Capitolo 3 Aglauro e l'Invidia nel secondo libro delle Metamorfosi
3.4 L'exemplum della cornacchia
Ovidio, con magistrale architettura narrativa, crea, nella sezione di nostro interesse, un suggestivo gioco di piani temporali .
Il narratore di primo livello è onnisciente: conosce quale sarà l’esito, infausto, dell’intera vicenda e ne rende edotto il lettore, come abbiamo visto. Il corvo vive la vicenda nel suo delinearsi, nel presente del suo svolgersi, senza immaginare la conseguenza della sua azione; la cornacchia, infine, ricorre ad un termine che gioca, evidentemente, sull’intersecarsi dei diversi livelli di consapevolezza delineati sino ad ora: il sostantivo praesagium vale infatti, in latino sia come presagio che come avvertimento501, con una sfumatura di significato che permette di accostare, nel primo caso, la cornacchia al medesimo campo di informazioni del narratore e del lettore (anche se il lettore viene messo di fronte al fatto già compiuto, mentre la cornacchia vedrebbe compiuta nel futuro un’azione comunque ancora delineantesi nel suo tempo presente), nel secondo caso, invece, la cornacchia rimarrebbe perfettamente inserita nel tempo di sviluppo e formazione delle vicende narrate, avvicinandosi, sotto questo aspetto, al corvo, dal
500 G.B.D'alessio, Callimaco: Inni; Epigrammi; Ecale, Milano 1996, pp. 316-317, n.81.
501 U. Von Wilamowitz-Moellendorff, Über die Hekale des Kallimachos, <<Kleine Schriften>>, 2 (1893), pp. 30.47.; A.Keith, op.cit., pp. 52-53.
quale rimarrebbe comunque distinta per l’influenza che, in essa, riveste il campo temporale del passato, foriero di importanti esperienze per la cornacchia, grazie alla quali essa può riuscire ad immaginare, quanto meno, l’esito futuro dei fatti, peraltro gìa noti al lettore.
Il gioco di sfasatura dei piani temporali incide in maniera importante anche sulla natura della predizione, o avvertimento, della cornacchia.
Essa presenta, infatti, per la prospettiva del lettore, la peculiarità di essere un presagio di un avvenimento futuro, che Ovidio colloca già nel passato rispetto al tempo della narrazione principale, e del quale, soprattutto, il poeta stesso aveva in anticipo predetto gli esiti finali. E’ chiaro, dunque, che la profezia/presagio della cornacchia non ha, per il lettore delle Metamorfosi, un valore effettivo per lo sviluppo futuro delle vicende, ma mantiene un valore importante perchè il lettore, già informato su quale sarà l'esito delle vicende, può giudicare ex post, sulla base delle proprie conoscenze, il comportamento sprezzante del corvo dinnanzi ai consigli del volatile.
La profezia della cornacchia, inoltre, ha la particolarità di nascere dall'esperienza passata dell’uccello, acquisendo dunque credibilità ulteriore, in quanto la cornacchia aveva avuto modo di conoscere i rischi e le consequenze di quel medesimo tipo di comportamento ed atteggiamento che ora vedeva manifestarsi nel corvo. L’esito di questa complessa operazione narrativa fa si che, in realtà, ad essere veramente importante nella vicenda della cornacchia sia non tanto il futuro della predizione, ma il passato della sua esperienza, e che, prima ancora di essere un oracolo, ella assuma il ruolo di paradigma, di exemplum.
Si può presentare, a questo proposito, un accostamento, significativo nella sua diversità, con un altro passo delle Metamorfosi nel quale una storia funge, appunto, da modello per un’altra.
L’esempio in questione è tratto dalla parte conclusiva del III libro. In essa troviamo narrata la drammatica vicenda del re di Tebe Penteo che si oppone ferocemente all’introduzione, nell sua città, del culto bacchico; l’odio, l’ostilità, il furor di Penteo nei confronti della divinità è talmente acceso che il re arriva a pretendere addirittura l’arresto del dio. Al posto di Bacco, tuttavia, viene tradotto in carcere il marinaio Acete, il quale racconta la sua storia al re: durante una sosta nell’isola di
Chio dei marinai tirreni, suoi compagni di navigazione, avevano preso in ostaggio un bellissimo giovane; Acete percepisce subito nel giovane la presenza della potenza divina e cerca di opporsi al sopruso, venendo però sopraffatto. I marinai promettono a Bacco di condurlo a Nasso, ma in realtà, fingendo di puntare sull’isola, cambiano la direzione della rotta. Il dio, accortosi dell’inganno che gli era stato teso, manifesta tutta la sua potenza e punisce gli empi trasformandoli in delfini. Ad essere risparmiato è solo il pio Acete, divenuto fedele compagno del dio (vv. 582-691).
Non appena il narratore conclude la storia Penteo lo condanna a morte. Ma ecco che Acete si rivela una maschera: sotto le sue spoglie e la sua immagine era celata, in realtà, proprio la figura di Bacco (vv. 692-700).
Il tema conduttore di queste vicende è quello dell’apparenza ingannevole: i marinai ignorano che il giovane ostaggio sia in realtà Bacco, esattamente come, nella cornice della storia, è il re Penteo ad ignorare che lo stesso Bacco si nasconda sotto la figura di Acete: incapace di scorgere il valore di exemplum nella storia perfettamente speculare narratagli da Acete-Bacco, Penteo è sordo anche alla rivelazione, alla occasione offertagli dalle parole di Acete. Quest’ultimo, infatti, per garantire la veridicità del suo racconto relativo ai prodigi di Bacco, giura nel nome del Dio:
Per tibi nunc ipsum (nec enim praesentior illo est deus) adiuro502.
Rosati ha, efficacemente, sottolineato, nel suo lavoro, l’ambiguità lessicale dell’aggettivo praesens: mentre, infatti, alle orecchie di Penteo praesens conserverebbe il suo significato prettamente religioso di ‘propizio’, il lettore vi coglierebbe il suo senso più <<immediato è pieno>> di ‘presente’ (presente fisicamente, nella figura di Acete)503.
Anche in questo caso il testo rivela la natura complessa del linguaggio, i suoi differenti livelli e le sue molteplici sfaccettature configurandosi, ancora una volta, come spettacolo. La vicenda della cornacchia, come abbiamo visto, si colloca in
502 Ov. Met. 3. 658-659.
tutt’altro contesto. Il modello offerto dalla cornacchia è chiaro e limpido, non deve essere desunto da espressioni o frasi ambigue. Mentre, dunque, nell'episodio di Acete e Penteo, l'exemplum si struttura proprio attraverso il linguaggio e l'intervento del narratore, nell'episodio del corvo il linguaggio, il suo ruolo, la sua funzione divengono piuttosto oggetti di riflessione, elementi interni all’exemplum piuttosto che strumenti che agiscono sulla sua forma, sul suo stesso costituirsi. Anche questo aspetto non fa che confermare, dunque, come la sezione di nostro interesse presenti caratteristiche formali che delineano un distacco temporale, e conoscitivo, tra lettore ed i personaggi delle vicende molto più chiaro e marcato rispetto a quanto non si verifichi in altre vicende dell’opera ovidiana. La posizione di distacco conoscitivo immediato di narratore e lettore dalla narrazione, il dialogo tra uccelli che richiama la fabula esopica, l'esplicitazione della colpa del corvo prima della sua descrizione e presentazione, sono elementi che sottolineano ed enfatizzano la componente morale di questa sezione testuale.