la preesistenza del culto e la volontà di esaltarlo attraverso la costruzione di un sacello "migliore".
Con atto rogato nel 1643 dal notaio Antonio Maria Cabrini243, la duchessa reggente
acquista e annette al monastero un appezzamento di terreno ubicato a nord-est del complesso denominato Brolo delle Chiodare, dal nome del vicolo confinante, un ampio prato di proprietà, fin dal XV secolo, dell'Arte della Lana normalmente utilizzato per l‟asciugatura dei panni e al tempo caduto in disuso, sul quale si affacciavano gli eleganti edifici rinascimentali della compagnia; l'area, perfettamente distinguibile dalla visione satellitare, esiste ancora oggi e corrisponde al giardino interno della sede del Circolo Ufficiali Unificato dell'Esercito, con ingresso da Corso Vittorio Emanuele 35 (fig. 28). Nella sua Cronaca, l'Amadei anticipa l'acquisizione annoverandola fra le cose notabili avvenute nel 1638 e sostiene che nel 1643, il giorno 4 novembre, sarebbe in realtà avvenuta la consacrazione vescovile della cappella lauretana e dell'intero prato244.
Che il brolo delle Chiodare sia un‟aggiunta successiva al monastero di Margherita appare evidente: esso si estende verso est come un'appendice isolata e perpendicolare rispetto all‟andamento compatto e ordinato dei fabbricati che compongono il nucleo originario di Sant'Orsola, racchiusi attorno al chiostro e al grande orto centrali. Viene da chiedersi come mai Maria abbia voluto annettere un simile spazio al monastero, che già disponeva di orti e giardini. La destinazione di quest'area priva, a prima vista, di una funzione precisa, si riassume negli unici due fabbricati in essa esistenti, anch'essi riconducibili alla commissione della duchessa: il cosiddetto eremo delle grotte, un seminterrato addossato al muro perimetrale nord dotato di dodici vani incassati in parete per il ritiro delle monache, ancora oggi visibile seppur in pessimo stato di conservazione (fig. 29), e la copia architettonica della Santa Casa di Loreto, che sorgeva in capo al giardino lungo il lato breve confinante con Vicolo Chiodare e oggi completamente perduta (fig. 30). Così viene riassunta l'iniziativa di Maria nella Notta delli beni compilata a fine Settecento:
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Il documento non compare nelle filze notarili ma viene citato nei documenti d‟archivio relativi alle sostanze e alle pertinenze del monastero, ai quali si rimanda anche per le descrizioni del luogo, cfr. ASMn, Archivio Ospedale Civile, b. 84,Notta delli beni stabili del monastero di S. Orsola, parte lasciati, et parte ereditati, cc. 6-7.
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MADEI, III, 1956, pp. 619-620, ripreso da L.C. VOLTA, Compendio cronologico-critico della
storia di Mantova dalla sua fondazione sino ai nostri tempi, IV, Mantova 1833, pp. 145-146; MATTEUCCI, 1902, sesto prospetto; ZANCOGHI, 1928, p. 7; E. MARANI, In un giardino di Mantova
l‟"eremo delle grotte”, in «Quadrante padano», 1 (1980), p. 9; G.PASTORE,La chiesa di Sant'Orsola e
l'eremo delle grotte, in Chiese di conventi soppressi, a cura di R. Golinelli Berto, Mantova 2006, p. 19, nota 33.
