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Invidia attiva, passiva, “dinamica”

Capitolo 2 Semantica dell'invidia latina

2.8 Invidia attiva, passiva, “dinamica”

Come abbiamo avuto modo di vedere nel capitolo precedente, il termine invidia poteva ricoprire, nella lingua latina, tanto il significato di sofferenza provata alla

vista delle gioie altrui, quanto quello di sdegno, indignazione, risentimento.

L'ambiguità del termine, invidia, tuttavia, non era unicamente di carattere semantico. Cicerone documenta, infatti, anche un ulteriore elemento di confusione a proposito del termine, dettato dalla difficoltà di interpretare il lessema invidia come avente valore attivo o passivo358.

356 Mart. 3.21 proscriptum famulus servavit fronte notatus/ non fuit haec domini vita, sed invidia. Cfr. Val.Max. 6.8.7 ipse (servus) nihil aliud quam umbra et imago suppliciorum suorum, maximum

esse emolumentum eius a quo tam graviter punitus erat salutem iudicavit, cumque abunde foret iram remittere, adiecit etiam caritatem.

357 R. Kaster, invidia..., op.cit., p. 266.

358 Cic. Tusc. 3.20 Etenim si sapiens in aegritudinem incidere potest, posset etiam in misericordiam

posset in invidentiam. Non dixi invidiam, quae tum est cum invidetur; ab invidendo autem invidentia recto dici potest, ut effugiamus ambiguum nomen invidiae, quod verbum ductum est a nimis intuendo fortunam alterius; 4.16 aegritudini invidentia (utendum est enim docendi causa verbo minus usitato, quoniam invidia non in eo qui invidet solum dicitur, sed etiam in eo cui

L' Arpinate, proprio per evitare questo tipo di confusione, decise di ricorrere al termine invidentia, derivato dal participio presente di invideo, per indicare l'invidia attiva, ossia quella provata e sperimentata dal soggetto qui invidet. Il termine, tuttavia, nonostante l'autorità ciceroniana, non riuscì ad imporsi nel panorama degli usi linguistici, non trovando attestazioni negli autori a lui contemporanei, e testimonianze scarne anche in quelli successivi359.

Del resto, come recentemente sottolineato da Claude Moussy360, anche l'antonimo di invidia, cioè gratia, poteva applicarsi sia in senso attivo (benevolenza rivolta a qualcuno), sia in senso passivo (amicizia, benevolenza di cui si era oggetto e destinatario). Il lemma del ThLL mostra bene la complessità della parola invidia, strutturandosi attraverso la dicotomia invidia passiva-invidia attiva361.

Particolarmente importante, per gli studi sulla semantica di invidia, è l'accezione passiva del termine: in essa rientrano, anzitutto, le testimonianze del sostantivo con il senso di malocchio, o come, in generale, vis quaedam infesta felicitati, forza occulta di cui si è vittima362; oltre, poi, ad un senso assoluto del termine, in cui la valenza passiva è determinata dal contesto363, il ThLL documenta anche alcuni esempi di costruzioni verbali con invidia passiva; tra queste rientra il verbo essere (esse), sia in congiunzione con il nominativo (invidia est)364, sia, molto raramente, con il genitivo365, sia, soprattutto, con il dativo finale (invidiae esse366, formula accostabile ad esse odio=essere oggetto di odio). In congiunzione con altri verbi, risultano essere scarse le attestazioni di invidia passiva come soggetto (logico)367.

invidetur).

359 Invidentia, dopo l'uso ciceroniano, ritornerà in Apul. Plat. 2.16 e nella tarda latinità. Sul neologismo ciceroniano Cfr. G. Calboli, Linguistique et rhétorique: le changement contrôlé du

sens, in Conceptions latines du sens et de la signification (ed. Moussy), Lingua latina V, PUPS,

1999, p.43 sgg.

360 C.Moussy, Invidiam Facere: un probléme de polysémie, in J.Champeaux, M.Chassignet (edd.),

Aere perennius: en hommage à Hubert Zehnacker, Parigi 2006, p.638.

