Capitolo 2 Semantica dell'invidia latina
2.3 Proposte etimologiche di invideo
In un articolo apparso sulla rivista <<Glotta>> nel 1993171, lo studioso tedesco Hans Wieland si è occupato di indicare una serie di passi della letteratura latina nei quali il verbo invidere e gli aggettivi invidus/ invìda si trovavano ad essere collegati con il verbo semplice videre, formando quella che lo studioso definisce una latente
Antithese172; i passi proposti sono interessanti, e penso valga la pena riproporli sinteticamente. Nel primo libro del De rerum natura Lucrezio, sottolineando
169 Cfr. R. Lanzillotta, op.cit.,p.81 Resorting to envy as an explanation for divine opposition to human
plans, therefore, might have been nonsensical. Not only because gods and humans are then placed on the same existential level, but also, and especially, because it seems to imply that gods desired and were attracted to the nothingness of human happiness.
170 Cfr. T.Rakoczy, Böser Blick, Macht des Auges und Neid der Götter: eine Untersuchung zur Kraft
des Blickes in der griechischen Literatur, Tubinga 1966.
171 H.Wieland, Invidere-Videre. Eine poetische Antithese, <<Glotta>>, 71 (1993), pp. 217-222. 172 H. Wieland, op.cit. p. 219.
l'incapacità della vista umana a cogliere il movimento degli atomi, ricorre all'immagine di un'invida natura che ha precluso all'uomo tale possibilità: sed quae
corpora decedant in tempore quoque,/ invida praeclusit speciem natura videndi173;
nell'undicesimo libro dell'Eneide, Enea, scorto il cadavere di Pallante, lamenta la crudeltà della sorte, che non ha permesso al giovane di rivedere la casa del padre Evandro né la nascita del regno di Enea: <<tene>> inquit, <<miserande puer, cum
laeta veniret,/ invidit fortuna mihi, ne regna videres/ nostra neque ad sedes victor veherere paternas?174; sempre nell'undicesimo libro, inoltre, Diomede, durante il
dialogo con il messo latino, ricorda l'intervento divino che gli ha impedito di rivedere la sposa diletta e la bella Calidone. Invidisse deos, patriis ut redditus aris/
coniugium optatum et pulchram Calydona viderem?175
Alle testimonianze proposte da Wieland si può aggiungere, a conferma di come l'antitesi invidere/videre non fosse esclusivamente di natura poetica, anche un passo della pro Murena di Cicerone: Quare quid invidendum Murenae aut cuiquam
nostrum sit in hoc praeclaro consulatu non video, iudices176.
In alcuni casi, poi, gli aggettivi invidus/invida, anche se non accostati direttamente al verbo videre, si trovano comunque inseriti in contesti caratterizzati da un'assenza od un ostacolo alla capacità visiva: così, per esempio, nel quarto libro delle Metamorfosi di Ovidio, Piramo e Tisbe lamentano l'invidia del muro che impedisce loro di vedersi ed incontrarsi: “Invide”, dicebant, “paries, quid amantibus
obstas?.177
L'accostamento invidere-videre troverà riscontro, inoltre, in grandi classici della letteratura italiana e straniera, come Tasso e Góngora.178.
Negli esempi proposti è chiaro il collegamento tra l'invidia e la sfera dell'azione visiva. Al contempo, tuttavia, è chiaro come il rapporto sussistente tra i termini sia di contrasto e di opposizione. La sorte, gli dei, la natura, hanno, di fatto, impedito a qualcuno di vedere qualcuno/ qualcosa.
173 Lucr. 1. 320-321 174 Verg. Aen. 11. 42-44 175 Verg. Aen. 11. 269-270 176 Cic. Mur. 87-88. 177 Ov. Met. 4. 73.
178 Cfr. e.g., T.Tasso, Il Messaggero , tu a me non ti dei nascondere, né la veduta di queste cose
mirabili invidiarmi. Molteplici gli accostamenti in Góngora, per i quali cfr. G.Poggi, Gli occhi del pavone: quindici studi su Góngora, Città di Castello 2009, p.28.
Partendo da questi esempi, Wieland ha rilevato nell'aggettivo invidus il significato di “che non lascia vedere”. L'opposizione, a suo dire, sembra dunque essere quella radicale, del tipo vedere/non vedere. In questo modo, il valore da attribuire al prefisso in di invidere sarebbe quello privativo.
