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Il sacello della Santa Casa Rappresentazione e significat

II.2. Le repliche architettoniche della Santa Casa di Loreto

II.2.3. La riflessione sulla pianta centrale: il caso milanese

A partire dalla seconda metà del Cinquecento iconografia e culto del sacello, ormai storicizzati, subiscono un radicale processo di revisione sposandosi con le esigenze tridentine di controllo e decoro delle forme architettoniche ed espressive. Per quanto riguarda l'area lombarda, se il modello di Roccapietra di Varallo costituisce un punto di partenza imprescindibile per buona parte delle fondazioni votive cinquecentesche, non solo

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lauretane, la riflessione scaturita in ambito milanese sull'applicazione della pianta centrale agli edifici sacri si impone come terreno di prova per tutto il secolo successivo.

Considerato come il compromesso migliore per inglobare il sacello, l'impianto centralizzato segna la pratica architettonica barocca, ponendo i progettisti di fronte alla questione della gestione dello spazo in rapporto alla destinazione lauretana dell'ambiente da ideare. In tal senso, le proposte elaborate da Francesco Maria Richini per la realizzazione della chiesa milanese di Santa Maria di Loreto testimoniano la complessità della ricerca: dovendo affrontare il problema dell'incapsulamento di una Santa Casa già esistente in un nuovo edificio, l'architetto, protagonista assieme al barnabita Lorenzo Binago della scena milanese della prima metà del secolo, ragiona sul caso lauretano cimentandosi con soluzioni diverse che vanno dalla pianta centrale a quella longitudinale, portando a compimento una serie di sperimentazioni circolanti in zona fin dai tempi dell'arcivescovo Carlo155.

Il futuro santo si era recato in visita a Loreto ben quattro volte fra il 1566 e il 1583, approfittando dei viaggi che lo portavano di frequente a Roma. Consapevole dell‟enorme importanza rivestita dal culto in seno alla riforma cattolica, nel corso del terzo soggiorno del 1579156 avrebbe maturato la decisione di realizzare a Milano una chiesa intitolata alla

Madonna di Loreto che racchiudesse al suo interno una copia del sacello della Santa Casa, imitando la singolare conformazione del santuario marchigiano e precorrendo una tendenza destinata a svilupparsi a pieno nel secolo successivo157. In realtà fin dal 1567, anno del

primo pellegrinaggio, l'arcivescovo avrebbe manifestato l'intenzione di costruire in patria un luogo lauretano retto da una compagnia fondata a tal scopo individuando, in occasione della visita pastorale alla parrocchia di San Babila, l'area suburbana dei Corpi Santi fuori Porta Orientale come luogo più adatto, in quanto isolato e ancora privo di cura spirituale. L'ambizioso progetto resta allo stato embrionale fino al 1579, quando si decide finalmente di metterlo in essere; purtroppo la morte del Borromeo interrompe il cantiere, che sarà ripreso solo tre decenni più tardi.

La propaganda avviata dall'arcivescovo risulta fondamentale per il radicamento della devozione in area milanese: sebbene non esista ancora una chiesa a intitolazione lauretana,

155 Per una panoramica sul periodo cfr. G. D

ENTI, Architettura a Milano tra Controriforma e Barocco, Firenze 1988, in particolare pp. 141-201; A. SCOTTI TOSINI, Lo Stato di Milano, in Storia

dell'architettura italiana, II. Il Seicento, a cura di Ead., collana diretta da F. Dal Co, Milano 2003, pp. 424-469.

156 Ricordato dalle fonti come il più intenso e ricco di avvenimenti. In questa occasione il Borromeo

avrebbe cantato messa e predicato con tale fervore da far commuovere i presenti, pregando in veglia notturna presso il Santo Camino, cfr. G.BERETTA,La Madonna di Loreto in Milano e il suo “Borgo”, in

«Memorie storiche della diocesi di Milano», VI (1959), p. 285.

157 Il primo studio complessivo sulle intricate vicende lauretane milanesi è dovuto aG.C.B

ASCAPÈ,

Il culto lauretano a Milano e il Luogo Pio Elemosiniero di S.M. di Loreto, a S. Fedele, Venezia 1934, ampliato da BERETTA,1959, pp. 283-304 e in seguito ripercorso da I.GIUSTINA, La chiesa di Santa

Maria di Loreto a Milano e lo sperimentalismo progettuale di Francesco Maria Ricchino nel primo ventennio del Seicento, in «Libri&Documenti», 26 (2000), pp. 3-34. Per una rassegna bibliografica si veda SPINELLI, 1997, p. 200-204.