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«Nell‟anno 1643 la Ser[enissi]ma Mad[on]na Maria Gonzaga, duchessa di Man[tov]a, e di Monferatto che fu nepote del già Ser[enissi]mo sig[no]r duca Ferdinando Gonzaga di Man[tov]a donò al monastero nostro; una pezza di terra nominata le Chiodare, che per esser contigua al d[et]to convento; volse la pietà di S.A.S. per sua divotione farvi erigere la cappella che si chiama la S[an]ta Casa di Loretto, ponendovi in essa la sacra imagine della B.V.M. a somiglianza della vera et reale Casa S[ant]a dottandola di varij doni, vesti, ornamenti et suppeletili belliss[i]mi; e di più in detto luogo l‟istessa Ser[enissi]ma Mad[on]na vi fece fabricare dodeci grotte, con il Salvatore nel deserto, et altri varij santi romitti, ponendo il tutto in propria clausura il dì 4 novembre dell‟anno 1643 come app[a]re l‟instrum[en]to della compra di dette Chiodare, che fece la sud[det]ta Ser[enissi]ma Mad[on]na quall‟instrum[en]to fu rogato dal sig[no]r Antonio Maria Gabrini nottaro camerale di S.A.S. l‟anno sud[det]to 1643»245.
Si confonde pertanto l'Amadei, che nella narrazione di questa commissione si rivela abbastanza impreciso, quando sostiene che il brolo e i due edifici siano da ricondurre alla volontà di Margherita Gonzaga:
«Tanto compiacquesi di eccitar sé medesima e tutte le altre sue dilette Orsoline alla divozione ed alla solitudine, che piantò in un prato, entro il recinto della clausura, un grottesco quasi sotterraneo, diviso con altari ed imagini di santi anacoreti; ed anco, poco di là discosto, fabbricò una casetta consimile al santuario di Loreto»246.
Più avanti, come già accennato, parlando di Maria lo storico sostiene esattamente il contrario, ossia che le Chiodare, e i relativi edifici, siano stati da quest'ultima donati al monastero.
Con l'acquisto del brolo, la duchessa reggente intende, secondo il Volta, «mostrare la sua gratitudine alle monache di S. Orsola, dalle quali era stata educata»247, donando loro un
luogo appartato destinato alla preghiera e alla meditazione, una sorta di hortus conclusus dove coltivare la pace dell'anima nel cuore di quella che era ormai divenuta una città pericolosa e ostile. Il toponimo stesso del terreno confermerebbe la destinazione a ritiro paradisiaco: il termine brolo, anticamente diffuso in tutta l'Italia settentrionale, nell'accezione più comune significa infatti, orto, frutteto o selva recintati248 e proprio in questo modo viene
descritto nei pochi documenti superstiti, ossia come un grande prato ricco di vegetazione, piante da frutto e filari di vite con un pozzo al centro, un luogo ameno dove sfuggire alla quotidianità ed elevare lo spirito. In un simile contesto, Santa Casa ed eremo andavano a completare, se non ad amplificare, la destinazione ascetica e meditativa del luogo. Tale prerogativa è confermata dal fatto che, stando alle parole del notaio settecentesco Pescatori, il prato comunicava con il monastero attraverso un solo portone, che conduceva al grande orto con pozzo collocato a fianco del chiostro e confinante con la retrostante Via degli Stabili. Nel corso degli anni Maria matura un atteggiamento pacato e riflessivo decisamente opposto rispetto a quello magniloquente della zia Margherita, sviluppando una tendenza al
245 ASMn, Archivio Ospedale Civile, b. 84,Notta delli beni
…, cc. 6-7. 246 A MADEI, III, 1956, p. 350. 247 V OLTA,IV,1833, p. 145. 248 O.P
IANIGIANI, voce Brolo, in Vocabolario etimologico della lingua italiana, I, Roma-Milano 1907, p. 188.
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ritiro e al misticismo249: turbata dai tempi duri nei quali si trova a vivere, segnati da guerre e
pestilenze, e dalle avversità subite, la duchessa attraversa a fatica gli anni del governo salutando con sollievo la maggiore età del figlio Carlo, che le consentirà di ritirarsi a vita privata a Porto. È quindi probabile che l'acquisto delle Chiodare sia stato pensato, nei difficili anni della reggenza, come una sorta di soluzione a un'esigenza personale di pace e tranquillità in tempi in cui la duchessa è vincolata ai doveri politici: come già Margherita prima di lei, anche Maria, seppur con intenti ed esiti completamente differenti, è alla ricerca di un luogo esclusivo.