Lo studioso presuppone, infatti, un valore originario di invidus/invida come nicht
sehend o unsichtbar179. Il passaggio al concetto di privazione visiva,
(Sichtverhinderung), e quindi al significato proprio, per Wieland, dell'aggettivo (che impedisce la visione), si comprenderebbe per mezzo della trasposizione dell'aggettivo dal soggetto che non vede alle circostanze che impediscono la visione. In altre parole, il procedimento sarebbe quello, tipicamente metonimico, che si verifica nell'assegnazione di un aggettivo a soggetti inanimati. Così, in latino, una nox caeca è una notte che non fa vedere, la lux ignava di cui parla Giovenale180 è, di fatto, la nostra Domenica, giorno in cui non si lavora, un immemorem
amnem181 è un fiume che causa oblio, un'insomnis cura182 è un affanno che non dà
tregua.
Al valore privativo del prefisso in sia i n invidus che in invidere, rimanderebbe, secondo lo studioso, anche una analisi semantica che sul verbo ha offerto un passo del grammatico Priscilliano.
Questi, infatti, aveva interpretato il verbo invideo come non video, aggiungendo, però, una precisazione importante: hoc est, non ferens te bene agentem videre183.
Questa aggiunta, che Wieland interpreta come una semantische Einrenkung184, fornisce dunque una precisazione importante al valore privativo da assegnare all'in.
La precisazione di Priscilliano si configura, dunque, proprio come la volontà di non ingenerare confusione morfologica e semantica (che si sarebbe creata interpretando invideo come, sic et simpliciter, non video) e chiarendo che non video vale, in realtà, come non ferre videre. Nell'interpretazione di Priscilliano, dunque,
179 H.Wieland, op.cit., p. 219, n. 10.
180 Iuv. 14. 105-106 Sed pater in causa, cui septima quaeque fuit lux/ ignava et partem vitae non
attigit ullam.
181 Stat. Silv. 5.2.96 182 Lucan. 2. 239
183 Prisc. Gramm. 3. 268. 30-31“invideo tibi” quasi “non videns tibi” hoc est “non ferens te bene
agentem videre”.
non solo il non videns diventa videre, ma la sfera visiva diventa la condizione necessaria e sufficiente per l'invidia: senza l'azione visiva, infatti, non potrebbe realizzarsi quel non ferre videre che costituisce, per Prisciliano, l'essenza dell'atteggiamento invidioso.
L'idea, dunque, non è quella di una visione negata, di un non vedere assoluto, ma di una visione tesa e sofferente. L'interpretazione non si discosta molto dalla presentazione dantesca degli invidiosi, che abbiamo già esaminato. Nel Purgatorio, infatti, la pena cui sono sottoposti gli invidiosi non è quella di una cecità naturale, bensì una vera e propria tortura visiva, simbolo ed emblema di quella visione straziata e sofferta che aveva contraddistinto in vita questa categoria di penitenti185. Un importante ostacolo per l'interpretazione del prefisso in come privativo nel verbo invideo deriva, oltre che dalla semantica, anche dalla morfologia. Come sottolineato dal dizionario etimologico Ernout-Meillet186, infatti, il prefisso i n può avere valore privativo (come il greco ἀ-, ἀν-) davanti a forme nominali ed avverbiali, mentre non assume mai valore privativo dinnanzi ad un verbo: il contrario di sciō è nesciō (l'aggettivo è invece inscius), di legō è neglegō, di
volō è ne volō>nōlō .
Anche davanti ad un sostantivo, del resto, il valore privativo di i n risulta essere scarsamente documentato187. A proposito del valore da assegnare al prefisso, escludendo quello privativo188, Leumann189 ha scorto, nel verbo composto, lo stesso valore del preverbo di ignosco, che Wackernagel aveva accostato al sanscrito anu,
185 Cfr. anche Uguccione da Pisa, Magnae Derivationes: invideo tibi, idest non video tibi, idest non
fero videre te bene agentem
186 A.Ernout-A.Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine: histoire des mots, Parigi 1967, pp. 311-312.
187 Cfr.l'opposizione otium/negotium; fas /nefas .
188 A.Ernout -A.Meillet, op.cit., p.321, rimandano, per la connessione etimologica tra invidia e sfera visiva, allo slavo ne-zaviděti, nel quale il preverbo ha chiaramente valore privativo (come confermato da termini come neviděnije <<cecità>>, nevidimŭ e nevidomŭ <<invisibile>>). Come mostrato da R.Gusmani, Un calco con falsa motivazione: slavo nenaviděti, in Romania et Slavia
Adriatica, G.Holtus-J.Kramer (edd.), Amburgo 1987, pp.251-254, tuttavia, la formazione slava è
da intendersi come calco, sul modello latino invidere, compiuto probabilmente da un membro dell'ambiente del patriarcato di Aquileia, il quale dovette, però, aver frainteso il prefisso in come negativo, attribuendo dunque al modello una motivazione erronea.