361 Cfr. ThLL 7.2.;199, 63-65. I passive: invidia, ea qua premimur ab aliis invidentibus: sive i.q. livor, sive indignatio, offensio sim. (sc. contracta), quae notiones saepe seiungi non possunt.; 204; 17-20 II active: invidia ea, qua ipsi aliis invidemus.

362 ThLL 7.2; 199.66- 200.14. 363 ThLL 7.2; 200.14-56.

364 Cfr. e.g.,Cic. Fam. 9.16.5 quae est invidia, aut quid mihi nunc invideri potest?; Verg. Aen. 4. 350

quae... Teucros considere Italia. invidia est;

365 Cfr. Ovid. Am. 3.6.21 non eris invidiae, torrens.. ferendae; Ov. Met. 10 628 non erit invidiae

victoria nostra ferendae.

366 ThLL 7.2; 200. 69-81.

367 Cfr., e.g., Asell. Hist. 4 glisceretur (al.); Cic. Cluent. 83 ab eo invidiam descedere; Catil. 1.29 ne

Decisamente più numerose sono le attestazioni di invidia passiva come oggetto logico. In questo contesto rientrano le testimonianze sulla necessità di fuggire ed evitare l'invidia; concetto espresso attraverso espressioni come invidiam vitare,

amoliri, fugere, effugere368.

L'insieme più corposo di testi con il termine avente funzione di oggetto logico, documenta, tuttavia, il processo, opposto, di creazione, eccitazione di invidia, parola che, in questo contesto, assume spesso il significato di sdegno, ostilità, impopolarità.369 Stiewe distingue, a questo proposito, due diverse sfumature da attribuire ad espressioni come invidiam facere, movere, excitare et sim.370.

Un'azione, un gesto, una situazione, un possesso, potevano provocare invidia- ostilità, malevolenza senza che, nel testo, venisse esplicitata una effettiva volontà di procurarla Così un abuso senza ritegno, un sopruso, un comportamento aberrante, un uso eccessivo e smodato di potere e ricchezza erano in grado di provocare odio ed ostilità costituzionalmente, naturalmente e direttamente, in virtù della loro stessa natura371.

Si possono citare, in questo contesto, un paio di esempi: nella Guerra Giugurtina, Sallustio ricorda il rifiuto di Emilio Scauro ad accettare le offerte economiche dei legati di Giugurta, affinché un tale abuso non causasse quell'ostilità e sdegno che azioni di questo tipo erano solite generare (ne polluta licentia invidiam

accenderet)372; nel 461 a.C. Il figlio di Lucio Quinzio Cincinnato, Cesone, venne incriminato, nel contesto della lotta tra patrizi e plebei del V secolo, per l'uccisione del fratello del plebeo Marco Volscio Fittore. Mentre molti importanti personaggi della vita politica e militare assunsero la difesa di Cesone, ricordando ad esempio la sua intraprendenza ed il suo coraggio in battaglia, il padre, secondo il resoconto di Tito Livio, rifiutò di ricordare i meriti del figlio per la patria, al fine di non accrescere l'impopolarità nei suoi confronti. Il concetto che viene espresso, dunque, è che una lode eccessiva dei meriti del figlio avrebbe potuto accrescere, spontaneamente e contro le intenzioni del lodante, l'invidia verso Cesone.373

368 ThLL 7.2; 200.6-34.

369 Per le attestazioni di invidia passiva ed oggetto logico cfr. ThLL 7.2; 201.6-204.16. 370 K. Stiewe, op.cit., pp. 162-165.