La particolare collocazione fa del sacello mantovano un caso del tutto eccezionale, unico nel suo genere. L'associazione fra un eremo e una Santa Casa non è di norma contemplata nella casistica lauretana e potrebbe essere letta, nel caso specifico, come parte di un percorso catartico, dovuto al bisogno di pace interiore dettato dalla spinta devozionale della duchessa: in un contesto paradisiaco atto ad amplificare la pace dei sensi, l'eremo è rivolto all'elevazione dello spirito nella solitudine dell'ascesi mentre in Santa Casa suore e nobildonne residenti hanno l'opportunità di meditare sui misteri della fede, godendo in modo esclusivo dei privilegi lauretani. La Santa Casa mantovana è, in tutto e per tutto, una fondazione privata: essa non ambisce, come a Cremona, o come si vedrà a Brescia, a diventare un santuario pubblicamente riconosciuto e nemmeno è funzionale, come lo sarà a Verona, al rilancio delle sorti del monastero, ma viene intesa come una sorta di cappella per le poche privilegiate residenti in Sant'Orsola. La stessa scelta di edificare il sacello in uno spazio verde e isolato conferma la destinazione completamente differente, dove la dimensione pubblica e cerimoniale è volutamente bandita a favore del raccoglimento spirituale.
Come già notato, al centro del brolo si trovavano una folta vegetazione e un pozzo mentre sulla sinistra «per una porta in due partite con merletta di ferro si va nel sotterraneo così detto delle Grotte avente nell'entrare un picciolo stanzino con uscio tutto dipinto» (documenti 6, fig. 29). L'ambiente presentava elementi d'arredo liturgico volutamente umili, consoni a un romitorio, fra cui un piccolo altare ligneo dotato delle suppellettili necessarie, «due mezzibusti di cartone dipinto, rappresentanti il Redentore, e la Beata Vergine» e «quattro candelieri di legno torniti, e dipinti». La grotta, di forma quadrangolare, riceveva luce da un finestrone «con vetri, e ramate» ed era «all'intorno tutta coperta dalla così detta schiuma di mare a grotesco», sul modello delle grotte artificiali dei giardini rinascimentali: dovendo riproporre gli antichi luoghi dell'eremitaggio scavati nella nuda roccia del deserto, ormai legati alla metà del Seicento alla dimensione della mitologia religiosa più che a una pratica attuale, un buon motivo di ispirazione sono gli antri da giardino, luoghi di quiete e
249 «[...] sentendosi stanca pel lungo negotiare, come per alleviamento si ritirava al monasterio di
Sant'Orsola, e mi mandava a chiamare, e comandava, che facessi un sermone», cfr. MANNI,1669, pp.
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frescura nei quali vengono riproposte, con l'artificio dei materiali, le sembianze delle caverne naturali.
All'interno del seminterrato, che presentava una copertura con larghe crociere ribassate e ospitava lampade d'ottone e due genuflessori, si aprivano dodici nicchie «in quadratura» per il ritiro delle suore - due ai lati dell'ingresso, sei sulla parete di fondo e altre due, oggi scomparse, lungo i lati corti - chiamate «grotte» in virtù dell'aspetto rustico conferito dalla particolare trattazione della superficie. Ogni vano era allestito come una piccola cella di meditazione indipendente, con due candelieri e un crocifisso ligneo; undici di essi presentavano un dipinto su tela con raffigurazioni, non spregevoli, secondo il giudizio dell'artista e storiografo Giovanni Cadioli250, di santi anacoreti che fungevano da motivo di
ispirazione per l'ascesi delle monache; la dodicesima grotta, quella prossima all'ingresso, era invece occupata da un altare con l'immagine del Santo Redentore nel deserto.
