Capitolo 3 Aglauro e l'Invidia nel secondo libro delle Metamorfosi
3.3 Il corvo e la cornacchia
Solo a questo punto, il narratore comincia a raccontare compiutamente la vicenda.
Pulchrior in tota, quam Larissaea Coronis, non fuit Haemonia: placuit tibi, Delphice, certe
dum vel casta fuit vel inobservata489.
Il tema di partenza è, ancora una volta, quello di una storia d’amore tra un dio ed una fanciulla; gli attori protagonisti sono, nel caso specifico, Apollo e Coronide: ma la storia d’amore tra i due dura, quanto meno a livello testuale, pochissimo.
Al poeta non interessa, differentemente da quanto si verifica in numerose altre occorrenze delle Metamorfosi490, soffermarsi sulla descrizione dell’innamoramento
di Apollo, sugli effetti che la vista della vergine crea in lui, sulla presentazione di un incontro amoroso: tutti questi aspetti vengono riassunti nel testo, in maniera estremamente sintetica, con un unico verbo: placuit.
Anche la colpa di Coronide, l’adulterio ed il tradimento di Apollo viene evocato, suggerito più che presentato nei fatti, attraverso l’espressione dum vel casta fuit491.
Ad Apollo Coronide piacque (ed in questa espressione sono evidentemente condensate tutte le immagini legate alla sfera erotico-sentimentale che troviamo in numerose altre vicende del poema) finchè rimase pura (sfera, questa dell’adulterio, a proposito della quale, vale il discorso fatto in precedenza, molto più diffusamente si sofferma il poeta in numerose altre occorrenze)492. La storia d’amore tra Apollo e Coronide dura, in fondo, il tempo di due emistichi. E dura
488 Cfr. Christian Stocchi, Dizionario della favola antica, Milano 2012, s.v. Corvo. 489 Ov. Met. 2. 542-544.
490 K.Galinsky, op.cit., p. 97 The main subject of the poem, if one has to specify one, is love rather than metamorphosis.
491 Ovidio non introduce neppure il nome dell'amante, Ischi, che è invece ricordato da Hes. fr.60.1 M-W.
tanto poco, perchè, nel caso di specie, dovrà costituire solamente lo sfondo di riferimento del tema principale: quello, come detto, della delazione, di un cattivo
usus vocis.
L’atto della delazione viene, però, anticipato, dall'indicazione dell'altra grande sfera tematica della sezione: quella visiva, introdotta attraverso il participio
inobservata (v.544), riferito a Coronide ed enfaticamente accostato, per il tramite
della disgiuntiva vel, al casta precedente. In tal modo viene sottolineata l’importanza del ruolo del delatore e della delazione stessa nella cessazione, che vedremo essere tragica, della vicenda sentimentale: Febo Apollo fu innamorato di Coronide finchè ella si mantenne casta o almeno finchè non fu spiata493. Coronide poteva quindi, sembra possibile desumere dal testo, conservare l’affetto di Apollo mantenendosi pura e non tradendolo, ma, anche una volta traditolo, sarebbe potuto rimanere l’amata del dio, se solo non fosse stata osservata.
Ed è proprio in questo punto che Ovidio riprende il personaggio chiave, il corvo, presentandolo con la perifrasi aves Phoebeius; perifrasi informativa, questa, perchè aggiunge una notizia importante a quanto detto in precedenza.
Il corvo era l’uccello favorito di Apollo, era dunque legato in maniera diretta al dio494 (vedremo come questo aspetto, un rapporto di particolare affetto e legame ad una divinità, si presenterà con grande insistenza nelle vicende di questa sezione testuale). L’uccello scopre la tresca495 e si reca spedito a denunciare il tutto ad Apollo496. Nel suo tragitto viene però intercettato dalla cornacchia, la quale viene subito presentata da Ovidio nel suo attributo fondamentale per il passo in oggetto:
garrula, chiaccherona.