371 Cfr.ThLL 7.2, 201. 35-202.46 Deest voluntas efficiendi vel certe non praevalet.. 372 Sall. Iug. 15.5.

Vi erano, però, altre occasioni e circostanze nelle quali l'eccitazione dello sdegno non scaturiva spontaneamente come riflesso di determinate azioni, ma veniva volontariamente ed intenzionalmente rivolto ed indirizzato a qualcuno, per tramite di tecniche retoriche adeguate e specifiche. Non a caso, le fonti che testimoniano queste occorrenze di invidia rientrano, nella grande maggioranza, all'interno del contesto politico e forense.374

Antonio, nel Dialogo ciceroniano De oratore, presentando gli accorgimenti necessari ad un retore per coinvolgere emotivamente i giudici, sottolinea ed enfatizza la vis del sentimento d'invidia375. Esso è di gran lunga il più violento di tutti, e ci vuole non meno fatica a frenarlo che a suscitarlo (sed haud sciam an

acerrimus longe sit omnium motus invidiae nec minus virium opus sit in ea comprimenda quam in excitanda)376. Gli uomini provano invidia soprattutto verso i loro pari o coloro che sono ritenuti inferiori; essi possono, però, anche invidiare chi è superiore, soprattutto se questi fa mostra di sé in modo intollerabile, oltrepassando i confini della legge (invident autem homines maxime paribus aut

inferioribus, cum se relictos sentiunt, illos autem dolent evolasse; sed etiam superioribus invidetur saepe vehementer et eo magis, si intolerantius se iactant et aequabilitatem communis iuris praestantia dignitatis aut fortunae suae transeunt377).

Se l'oratore vuole eccitare l'invidia contra questa condizione di privilegio, deve insistere sul fatto che essa non è frutto di virtù, ma di vizi e colpe (quae si

inflammanda sunt, maxime dicendum est non esse virtute parta, deinde vitiis atque peccatis, tum, si erunt honestiora atque graviora, tamen non esse tanti ulla merita, quantam insolentiam hominis quantumque fastidium)378.

Per sedare l'invidia, al contrario, l'oratore dovrà mostrare come la condizione del benessere del cliente sia stata ottenuta con grande fatica, affrontando grandi

374 Il significato di eccitazione dello sdegno non deve trarre in inganno: anche nell'uso retorico- forense il valore di invidia è sempre quello passivo. Il fine del procedimento consiste, infatti, nel rendere qualcuno odioso e malvisto.K. Stiewe, op.cit., p. 164, definisce, infatti, il senso attivo di

invidia nell'accezione di eccitazione del risentimento come fast iilegitim, da doch die passive Bedeutung von invidia zugrundelag und die völlig andersartige aktive Bedeutung <<Gefühl der mißgunst>> daneben bestehen blieb.

375 Cic. De or. 2.209-211. 376 Cic. De or. 2.209. 377 Cic. De or. 2.209. 378 Cic. De or. 2.209.

pericoli, ed a vantaggio della comunità, non per interessi personali (ad sedandum

autem, magno illa labore, magnis periculis esse parta nec ad suum commodum sed ad aliorum esse conlata)379.

Il sentimento di cui parla il retore è evidentemente composito: esso scaturisce alla vista di una condizione di superiorità (come l'invidia), ma si esaspera quando si ritiene che tale superiorità e condizione di benessere sia immeritata (mutando, dunque, in indignazione). Compito del buon oratore sarà, dunque, quello di sfruttare la carica di tale motus, enfatizzando l'indignazione dinnanzi ad un comportamento indegno, ma, al contempo, mantenendo sempre viva, anche se sotto traccia, la forza dell'invidia contro la condizione dell'avversario. Questo aspetto è ben evidenziato da Wisse, il quale sottolinea, a proposito delle riflessioni ciceroniane, quella medesima ambiguità semantica che abbiamo visto contraddistinguere, in generale, il lessema di invidia (ma anche del greco φθόνος):

so whereas Aristotle (…) distinguishes two feelings as originating from different motives (…) Cicero regards envy as based on both motives together. This approach seems to me superior to Aristotle's, or at least more practical. Aristotle states that envy is an emotion felt by bad people, indignation one felt by good ones, but the distinction between good and bad is notoriously difficult to maintain in such an absolute form, and the same goes for the true motives of the feelings involved380. Un concetto simile a quello presentato nel De oratore era stato già espresso, questa volta direttamente da Cicerone, nel trattato giovanile De inventione381, in un passo in cui l'invidia era stata accostata a sentimenti affini, come l'odio e il disprezzo: in

odium ducentur, si quid eorum spurce, superbe, crudeliter, malitiose factum proferetur; in invidiam, si vis eorum, potentia, divitiae, cognatio (pecuniae), proferentur atque eorum usus arrogans et intolerabilis, ut his rebus magis videantur quam causae suae confidere, in contemptionem adducentur, si eorum inertia, neglegentia, ignavia, desidiosum studium et luxuriosum otium proferetur.

