• Non ci sono risultati.

Le delibere comunali per il trasporto della Madonna dell'Albera e la costruzione della Santa Casa di Loreto

L'introduzione del culto: motivazioni e aspetti fondant

III. 3.4 «I l quale mandò poi a donare all’imperatrice Eleonora»: la circolazione del modello cremonese

III.4.2. Le delibere comunali per il trasporto della Madonna dell'Albera e la costruzione della Santa Casa di Loreto

Secondo una tradizione tramandata dai Diari del Bianchi, la nuova chiesa della Carità sarebbe stata edificata a partire dal 1640 su supervisione dell'architetto Agostino Avanzo, quando la città avrebbe decretato la costruzione di un sacello «sul modello della S. Casa di Loreto»328: l'assenza dei registri di fabbrica relativi ai pagamenti di quel decennio impedisce

di verificare la fonte e di seguire da vicino le vicende del cantiere, con particolare riferimento alle motivazioni dell'introduzione del culto dell'Albera in associazione a quello lauretano. Data e attribuzione sono state tramandate fino alla pubblicazione delle note di spesa da parte del Boselli, a cui va riconosciuto il merito di aver riscritto la storia del cantiere329: la

fabbrica di chiesa e Santa Casa è in realtà stata avviata nel 1647, ai tempi del capomastro Comino, e sicuramente conclusa nel 1655, anno in cui ha luogo il trasporto dell'affresco della

Madonna dell'Albera e compare per la prima volta il nome dell'Avanzo in qualità non di

architetto ma di semplice realizzatore, assieme a Ottavio Amigone, della decorazione del cornicione e del fregio interni alla chiesa, mentre i lavori di supervisione dell'intero cantiere risultano a quel tempo affidati ai fratelli Carlo e Giovanni Carra330.

Anche i verbali delle sedute consiliari svelano un iter edilizio più complesso e aiutano a comprendere meglio le tappe che hanno condotto al rifacimento della chiesa della convertite. La mattina del 9 gennaio 1647 il consiglio mette all'ordine del giorno la questione della costruzione di un «sasiello a somiglianza della Santissima Casa di Loreto per la Traslazione da farsi dell'immagine della Madonna dall'Albara»331 (documenti 13). Come si può notare,

non si fa menzione della Carità come luogo deputato: per quale motivo sia stata scelta proprio la chiesa delle convertite, che al tempo non era ancora stata ricostruita, non è dato sapere332, ad ogni modo appare evidente che l'introduzione del culto dell'Albera sia avvenuto

in stretta relazione con quello lauretano, vale a dire che la Santa Casa sarebbe fin dal principio stata pensata come sostegno fisico e simbolico dell'antico affresco, a prescindere dal luogo di costruzione.

Sappiamo dunque con sicurezza che un progetto di riforma, concepito per contenere la Santa Casa "dell'Albera", è stato approvato nel 1647, in anni in cui nei registri di fabbrica

328 Oltre alla storiografia sette-ottocentesca si vedano anche F

APPANI, 1974, p. 63 e P.GUERRINI,

La chiesa della Carità e le sue opere d'arte, ripubblicato in ID.,Santuari, chiese, conventi, I, ristampa a cura di A. Fappani, Brescia 1986, pp. 70-72, fino ai giorni nostri.

329 BOSELLI, 1969-1974.

330 Per approfondimenti sulla fase progettuale della chiesa nuova si veda F. F

ISOGNI,Il progetto

della chiesa e della facciata. Architettura e cultura antiquaria a Brescia tra Sei e Settecento, in La chiesa..., 2013, pp. 19-30, con ampia bibliografia di riferimento.

331 ASBs, Fondo Ospedale maggiore, Ospedale Donne-Incurabili, b. 1534, Annali..., p. 26.

332 Secondo Giuseppe Fusari, i reggenti del Pio Luogo vantavano diritti sul trasporto della Madonna dell'Albera in forza del lascito nel 1644 di «una casa sita in piazzola dell'Albara» da parte di Caterina Fava, cfr. FUSARI,2013, p. 6. Non è dato sapere se tale residenza fosse nelle pertinenze