.. sed ales
545 sensit adulterium Phoebeius, utque latentem
detegeret culpam, non exorabilis index ad dominum tendebat iter; quem garrula motis
consequitur pinnis, scitetur ut omnia, cornix,
493 Significativa la correlazione vel-vel del verso 544: dum vel casta fuit vel inobservata. 494 Sul rapporto corvo-Apollo, cfr. Ov. Fast. 2.243-266.
495 Secondo Hyg. Fab. 202.1, Apollo in persona aveva posto il corvo a guardia della giovane; in Ovidio, invece, il corvo è un a spia volontaria.
auditaeque viae causa << Non utile carpis>>
540 inquit <<iter: ne sperne meae presagia linguae>>497.
L'espressione garrula cornix richiama, in disposizione chiastica, il corve loquax del verso 535. La ripresa di questi artifici letterari, evidentemente, va ad inserirsi all’interno di quel contesto di enfatizzazione dell’elemento vocale-fonatorio, che abbiamo visto essere dominante nella prima parte della sezione, e che tornerà, con significativa ripresa, anche nell’episodio della manifestazione di Invidia in Aglauro, nell’atto, anche questo ripreso dalla vicenda di Coronide, della delazione.
Il modello letterario seguito da Ovidio nella presentazione dell'incontro tra corvo e cornacchia è fornito dall' Ecale di Callimaco. In alcuni frammenti dell'epillio callimacheo498, infatti, la cornacchia, rivolgendosi ad un altro uccello, che certamente non è il corvo e probabilmente da identificarsi nella civetta499, discutendo sull'opportunià di riferire all'eroe Teseo la morte della vecchia Ecale, riporta la punizione da lei subita da Minerva a seguito del suo annuncio alla dea della colpa delle Cecropidi, proprio l'episodio che la cornacchia si accinge a narrare al corvo nel testo di Ovidio.
Al contempo, in Callimaco, la cornacchia riporta, alla civetta, una predizione per la quale, presto, anche il corvo avrebbe subito una punizione, il mutamento del colore del piumaggio da bianco a nero, a causa della sua loquacità.
È chiaro, però, al contempo, come Ovidio modifichi i rapporti tra i protagonisti rispetto al modello. La storia del corvo e della cornacchia sono inserite l'una nell'altra, come in Callimaco, ma Ovidio inverte, consapevolmente, i rapporti gerarchici. Mentre, in Callimaco, infatti, la vicenda principale era quella della cornacchia, nella quale la punizione del corvo si inseriva come proiezione di un evento futuro, in Ovidio è proprio la storia del corvo a costituire il fulcro della narrazione, nel quale si inserisce la storia della cornacchia. Conseguentemente, la cornacchia, che in Callimaco profetizzava, in Ovidio ricorda.
Come sottolineato da D'Alessio, in Callimaco l’incontro tra i due uccelli risponde evidentemente ad un gioco di variatio e raffinatezza formale, perfettamente
497 Ov. Met. 2. 544-550. 498 Callim. Hec. fr. 70-74. 499 A. Keith op. cit., pp. 15-16.
aderente al gusto alessandrino: l’inserimento di animali parlanti nel poema epico
(....) raggiunge un duplice effetto: da una parte sposta la narrazione alcune generazioni indietro nel tempo: l’esperienza della cornacchia (fr.73,13 ss.), come quello di Nestore nell’Iliade copre più generazioni umane (e con quelli di Nestore il suo discorso ha in comune la cauta didatticità). D’altra parte, l’estremo paradosso degli animali che si esprimono ricalcando stilemi epici rappresenta un tour de force stilistico, e toglie spazio agli eventi tradizionalmente eroici500.
Ovidio dunque riprende un testo di gusto neoterico-alessandrino dove il dialogo stesso nasce per esigenze di variazione rispetto al tema eroico principale e lo adatta ad un contesto diverso, facendolo divenire il punto di partenza di una sezione narrativa che è invece contraddistinta da una riflessione sul tema del linguaggio ed anche, come vedremo, dell’invidia.