L'importanza del ruolo rivestito dall'invidia nei tribunali verrà, in seguito, ribadita anche da Quintiliano, il quale, nell'Institutio, mise in rilievo come fosse una pratica

379 Cic. De or. 2.210.

380 J.Wisse, Ethos and pathos from Aristotle to Cicero, Amsterdam 1989, p.292. 381 Cic. De inv. 1.22

consolidata in ambito forense suscitare un clima di odio ed impopolarità contro il proprio avversario382.

Quando, al contrario, l'oratore si trovava nella necessità di dover sedare l'invidia mossa nei confronti del proprio cliente, poteva puntare, come strategia difensiva, sulla tecnica della tapeinosis. Essa consisteva nel ridimensionare la portata dell'invidia verso un cliente che godeva di una condizione di prestigio, sottolineando i labores, i periculi e l e miseriae affrontati dall'assistito per raggiungere tale condizione. Questa tecnica, teoricamente espressa da Antonio383, trova vivida eco in molte orazioni ciceroniane, nelle quali il rapporto tra invidia e commiserazione finisce per configurarsi come una dyadic relation384.

Nell'orazione in difesa di Murena, ad esempio, l'Arpinate, indulge sui motivi per cui il console dovrebbe essere commiserato, sia nel caso in cui venga privato del consolato, sia nel caso in cui riesca a mantenerlo: in entrambi i casi non sussiste alcuno spazio per l'invidia, ma solo per la pietà; anzi, sottolinea Cicerone, laddove Murena riuscisse a conservare la carica di console, dovrebbe essere commiserato proprio perché destinato a divenire vittima inevitabile, data la sua posizione, di invidia: misericordiam spoliatio consulatus magnam habere debet, iudices; una enim

eripiuntur cum consulatu omnia; invidiam vero his temporibus habere consulatus ipse nullam potest; obicitur enim contionibus seditiosorum, insidiis coniuratorum, telis Catilinae, ad omne denique periculum atque ad omnem iniuriam solus opponitur. Quare quid invidendum Murenae aut cuiquam nostrum sit in hoc praeclaro consulatu non video, iudices; quae vero miseranda sunt, ea et mihi ante oculos versantur et vos videre et perspicere potestis385.

La commiserazione comporta dunque un alleggerimento del peso dell'invidia che

grava sul cliente, spesso associato al trasferimento di questa verso la controparte, in

382 Quint. Inst. 5.6.5 Quae excusatio si deerit, hoc unum relinquetur, ut invidiam sibi quaeri ab

adversario dicat atque id agi, ut in causa, in qua vincere non possit, queri possit.

383 Cic. De orat. 2.210-211. La coppia oppositiva misericordia-invidia compare in molti luoghi ciceroniani: De orat. 2.216, 2.189, 2.203, 2.206, 2.214; Brut. 188; Rab. Post. 46.

384 L'espressione è utilizzato da M. Zerba, op.cit., p. 300, a proposito del rapporto invidia-amor nel

De oratore. La relazione tra invidia e misericordia si configura, d'altronde, come un topos già

nella filosofia greca, come mostra E.B.Stevens, Envy and pity in greek philosophy, <<AJPh>>, 69 (1948), pp. 171-189.

un procedimento che verrebbe da definire “inversamente proporzionale”386.