163

risultano attivi i fratelli architetti Antonio e Domenico Comino, documentati alla Carità fin dal 1641 in collaborazione col capomastro di origini comasche Baldassarre Spazzi, autore di varie opere all'interno del Pio Luogo. Il 1640, indicato dalla tradizione storiografica come anno di inizio lavori, potrebbe far riferimento a una precoce volontà manifestata dai rettori di rifacimento della chiesa con destinazione lauretana, poi rimandata per motivi non chiariti e messa in essere solo alla fine del decennio. Ad ogni modo, i verbali di fabbrica indicano ancora nel 1654 Domenico Comino come direttore della fabbrica, anno in cui giudica i lavori svolti in subappalto dalla ditta Piazza, di Battista e Paolo: è dunque probabile che siano stati proprio i Comino a cominciare la chiesa ottagonale contenente il sacello lauretano e che il testimone sia poi passato all'Avanzo, confermato come architetto nella primavera del 1655, tenendo presente che i tre si conoscevano e avevano avuto modo di lavorare fianco a fianco nei decenni precedenti nel prestigioso cantiere del duomo nuovo, come si vedrà oltre333.

Secondo Valentino Volta, il progetto di rifacimento è, con ogni probabilità, in atto fin dal 1646, come attesterebbe una serie di pagamenti ai Comino per lavori di sbancamento che sembrano alludere non tanto a una ristrutturazione della chiesa della Maddalena quanto alla predisposizione del sito in vista della costruzione di un edificio nuovo, studiato ad hoc per annettere al meglio il sacello lauretano: la vecchia chiesa - piccola, dall'andamento longitudinale e senza possibilità di espansione in quanto stretta fra le vie cittadine e il ritiro delle convertite - era assolutamente inadatta a ospitare una Santa Casa, problema che solo con la costruzione di un nuovo tempio a pianta centrale si sarebbe potuto risolvere.

Nel corso della seduta del 26 gennaio 1647 si specificano meglio i termini del provvedimento emanato il giorno 9 (documenti 14). Dopo un preambolo volto alla celebrazione del culto mariano cittadino, da sempre sostenuto dalle autorità pubbliche «con fabriche convenienti» e palesato della presenza di «Infinite Imaginis speciosiss[im]e della Celeste Regina Nostra Sig[no]ra» che «si veggono esposte in questa città e contorni», si passa a elencare le clausole inerenti lo spostamento della venerata Madonna dell'Albera e la conseguente edificazione del sacello lauretano. Nonostante le numerose grazie dispensate e i tentativi da parte delle autorità di valorizzare il luogo, conservato «non senza decoro» oltre che «cupoerto» a spese pubbliche con un porticato a seguito di un evento miracoloso, la devozione nei confronti dell'effigie è notevole ma non pari a quella riservata ad altre sacre immagini presenti in città. Fin dal 1643 il consiglio aveva manifestato l'intenzione di risolvere il problema cercando un luogo più adatto per l'affresco, in modo da aumentarne la devozione, ma solo nel 1647 si giunge a un compromesso, deliberando di non tardare oltre e

333 Sono noti e indagati i rapporti diretti intercorsi fra le maestranze attive presso il cantiere del

duomo e quelle di Santa Maria della Carità, maturati fin dagli inizi del XVII secolo e proseguiti nel tempo con scambi proficui. Dopo la peste del 1630, la fabbrica della cattedrale subisce uno stallo fino al 1651; i Comino giungono alla Carità proprio in questo decennio, in attesa della liquidazione dei lavori che avverrà solo negli anni Cinquanta, quando lasceranno spazio all'Avanzo, cfr. Ibidem.

164

cogliere la «conferentissima» opportunità suggerita dal frate «predicator capucino» Faustino Ghidoni circa «l‟erettione dela S[an]ta Casa di Loreto, nella quale s‟havesse a collocare la devotiss[im]a imagine della Madonna dell‟Albara».

L'associazione fra le due devozioni mariane, già specificata nella seduta del 9 gennaio, si dovrebbe dunque allo zelo del bresciano padre Ghidoni334, devoto lauretano seriamente

intenzionato a trapiantare nella sua città natale l'espressione massima di quel culto a lui tanto caro. Dal verbale risulta che nel corso degli anni il frate avrebbe più volte supplicato le autorità, a voce e per iscritto, di provvedere alla costruzione di una Santa Casa per soddisfare il desiderio ardente, come dichiarato a suo tempo anche da Giovan Pietro Ala, di «giovare […] alla patria»; allo stato attuale, non è dato sapere se il Ghidoni abbia proposto al consiglio la costruzione del sacello fin dal 1640, anno che sarebbe poi passato nella tradizione storiografica.

