Capitolo 2 Semantica dell'invidia latina
2.7 La semantica di invidia
Per quel che concerne lo status quaestionis relativo alle ricerche sulla semantica ed al valore di invidia nel mondo romano, la situazione viene così riassunta, in un recente articolo, da Valentina Chinnici: la semantica di invideo e dei suoi derivati
risulta, com'è noto, una delle più complesse. A differenza di altri Wertbegriffe latini,
indagati in ampie e sistematiche indagini semantiche (si pensi soprattutto a certi studi lessicali di ambito francese), su invidia esiste una letteratura variegata, ma anche frammentata e parziale, che riflette d'altro canto la poliedricità di un termine quanto mai versatile316.
L'interrogativo principale che dobbiamo porci in questo contesto è il seguente: il termine latino invidia risulta essere contraddistinto e caratterizzato da quella ricchezza semantica che abbiamo visto nel suo corrispettivo greco φθόνος ?
Un'esauriente risposta al problema è stata recentemente fornita dallo studioso Robert Kaster in un lavoro dal titolo, eloquente, di Invidia, νέμεσις, φθόνος and the
roman emotional economy.317 Lo studioso americano sostiene la tesi per cui, per
una sorta di 'economia emozionale' realizzatasi nel mondo romano, la singola etichetta semantica di invidia racchiuderebbe e restringerebbe un'ampia varietà di sentimenti e slanci emotivi, tra cui quelli espressi dai termini greci νέμεσις e
φθόνος.
A quella di Kaster, tuttavia, è da preferire, io credo, la definizione fornita da Francesca Nanna la quale, nel suo studio sul carme V di Catullo318, sostituisce l'espressione dello studioso britannico con quella di economia lessicale: il mondo romano, sottolinea infatti la studiosa, era ben consapevole della vastità di uno stato
effettivo plurivalente qual'è l'invidia319.
316 V. Chinnici, Passioni retoriche a confronto: invidia vs. misericordia, <<Paideia>>, 62 (2007), pp.1- 15
317 In AA. VV. (ed. D. Konstan, N.K. Rutter), Envy, Spite and Jealousy. The Rivalrous Emotions in
Ancient Greece, Edinburgo 2003, pp. 253- 276. Lo studioso riprende, in buona misura,
osservazioni già esposte in R. Kaster, Invidia and the end of Georgics 1, <<Phoenix>>, 56 (2002), pp. 275-295.
318 F. Nanna, Nequis malus invidere possit: un esempio di reminiscenza plautina in Catullo, <<Aufidus>>, 61 (2007), pp. 19-58.
I Romani, come i Greci, conoscevano, dunque, le caratteristiche e le differenze tra vari stati ed affezioni320, nonché la molteplicità di sfumature semantiche concernenti un medesimo termine, ma le loro distinzioni lessicali spesso non coincidono con quelle oggi abitualmente in uso, conglobando all'interno di un medesimo lessema polisemie oggi perse. Quello osservato da Kaster è, insomma, un fenomeno sostanzialmente simile a quello che abbiamo visto essere presente nel mondo greco, con il termine φθόνος utilizzato per indicare un insieme di affetti ed emozioni distinte, varianti dall'invidia all'indignazione, dallo zelo alla gelosia. Al di là della definizione utilizzata, comunque, il lavoro di Kaster è utilissimo anche per l'approccio metodologico utilizzato dallo studioso. La ricerca di Kaster prende le mosse da una lettera di Cicerone ad Attico321, in cui l'Arpinate, scrivendo dalla Cilicia nel settembre del 51 a.C, risponde come segue alla notizia che un suo rivale, M.Calidio, sia stato sconfitto alle elezioni consolari tenutesi proprio in quell'anno:
quod scribis libente te repulsam tulisse eum qui cum sororis tuae fili patruo certaret, magni amoris signum. Itaque me etiam admonuisti ut gauderem; nam mihi in mentem non venerat. 'non credo' inquis. Ut libet; sed plane gaudeo, quoniam τὸ νεμεσᾶν interest τοῦ φθονεῖν.
L'aspetto che Cicerone vuole sottolineare, dunque, è che se egli avesse gioito della disfatta di Calidio solo perché riguardava Calidio, un suo rivale in politica, il suo sarebbe stato stato un atteggiamento malevolo, dettato dallo φθόνος.
Rallegrarsi della disfatta del suo avversario non perché questa sia capitata al suo avversario, ma bensì perché si trattava di una disfatta meritata, era invece segno di nobiltà d'animo. Il passaggio presentato dal testo è dunque quello tra un sentimento di φθόνος ed uno di νέμεσις.
Per quale motivo, è l'interrogativo posto da Kaster, Cicerone dovette ricorrere ai termini greci per indicare, nella sua epistola, il sentimento di indignazione e d'invidia? La risposta a cui giunge lo studioso è che se Cicerone fosse ricorso alla
320 Cfr. Hier. In GaL.5.21 invidia, quam non putemus idem esse quod zelum, quia zelus et in bonam
partem accipi potest, cum quis nititur ea, quae meliora sunt, aemulari invidia vero felicitate aliena torquetur et in duplicem scinditur passionem; cum aut ipse est aliquid in eo, in quo alium esse non vult, aut alium esse videns meliorem dolet, se ei non esse consimilem;; Aug, in Psalm. 104.17 invidia est.. odium felicitatis alienae.
lingua latina avrebbe dovuto costruire una frase del tipo invidia interest
invidiae,“l'invidia è differente dall'invidia”,“l'invidia è una cosa, l'invidia un'altra”.
Questo perché, in latino, il lessema invidia copriva gli ambiti di due differenti termini greci: φθόνος e νέμεσις, appunto.