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nei primi anni del Seicento sorgono in città due istituzioni di carità intitolate alla Madonna di Loreto, il Luogo Pio di Nostra Signora di Loreto, fondato nel 1601 dai Gesuiti di San Fedele, e la Congregazione di Santa Maria di Loreto, anch‟essa votata all‟assistenza ai bisognosi158.

Le volontà del Borromeo vengono, al contrario, subito accolte nella città natale di Arona, impegnata negli ultimi anni del XVI secolo nell'esaltazione post mortem delle gesta del suo cittadino più illustre: sul crinale del secolo viene infatti avviato il cantiere di una chiesa dedicata alla Madonna di Loreto contenente una copia del sacello159. La fondazione aronese

rappresenta una tappa intermedia in seno alla riflessione lauretana locale, in stretto legame con la politica religiosa e architettonica borromaica: voluta da Margherita Trivulzio Borromeo e benedetta negli anni Novanta dal giovane figlio Federico, nipote di Carlo e neoeletto vescovo di Milano, la chiesa viene portata a termine verso la metà del Seicento con la costruzione del sacello, tuttavia previsto fin dal progetto iniziale iglobato al termine della breve navata unica quadrangolare, per la realizzazione del quale il futuro cardinale contatta nel 1593 il governatore di Loreto, Giovanni Francesco Gallo, per poter disporre delle misure (fig. 22).

Il progetto milanese di Carlo Borromeo resta sulla carta fino al 1607, quando viene finalmente avviato cantiere di una chiesa con annessa Santa Casa intitolata a Santa Maria di Loreto in zona Porta Venezia, in luogo di una precedente cappella mariana di patronato Osio sorta sul sito indicato dal futuro santo nel 1567. L'iter progettuale sarà tuttavia lungo e complicato160. Anche a Milano risulta determinante il contributo della nobiltà locale, nella

figura di Pietro Martire Trincherio, il quale decide di finanziare la costruzione del sacello per soddisfare la propria devozione personale e fornire una possibilità di redenzione ai suoi concittadini, associando alla fondazione le Scuole della Dottrina Cristiana e del Rosario, capisaldi della religiosità laica tridentina. Dopo essersi recato a Loreto nel 1606, il gentiluomo decide di avviare il cantiere suggerendo forme e misure all'ingegnere Aurelio Trezzi, individuato come primo architetto della fabbrica. Il progetto esecutivo del 1607 è del tutto simile a quello della coeva chiesa di Santa Maria di Loreto di Arona, con la Santa Casa inglobata in un edificio a pianta rettangolare che ricorda più le forme di un oratorio di

158 B.P

ASSUELLO,La chiesa del SS. Redentore e di Santa Maria di Loreto in Milano, Milano 2000.

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Arona sacra. L‟epoca dei Borromeo, catalogo della mostra (Arona, 28 maggio-12 giugno 1977), a cura di G. Romano, Torino 1977, in particolare i contributi di G.GENTILE,Documenti per la storia

delle chiese d‟Arona, pp. 42-48e C.SPANTIGATI, Carlo e Federico Borromeo ad Arona, pp. 85-104. Si

veda inoltre LANGÉ, 1997, p. 382. La presenza presso il convento della Visitazione di un dipinto

raffigurante la Madonna di Loreto con i Santi Marta e Rocco, attribuito al pittore di scuola gaudenziana Sperindio Cagnoli e databile al secondo-terzo decennio del XVI secolo, conferma la preesistenza del culto ad Arona, cfr. la scheda di P.LOIACONO ASTRUA in Arona sacra…, pp. 135-136. L‟opera precede

quella affrescata sul portico esterno di Roccapietra di Varallo e testimonia la precoce diffusione nel nord Italia dell‟iconografia aggiornata della Santa Casa sostituita con la basilica lauretana provvista di cupola.

160 Efficacemente riassunto da G

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devozione che di una basilica, nel quale i rapporti spaziali sono decisamente sbilanciati a favore del sacello.