Le fonti non lo confermano apertamente, tuttavia è probabile che il cappuccino, venuto a sapere che il consiglio era in cerca di un luogo adatto per il trasferimento dell'affresco, abbia avuto l'idea di associare la Madonna dell'Albera a una replica della Santa Casa di cui da tempo agognava la costruzione in città, sicuro che in questo modo il suo desiderio si sarebbe finalmente compiuto. Stando agli atti, si sarebbe dunque verificata una commistione di eventi per cui sarebbe stata la stessa autorità pubblica a vincolare il culto popolare dell'affresco a quello lauretano, molto probabilmente su suggerimento del frate, ancor prima di decidere in quale chiesa ciò sarebbe avvenuto. Il nome della Carità, infatti, non è mai stato finora menzionato e farà il suo ingresso solo più tardi, come sembrano confermare la Breve

relatione cremonese del 1647, nella quale non si specifica il luogo di costruzione; ciò non

significa che non fossero già in corso trattative con il Pio Luogo delle Convertite.

Al verbale della seduta è allegata una supplica di padre Faustino, nella quale il religioso elenca le motivazioni dell'introduzione del culto, indicando come modello di riferimento per la nuova fondazione non tanto il santuario di Loreto quanto la «S[an]ta Casa Lauretana eretta pure in Roma», città che

«si pregia d‟haverne un‟essemplare visitato dalla riverente frequenza de‟ popoli, dal qual‟essempio commosse quasi tutte le provincie della christianità vanno a gara ad abbracciare somigliante invenzione per havere un sicuro ricovero nelle loro necessità, et che Brescia sola co‟l suo distretto si ritrova priva di questo asilo de‟ tribolati».

Non è chiaro a quale fondazione si riferisca il Ghidoni, dal momento in cui non si hanno notizie, a quel tempo, dell'esistenza di copie architettoniche fedeli all'originale nell'Urbe. Come già notato, a seguito del provvedimento di Urbano VIII contro le riproduzioni lauretane

334 Personaggio di notevole spessore, dopo avere retto numerosi complessi del contado diventa

vicario dei cappuccini di Brescia dal 1635 al 1638; eletto per cinque volte definitore, nel 1648 è ministro della Provincia, carica confermata nei due anni seguenti, cfr. V. BONARI, I conventi ed i cappuccini bresciani, Milano 1891, pp. 152-153.

165

nei territori della Chiesa, negli anni Quaranta del Seicento Roma poteva vantare numerose fondazioni e immagini dedicate alla Madonna di Loreto ma non una vera e propria replica architettonica della Santa Casa335. Un'importante cappella si trovava, ad esempio, nella

chiesa di Santa Maria Aracoeli mentre i centri di divulgazione del culto più importanti erano le chiese di Santa Maria di Loreto alla Colonna Traiana e San Salvatore in Lauro, sede quest'ultima del sodalizio dei marchigiani, presso le quali, tuttavia, non esistevano sacelli.

La commistione dei culti lauretano e dell'Albera appare al Ghidoni conveniente, in quanto la «Madre della Purità», che si trovava ai Terragli nei pressi «d‟un postribolo ombreggiato da steriliss[im]e pioppe, et profanato, dalla licenza della gente più sfrenata nelle impudicizie», «Goderà […] senza alcun dubio […] di starsene in casa propria, ove come divino pianeta darà anco maggiori gratiosi influssi», individuando nel degrado di quell'area urbana le motivazioni dell'urgenza del trasporto. La lunga argomentazione tende a confermare l'ipotesi che il frate voglia approfittare del problema dell'Albera per raggiungere il suo vero scopo, ossia costruire un sacello lauretano a Brescia. Senza scendere nei dettagli, egli accenna a «turbolenze passate» in riferimento a una serie di problemi che hanno più volte impedito al consiglio di spostare la sacra immagine, perciò coglie di nuovo l'occasione per spronare le autorità e risolvere finalmente la situazione per aggiudicarsi l'«efficace patrocinio di N. S[igno]ra».

L'assemblea approva la mozione del frate ritenendola, come già notato, «convenientissima»: da un lato, finalmente la Madonna dell'Albera troverà una destinazione più consona, dall'altro la costruzione del sacello lauretano metterà Brescia al passo con i tempi, in particolare con Roma e con le numerose altre località d'Italia che già possono fregiarsi dell'onore di custodire una copia della Santa Dimora della Vergine, colmando un vuoto inaccettabile per una città che vanta un secolare e riconosciuto sentimento mariano. Nel verbale si legge che il cappuccino aveva suggerito nelle precedenti suppliche «anco il sito, la maniera et altre circostanze per la erettione della medesima»: il nome della Carità, di nuovo, non compare, dunque non è dato sapere quale luogo il Ghidoni avesse individuato, anche se è molto probabile che si trattasse proprio dell'erigenda chiesa del Pio Luogo. Sono quelli, infatti, gli anni dell'inizio del grande cantiere della chiesa nuova, il cui magnifico progetto di ricostruzione non può che incontrare il favore generale.