Invidiam facere, dunque, equivaleva, in contesti come questi, a suscitare lo sdegno

popolare; per ottenere tale scopo, a volte, non occorrevano neppure le parole, le calunnie, le diffamazioni scoperte: risultava più forte il linguaggio non verbale387. A differenza, infatti, di altre “passioni” retorico-oratorie, l'invidia non poteva contare su un contagio immediato, non si trasmetteva in modo mimetico dall'oratore al pubblico: antifrastica all'”amor” ed alla “misericordia”, nonché alla

“gratia”, al “favor” ed alla “gloria”, ma affine all'”odium”, all'“offensio”, all'”iracundia”, invidia necessita di specifici accorgimenti per essere suscitata388. Nella Pro Sestio Cicerone ricorda come Gabinio, nella sua qualità di tribuno della plebe, usasse mostrare alla contio, locus invidiae per eccellenza389, una tela dove era dipinta la villa di Lucullo, al fine di suscitare l'invidia popolare contro costui. Cicerone, a sua volta, per attaccare Gabinio ricorre al medesimo espediente a cui era ricorso il suo avversario per rendere inviso Lucullo: additare alla vista di tutti la villa di Gabinio, villa talmente grande da mettere in ombra quella di Lucullo390. Uno fra gli espedienti visivi più usati (ed abusati) dai retori e gli oratori nelle

perorationes per muovere a compassione i giudici era certamente quello del cosi

detto <<spettacolo dell'infanzia>>, spettacolo che, spesso, si configurava come una vera e propria sfilata di bambini in lacrime.

Nelle Verrine Cicerone lascia intravedere la critica dell'oratore Ortensio, avvocato difensore di Verre, che lo accusava di demagogia per aver introdotto, tra i testimoni, un ragazzino orfano e vestito a lutto: hic etiam priore actione

Q.Hortensius pupillum Iunium praetextatum venisse in vestrum spectum et stetisse

386 V.Chinnici Passioni retoriche a confronto: invidia vs misericordia, <<Paideia>>, 62 (2007), p. 234.

387 Sull'uso di elementi visivi sulla scena oratoria, tesi al coinolgimento emotivo dell'uditorio, cfr. G. Moretti, mezzi visuali per le passioni retoriche: le scenografia dell'oratoria, in G.Petrone (a cura di), Le passioni della retorica, Palermo 2004, pp. 63-96.

388 V.Chinnici, Et sine culpa invidia ponatur (Cluent. 5):le finzioni di Invidia in Cicerone oratore, in G. Petrone-A. Casamento, Lo spettacolo della giustizia. Le orazioni di Cicerone, Palermo 2007, p. 220.

389 Cfr., infra, n. 403.

390 Cic. Sest. 93 Cum sciat duo illa rei publicae paene fata, Gabinium et Pisonem, alterum..villa

edificare in oculis omnium tantam, tugurium ut iam videatur esse illa villa quam ipse tribunus plebis pictam olim in contionibus explicabat, quo fortissimum ac summum civem in invidiam homo castus ac non cupidus vocaret.

cum patruo testimonium dicente questus est et me populariter agere atque invidiam commovere quod puerum producerem clamitavit391.

Gli esempi riportati permettono di osservare e verificare un collegamento molto stretto tra il sentimento di invidia che doveva essere scatenato e quello della misericordia, per mezzo del quale si spingeva il pubblico all'indignazione.

Quanto questi elementi potessero essere utili per suscitare lo sdegno popolare, viene ben mostrato da una controversia di Seneca padre,392 il cui tema è il seguente:

Quidam, cum haberet filium et divitem inimicum, occisus inspoliatus inventus est. Adulescens sordidatus divitem sequebatur; dives eduxit in ius eum et postulavit, ut, si quid suspicaretur, accusaret se. Pauper ait:<<Accusabo, cum potero>> et nihilominus sordidatus divitem sequebatur. Cum peteret honores dives, repulsus accusat iniuriarum pauperem393.

Il problema di fondo costituito dalla controversia consiste nella determinazione della colpa di iniuria perpetrata dal giovane. Di fatto, l'unica offesa, di natura verbale, consisteva in quella minaccia di una possibile futura accusa formale che il ragazzo aveva rivolto al presunto assassino; accusabo, cum potero. Resta tuttavia

poco verosimile che quell'unico accenno minaccioso del ragazzo a un'eventuale formalizzazione di un'accusa precisa avesse scatenato un'invidia popolare tale contro il nemico del padre.394

Il retore Albuzio, nella simulazione del dialogo tra i due contendenti, fa specificare meglio, nelle parole del ricco, il tema dell'ingiura. Dice il ricco, infatti:

Ut scias... te invidiam mihi facere, cum dixissem: accusa me, non negasti te accusaturum, sed respondisti: accusabo, cum potero.