189 M. Leumann, A.Ernout-A.Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue Latine (review), <<Gnomon>>, 13 (1937), pp. 27-36. Questo valore del prefissoide in sarebbe attivo, per Leumann, anche nel verbo invenio, dando al verbo il significato etimologico originario di
nachgehen: “einer sache nachgehen” führt viel leichter auf “fnden” als “in etwas hineingehen”, op.cit., p.33.
con il significato di “nach, hinterher190”; Per Ernout-Meillet, tuttavia, risulterebbe
difficilmente comprensibile il passaggio dalla forma indoeuropea originaria *enu alla forma latina in.
Pascal191 aveva distinto, a seconda del valore specifico da conferire al preverbo, due distinte forme di invidere: la prima formata con un in avente valore intensivo, nel senso di guardare con attenzione, riallacciandosi, per questa accezione del prefisso, a Cicerone, che, nelle Tusculanae, definisce l'invidia come un intueri nimis:
verbum invidendi ductum est a nimis intuendo fortunam alterius;192la seconda,
invece, con in avversativo che trasformerebbe, in questo caso, il senso del verbo in
guardare contro, quindi odiare. Gli studiosi A.Ernout-A. Meillet hanno, invece,
accostato il verbo invidere al greco ἐπιβλέπειν, con il significato di jeter le mauvais
oeil à193.
In questo caso, è evidente che il valore assegnato al prefisso sia sostanzialmente accostabile a quello del preverbo ἐπί che vale, in greco, sia per indicare direzione (verso), che opposizione (contro).
Il verbo ἐπιβλέπω, infatti, ha, in greco, principalmente il valore di guardare con
attenzione194, ma può anche assumere, come in Sofocle195
,
il significato diguardare
con invidia, invidiare. nel senso di guardare con ostilità, osservare con sguardo cattivo.Il prefisso in indicherebbe, dunque, l'ostilità dello sguardo invidioso, la sua natura di occhio contorto ed obliquo che si volge con ostilità verso la cosa o la persona invidiata196. Al contesto del malocchio, nel quale la vista è storta, obliqua, malvagia ed ostile, ma anche, contemporaneamente, potenziata ed intensificata nel suo rivolgersi a ciò che si invidia, può, dunque, ben adattarsi anche la testimonianza, sopra menzionata, delle Tusculanae Disputationes197.
190 J.Wackernagel, Ignosco, <<Symbolae Philologicae O.A. Danielsson octogenario dicatae>>, Upsala 1932, pp. 383-390, accostava il verbo ignosco al sanscrito anu-jňa -permettere. 191 C. Pascal, Invidere, <<Bollettino filologia classica>>, 8 (1902), pp. 157-158.
192 Cic. Tusc. 3. 20. 193 Cfr., supra, n.188.
194 Cfr. Th. Gr. l. IV 1535, s.v. ἐπιβλέπω.
195 Soph. Oed. T. 1526 οὗ τίς οὐ ζήλῷ πολιτῶν ἦν τύχαις ἐπιβλέπων.
196 Invisus, aggettivo derivante dal part.perf. di invideo vale, infatti, come mal visto>antipatico,
odiato, odioso , cfr. ThLL 7.2.197.12-199.18. La formazione morfologica nominale, tuttavia, ha
permesso lo sviluppo di un'accezione di invisus come mai visto (con in privativo, dunque), le cui attestazioni sono, peraltro, molto rare: cfr. Cat. Agr. 141.2; Cic. Har. 57; Apul. Met. 5.3.
197 Il rapporto linguistico tra invidia e malocchio è diffuso nell'area indoeuropea: Cfr. lituano pa-
È probabile, dunque, che in origine il significato proprio del verbo fosse quello di
gettare lo sguardo verso qualcuno/qualcosa, con intenti ostili. È significativo, infatti,
che per indicare l'azione, neutra, del guardare in/ volgere lo sguardo in una direzione i latini ricorressero ai verbo inspicere ed aspicere (radice *spec) e non ad
invidere. Non attestato è invece il verbo advidere con il quale invidere avrebbe
costituito un opposizione simile a quella, in questo caso omoradicale, tra advehere (portare verso) ed invehere (che può avere anche il valore di portare contro).
La connessione con il malocchio è presentata come significato proprio ed originario del verbo da A.Ernout-A.Meillet, Wünchs198, Stiewe199, oltre che nel
ThLl,200 dove quello di mala vis oculi viene indicato, appunto, come primo ed
originario significato. Il termine, dunque, deriva la sua negatività direttamente dallo sguardo ostile e malevolo che caratterizza la persona invidiosa.
È significativo, infatti, che la costruzione originaria del verbo fosse transitiva e prevedesse, dunque, la presenza di un complemento oggetto, esattamente come avviene per i verba videndi inspicio, video ed intueor. Cicerone, infatti, citando un passo del Melanippo di Accio, deprecava, nelle Tusculanae, l'avvenuta sostituzione dell'accusativo, cui originariamente si ricollegava il verbo, con il dativo utilizzato ai suoi tempi201.