Proseguendo oltre, si legge che il consiglio aveva posto la data del 30 giungo 1646 per la «terminazione della fabrica di esso luogho, et del trasporto colà della detta sacra Maestà conforme ai raccordi di padre Ghidoni», tuttavia il cantiere si è interrotto «per diffetto dell'autorità necessaria di questo Cons[ili]o»: il merito della fabbrica e della traslazione dell'immagine sarebbe, dunque, da ascrivere al cappuccino il quale avrebbe svolto un ruolo decisivo gestendo i «raccordi» necessari per mandare in porto l'iniziativa. Nonostante ciò, i

335 Il culto mariano

166

lavori incontrano qualche difficoltà, risultano in divenire da mesi e ancora per molto lo sarebbero stati, dal momento in cui la Santa Casa "dell'Albera" sarà inaugurata nel 1655 e completamente finita solo nel 1658.

Fermamente intenzionato a risolvere la questione, nella medesima seduta il consiglio elegge cinque cittadini incaricati di sovrintendere «l'affare» assieme ai Deputati alle Chiese e con la partecipazione dei Deputati Pubblici, affinché la fabbrica vada finalmente a buon fine «con men dispendio possibile» e, soprattutto, senza «publico dispendio», ossia intermente a carico delle elemosine raccolte presso il Pio Luogo. Fra i cinque eletti deve figurare un rappresentante della famiglia Rozzoni della linea di Pietro, nel caso specifico il signor Claudio, chiamato in causa in qualità di proprietario della muraglia su cui è effigiata la

Madonna, pertanto direttamente interessato alla questione336.

La lunga e decisiva seduta del 26 gennaio si chiude con una serie di decisioni di carattere sia pratico, inerenti alle modalità di costruzione della Santa Casa, sia devozionale, circa le celebrazioni da tenersi per il trasferimento della sacra immagine dall'Albera. Il consiglio termina la riunione esortando l'invio di un «soggetto proporzionato nobile alla S[an]ta Casa» e la celebrazione a nome della città di una messa in onore della Vergine al fine di introdurre «in Brescia quest‟essemplare [di Santa Casa]» sotto i migliori auspici; infine, viene esortata l'acquisizione «di piatti simili alli originali da quali doverano esser toccati», ossia tondino e scodella da porre a contatto, nella più tipica delle tradizioni lauretane, con gli originali per assorbirne la carica sacra.

Quest'ultima disposizione trova conferma in una nota apposta in calce al capitolo degli

Annali intitolato Relazione della solennità […] quando si dedicò la Santa Casa Lauretana […]:

«1663 = 30 marzo. Fra Fortunato da Brescia sacerdote capuccino, e vicario delli R.R.P.P. capucini di Brescia portò le scudelle, e tondino consimili a quelli della Santa Casa di Loreto nella Marca Anconitana, come diffusamente vien descritto da suo confesso […] don Ludovico Rosa, come superiore del sud[dett]o Pio Luogo della Carità, confessa aver ricevuto in consegna due tondini, e scudella donati dal r[everen]do pre. alias Faustino ed in Religione Fortunato Ghidone capuccino, qual fu causa, che si distruggesse la chiesa vecchia, e si edificasse la presente a laude di Maria sempre Vergine, e Santissina»,

appunto ripreso in coda allo stesso volume:

«1663 = 30 marzo. Attestato del m[ol]to r. pre. fra Fortunato da Brescia capucc[in]o come l'anno 1647, essendo andato a Loreto fece fare due scudelle, ed un tondino, che fece toccare quelli della S[an]ta Casa di Loreto, e poscia li mandò a Brescia, e furono poi donati alla capella per mezzo del r. pre. fra Faustino Ghidone capuccino»337.

336 I quattro cittadini sono «D. Johannes Paulus Lutiaghus eques, d. Ludovicus Baitellus,

Ludovicus Madius, Paulus Manerba».

337 ASBs, Fondo Ospedale maggiore, Ospedale Donne-Incurabili, b. 1534, Annali

167

La successione dei fatti, e soprattutto gli attori, non è affatto chiara. Al contrario di quanto ritenuto finora338, l'espressione «qual fu causa, che si distruggesse la chiesa vecchia» non

sembra riferirsi tanto alle suppellettili lauretane, giunte a Brescia con le delibere comunali come naturale corredo alla fabbrica lauretana quando le accorate suppliche del frate avevano da tempo spianato la strada alla fondazione del sacello, bensì allo stesso padre Ghidoni, intermediario dell'«affare» e dei «raccordi». Regna una certa confusione anche sulla quantità degli oggetti giunti da Loreto, due tondini e una scodella o due scodelle e un tondino, e sull'identità del religioso che le avrebbe procurate e donate alla Carità339.