I l crimen, dunque, di cui pare essere accusato il giovane è proprio quello di

invidiam facere, di suscitare l'odio contro il ricco. Il crimine, inoltre, non si limitava

solamente alla minaccia verbale, ma anche, e soprattutto, all'insieme di atteggiamenti ed azioni del giovane: il suo vestirsi trasandato ed a lutto (sordidatus), in opposizione al ricco candidatus (vestito con la toga candida), le sue

391 Cic. Verr. 2,1, 151-152.

392 Per un'analisi della controversa senecana, Cfr. V. Chinnici, Passioni retoriche.., op.cit., pp. 236- 241.

393 Sen. Contr. 10.1.

lacrime continue, il seguire passo dopo passo il presunto assassino del padre il suo mostrare gli aspetti più gretti della sua condizione economica; tutto questo insieme di atteggiamenti non aveva altro fine se non quello di attirare l'invidia- nemesi popolare contro un uomo ricco che, dopo aver ucciso il padre del ragazzo, ora veniva implorato e seguito dal ragazzo orfano, vestito di stracci. Le sue azioni ed il suo aspetto rappresentavano autentici capi d'accusa contro il ricco.

Aspetto, quest'ultimo, che bene viene evidenziato, all'interno della controversia, dalla questione pregiudiziale sollevata dal retore Gallione: se si possa accusare per ingiurie chi fa ciò che a tutti è lecito fare; l'idea del ricco, evidentemente è che: licet

flere, licet ambulare qua velis, licet sumere vestem quam velis sumere. Sed nihil, inquit, licet in alienam invidiam facere. Sordidatus es, non queror; sed si sordes tuae invidiam mihi concitant, queror395.

Come evidenziato dal giurista Ulpiano396, tale meccanismo invidia-misericordia, lecito e contemplato nelle aule del tribunale, venne sanzionato, al di fuori di esse, con un editto del pretore che vietava risolutamente qualsiasi parola, gesto o atteggiamento che potesse arrecare l'invidia contro qualcuno, rendendolo impopolare ed inviso: in questo senso, l'invidia suscitata nelle piazze diventa

iniuria. Altre tecniche con le quali si poteva provocare lo sdegno popolare erano

costituite dall'indossare abiti a lutto397, gettarsi ai piedi di un potente398, svolgere la

flagitatio399, mostrarsi umili per sottolineare ed enfatizzare il carattere oppressivo del contendente400, fino ad arrivare, con le forme estreme, al suicidio401.

Questi esempi, pur nella diversità dei contesti e delle situazioni di riferimento, manifestano, al contempo, un importante elemento di continuità, costituito dal

395 Contr.10.1.9.

396 Dig. 47.10.15.27.Generaliter vetuit praetor quid ad infamiam alicuius fieri, proinde quodcumque

quis fecerit vel dixerit, ut alium infamet, erit actio iniuriarum. Haec autem fere sunt, quae ad infamiam alicuius fiunt: ut puta ad invidiam alicuius veste lugubri utitur aut squalida, aut si barbam demittat vel capillos submittat, aut si carmen conscribat vel proponat vel cantet aliquod quod pudorem alicuius laedat. In base alle osservazioni di A.D. Manfredini, La diffamazione verbale nel diritto romano, vol.I, Età repubblicana, Milano 1979, p.54 n.23. L'editto del pretore

sarebbe da datarsi attorno al secondo decennio del I secolo a.C. 397 Cfr. e.g. Stat. Theb, 6, 41-44.

398 Cfr. e.g. Sen. Contr, 10, 1.1.

399 Cfr. Cic. Verr. 2.4.41, Quint. D Min. 279.16, 316.4, 11, 318.4; Tac. Ann. 11.34, 16.10; Petr. Sat. 14.