La chiesa milanese, conclusa e inaugurata con la collocazione della statua in dalmatica, subisce a distanza di una decina di anni una revisione totale a causa della crescita esponenziale del culto, in virtù dei molti miracoli concessi dalla Vergine ai fedeli milanesi, accorsi numerosi a venerarla. La struttura necessita di un ampliamento e di maggior decoro: è a partire da questo momento che il cardinale Federico Borromeo comincia a interessarsi all'edificio, affidando al Richini il progetto di ricostruzione non tanto della Santa Casa, quanto della chiesa circostante. L‟intensa progettualità relazionata a questo cantiere testimonia la stimolante sfida che il caso lauretano sottopone a chiunque si accinga a considerare la questione dell'incapsulamento del sacello: il Richini produce, negli anni immediatamente precedenti alla posa della prima pietra nel 1616, ben tredici varianti tipologiche testimoniate da ventidue studi grafici conservati presso l'Archivio Storico Civico di Milano, suddivisi fra il Fondo Località Milanesi e la Raccolta Bianconi161.

L'architetto approfondisce in ogni suo aspetto il tema della Santa Casa inglobata in un edificio costruito ex novo, proponendo varianti a pianta centrale e longitudinale nelle quali anche la posizione del sacello varia, per trovare la soluzione ottimale. I suoi studi sono emblematici per la pratica architettonica lauretana: si va dalla tradizionale croce greca inscritta in un quadrato con Santa Casa innestata in una sorta di abside con deambulatorio, per non invadere l'aula, oppure addossata alla parete di fondo e protesa verso il centro, alla più sperimentale pianta quadrata di tradizione lombarda, con innesto di corpi minori in corrispondenza dei bracci, per concludere con innovative soluzioni di piante cruciformi su base ottagonale od ovale, figure geometriche care alla precettistica tridentina nelle quali la Santa Casa può trovarsi tanto al centro quanto in area absidale. Il corpus di disegni presenta anche esercitazioni sulla pianta a croce latina a una o tre navate, due dei quali assolutamente monumentali con l'inserzione di cupole, cappelle laterali, ampio transetto e Santa Casa innestata all'inizio o al centro di una profonda area presbiteriale, caso quest'ultimo in cui il sacello si presenta cinto da un colonnato al centro di una complessa struttura a deambulatorio.

La scelta cadrà su una versione ridimensionata di quest'ultimo progetto, puntando sull'esaltazione simbolica del culto: un'aula rettangolare a tre navate con due brevissime testate di transetto emergenti e Santa Casa in posizione sopraelevata, estesa nella profonda area presbiteriale oltre l'altare e valorizzata da un baldacchino tetrastilo, elemento caro tanto alla pratica del Richini quanto agli studi eruditi del cardinale Borromeo, mutuato dalle antiche iconografie sepolcrali e celebrative e ricorrente in ben sei varianti, con cupola circolare, deambulatorio e ingressi in capo alle due navate laterali (fig. 23).

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Con la costruzione della chiesa richiniana, il culto lauretano si assesta in città e si consolida nel 1620 con la fondazione del monastero delle cappuccine intitolato alla Madonna di Loreto in Borgo delle Oche, attuale Via Zenale. Nonostante la ricca fase progettuale, la sfarzosità dell'ambiente e la ricchezza degli allestimenti, la chiesa milanese di Santa Maria di Loreto non rivestirà mai un ruolo determinante nel panorama religioso locale: dopo una lunga gestazione, causata anche dell'avvento della peste, sarà completata solo nel Settecento, perdendo in questo modo il suo ascendente sui fedeli. Come spesso avviene nei casi di fondazioni isolate, per consentire la corretta gestione del nuovo edificio accanto alla chiesa viene istituito nel 1673 un monastero di cistercensi foglianti, i cosiddetti padri bernardoni, con funzioni di custodia mantenute fino agli anni delle soppressioni asburgiche162.

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Il complesso sarà trasformato nell‟Ottocento in albergo e successivamente demolito nel 1914; il quartiere, detto “di Loreto”, sorto nelle sue vicinanze è stato raso al suolo durante la Seconda Guerra Mondiale, cfr. BERETTA, 1959, pp. 283-284, 301-302.

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