Nella Relazione sembra che Faustino Ghidoni abbia assunto in religione il nome di Fortunato e che sia stato lui a portare le sacre stoviglie, mentre gli Annali lasciano intendere che Fortunato e Faustino siano due persone diverse: il primo, pellegrino a Loreto, avrebbe portato nel 1647 le suppellettili a Brescia, consegnate e in seguito donate alla santa cappella «per mezzo» di un secondo cappuccino, il «r. pre. fra Faustino Ghidone». Le note si contraddicono ed è difficile comprendere come siano andate esattamente le cose: Faustino Ghidoni, «vicario delli R.R.P.P. capucini di Brescia», non viene mai ricordato col nome religioso di Fortunato, né negli atti comunali né tantomeno nella storiografia dell'ordine; inoltre, nonostante l'acceso zelo lauretano e il suo ruolo attivo nella fondazione della Carità, non sono ricordati suoi viaggi a Loreto, tanto che nella supplica al consiglio egli cita il modello di Roma e non il santuario centrale.

D'altro canto, un frate cappuccino di nome Fortunato da Brescia è in effetti esistito, un semplice chierico di cui è documentato un pellegrinaggio a Loreto foriero di «grazie e corporali e spirituali»340, il quale risulta però estraneo al cantiere della Santa Casa per motivi

cronologici in quanto vissuto fino al 1620. Che le suppellettili siano state portate in tempi precedenti da Fortunato per poi essere consegnate nel 1647 da Faustino, scatenando il primo interesse per il culto e, in seguito, la confusione nelle note del Pio Luogo? Purtroppo non è possibile sciogliere questo dubbio, ad ogni modo quello che conta è che la volontà espressa dal consiglio il 26 gennaio 1647 di dotare l'erigendo sacello delle sacre stoviglie sia stata immediatamente esaudita, caricando il nascente culto lauretano della Carità dell'aura sacra distintiva del culto.

Il 7 maggio 1647 i Deputati Pubblici alle Chiese e i cinque amministratori della Santa Casa si riuniscono per fare il punto della situazione sulla fabbrica ed esprimere il proprio voto circa la sua realizzazione secondo «quella forma che vien descritta nella pianta di ord[in]e pub[lic]o in carta (?) formata, et ivi presentata» (documenti 15). Dopo aver preso atto delle disposizioni emanate il 26 gennaio, l'amministratore del cantiere, Ludovico Baitelli, parla

338 Si veda da ultimo La chiesa…, 2013.

339 Anche a Cremona l'arrivo delle «cose estrinseche» nel 1627 causa una certa confusione tanto

da far ritenere che Giovan Pietro Ala le abbia fatte «far in Brescia», cfr. nota 191 del presente lavoro.

340 B

168

«circa il loco, et modo della construt[ion]e di d[ett]a chiesa, o ver sacello», sostenendo che «possa uscir bene nel sito della chiesa delle madri della Carità, et sue conferenze», sempre che le stesse madri siano d'accordo; la mozione di approvazione del progetto viene accettata all'unanimità. Per la prima volta si fa riferimento alla chiesa della Carità come luogo migliore per concludere l'«affare»341, anche se non si riesce a capire se il progetto di totale

rifacimento dell'ex chiesa della Maddalena fosse già in essere e sia stato in seguito rivisto per accogliere la Santa Casa "dell'Albera", oppure se la decisione di atterrare l'antica chiesa e di costruire un sacello all'interno di un nuovo tempio sia stata presa dai superiori del Pio Luogo al momento della candidatura della Carità in consiglio comunale. L'affermazione «possa uscir bene» sembra alludere al fatto che in quel momento, cioè il giorno 7 maggio 1647, si sia deciso di eleggere la Carità come sede dei due culti mariani, fermo restando che il suo cantiere poteva già essere in corso: di certo, e se ne parlerà meglio oltre, chiesa ottagonale e Santa Casa sono nate concettualmente insieme, in un progetto edilizio e devozionale unitario.

Ciò sembra essere confermato il 13 giugno seguente, quando si verbalizza il benestare del vescovo e dei Deputati del Pio Luogo, i quali devolvono le offerte presenti e future secondo quanto riterranno giusto i Deputati alle Chiese e quelli eletti dal consiglio. Il progetto