Il romitorio disponeva di una sala superiore, un vano di servizio leggermente più stretto munito di «armarietti», cassettoni e panche, al quale si accedeva tramite una scala esterna a due rampe contrapposte in mattoni, sulla cui fronte campeggiava un‟immagine della Vergine
con il Bambino dipinta a fresco con custodia di legno dipinto. L'eremo delle grotte non è stato
costruito ex novo bensì ricavato dall'adattamento di un edificio già presente nel brolo al momento dell'acquisto da parte della duchessa, forse l'antica sede delle riunioni dell'Arte della Lana: ciò spiegherebbe sia la disposizione su due livelli sia la presenza di una campagna decorativa quattrocentesca emersa in corrispondenza di alcune cadute di intonaco e «schiuma di mare», ascrivibile al momento di massimo splendore della corporazione251.
In capo alle Chiodare, a fianco dell'eremo e addossata al muro confinante con la via omonima, sorgeva la Santa Casa di Loreto, di cui oggi si può solamente intuire l‟innesto lungo l'alta muraglia perimetrale del giardino del Circolo Ufficiali252 (fig. 30); anche il sacello è
stato dunque edificato sfruttando preesistenze architettoniche già presenti nel brolo. La regolare scansione a profili verticali aggettanti e fascia sottogronda si interrompe bruscamente in corrispondenza dell'ingombro del sacello, la cui forma rettangolare è ancora oggi percepibile, e dei portici laterali, segnalati da due contrafforti; al centro spicca la nicchia della Vergine, ricavata direttamente nello spessore di muro e tamponata.
250 G. C
ADIOLI, Descrizione delle pitture, sculture, ed architetture che si osservano nella città di
Mantova, e ne‟ suoi contorni, per l‟erede di Alberto Pazzoni, Mantova 1763.
251 La presenza di un Agnus Dei, simbolo della compagnia, rinvenuto al centro della copertura a
volte all'interno della grotta, e di alcuni stemmi, monogrammi e nomi riferibili ai consoli della compagnia avvalorano l'ipotesi di una preesistenza in tal senso. Secondo Pastore, tali dipinti sarebbero «relazionabili alle clodovias, volgarmente dette le Chiodare e quindi ai mercanti della lana», giustificando toponimo del brolo e dell'adiacente vicolo, cfr. PASTORE,1983, p. 476.
252 Nella sezione Chiese e Monasteri soppressi e trasformati, all'inizio del Novecento Vittorio
Matteucci cita ancora una «S. Casa di Loreto in Vicolo Chiodare, parrocchia d'Ognissanti», senza indicare la data di soppressione, cfr. MATTEUCCI,1902, sesto prospetto.
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La perdita del sacello e la pressoché totale assenza di documenti sul suo conto limitano, di fatto, la possibilità di approfondirne la conoscenza. Le guide storico-artistiche locali citano incidentalmente l'acquisto delle Chiodare e la fondazione di Santa Casa ed eremo senza scendere nei dettagli253; solo il Cadioli nel 1763 e il notaio Angelo Pescatori tredici anni più
tardi forniscono una breve descrizione del brolo e dei suoi luoghi di culto, mentre risalgono agli ultimi vent'anni del secolo scorso gli unici contributi volti alla riscoperta dello spazio verde, nei quali l'interesse tuttavia vira a favore dall'eremo le cui vestigia, per quanto ammalorate, sono ancora oggi visibili, così come il pozzo centrale e buona parte del giardino254.
Nemmeno le piante storiche della città vengono in aiuto, in quanto realizzate o poco prima della fondazione o dopo la soppressione e demolizione della cappella. Il prospetto più antico, la Urbis Mantuae descriptio di Gabriele Bertazzolo del 1628255, offre una visione a
volo d'uccello del monastero in un momento precedente alla commissione di Maria Gonzaga, nella quale si apprezza l'estensione del nucleo originale del complesso e dell'adiacente brolo delle Chiodare, al tempo non ancora annesso (fig. 31); in corrispondenza della Santa Casa si nota la presenza di un palazzo, mentre sulla destra si distingue il caseggiato di pertinenza