A partire da questo esempio, lo studioso costruisce una vera e propria tabella tassonomica dei valori possibili ricoperti da invidia, tabella che si struttura su una divisione essenziale di base: in un lato dello schema, Kaster pone tutte le occorrenze di invidia prive di un qualsiasi riferimento ad una menzione di giustizia sociale (fuori, insomma, dal campo della νέμεσις), mentre, nell'altro, vengono collocate le testimonianze di invidia utilizzate in riferimento ad un principio di ingiustizia e di demerito. A sua volta, questa macro-distinzione viene ripartita in ulteriori suddivisioni, visto che l'invidia priva di una connotazione di giustizia viene suddivisa tra invidia provata alla vista di un bene perché è un bene322, ed
invidia provata alla vista di un bene perché il bene è il tuo e non il mio323.
In ambedue i casi, la resa greca del termine sarebbe stata φθόνος. La sfumatura del termine, in entrambe le circostanze, corrisponde perfettamente, infatti, alla definizione aristotelica di sofferenza provata alla vista della felicità altrui. Più radicale la divisione della concezione di invidia legata al principio di giustizia. In questo caso, infatti, la differenza è tra un'invidia provata perché qualcuno usufruisce di un bene che noi riteniamo legittimamente nostro, e l'invidia che si prova dinnanzi ad un atteggiamento che oggettivamente travalica regole e principi sociali e generali.
Il primo è un contesto di giustizia autoreferenziale e soggettiva: a sense of right
that is self-regarding, and therefore potentially self-serving. The characteristic thought here is that the good you enjoy is rightfully mine324. Tra gli esempi
presentati da Kaster in questo insieme, è significativo un passo dell'Eneide, tratto dal quinto libro: nel contesto dei giochi funebri in onore di Anchise, Enea promette
322 Come esempi di invidia virtutis Cfr. Ad Herenn. 4.36, Cic. Cat. 1.28-29, Balb 15-16,18, Rab.Post. 48, Phil. 8.29-31, Sall. BC 3.2, 37.3, Iug 10.2, Ad Caes. 2.8.7, 2.13.7, Comm.Pet. 39-40, Hor. Serm 2.3.133.24.31-32, 4.8.24, Epist.2.1.12, Livio 2.7.4-8, 6.11.3, 8.31.2-3, 35.43.1, 38.49.5, Prop. 3.1.21, Phaedr 3.9.5, Sen Dial. 7.19.3, 8.8.2, Epist. 74.4, 79.13, 87.34, 5.10.3, Plin. Epist. 1.8.6,
Pan. 14.5, Quint.. Inst. 3.1.21, 12.11.7, Tac. Agr. 1.1, Dial.23.6, Ann 2.71, Princ.Hist. 2.4
323 Cfr. Cic. De or. 2.209, TD.3.20, 4.16-17, Ov. Met. 2.780-782, Sen. Dial. 6.19.6, 11.9.3-9.
324 R. Kaster, Invidia, νέμεσις. op.cit., p. 259. In questa accezione rientra anche Sen. Herc.O. 1510- 1512.
premi preziosi a chi riuscirà a colpire una colomba in volo. Ad uccidere l'animale sarà Eurizione; il premio tuttavia, verrà concesso ad Aceste perché, pur non avendo ucciso l'animale, la freccia da lui scagliata divenne oggetto di un improvviso prodigio325. Il buon Eurizione, dice Virgilio, non invidiò l'onore ad Aceste: nec bonus Eurytion praelato invidit honori/ quamvis solus avem caelo deiecit
ab alto326.
Riprendo le parole di Kaster a proposito del passo in oggetto: the comment is
added because in ordinary circumstances Eurytion would have felt invidia , and indeed would have been quite justified in that feeling (..). But Eurytion is “bonus” here precisely because he sees that these are not ordinary circumstances and so is willing to forgo his right327.
Anche questa testimonianza, pur rientrando, per Kaster, nell'ambito ricoperto dal termine greco φθόνος, permette già di capire le intersezioni ed i contatti semantici che possono innestarsi all'interno del lessema invidia, in maniera analoga a quanto visto per il greco. È evidente, infatti, che, se ci poniamo nell'ottica di un osservatore ed indagatore esterno alla psicologia del personaggio Eurizione, l'atteggiamento di invidiare qualcosa a qualcuno perché lo riteniamo nostro rientra nell'ambito della gelosia possessiva, quindi dello φθόνος. Se, però, assumiamo il punto di vista di chi prova il sentimento, di Eurizione quindi, non possiamo che provare nemesi di fronte a chi si appropria di un bene che stimiamo sia dovuto solo a noi. Lo scarto riposa, naturalmente, nell'assunzione di due prospettive differenti, una che viene sottolineata ed indagata da un osservatore esterno, che identifica nell'invidia
φθόνος la molla e l'origine di determinate azioni; l'altra, al contrario, che pretende
di fare della propria idea di giustizia una norma universale, con la possibilità anche di mascherare, più o meno volontariamente, la propria invidia come indignazione. L'ultimo insieme di fonti citate e studiate da Kaster racchiude tutti quei testi che fanno riferimento all'idea di invidia provata dinnanzi a comportamenti che violano leggi, precetti e norme sociali e generali: l'ambito, quindi, della greca νέμεσις. . In questo caso, secondo Kaster, l'invidia latina creerebbe, con il sostantivo pudor il medesimo campo di relazioni che sussiste nella lingua greca tra νέμεσις ed αἰδώς.
325 Verg. Aen. V. 485-543. 326 Verg. Aen. V. 541-542.
Come osservato dalle indagini di Redfield328, Cairns329 e Williams330 l'αἰδώς si configura, sin a partire dall'epica omerica,come sensibilità e ricettività ai giudizi degli altri: it is basically a responsiveness to social situation and to the judgments of
others331. In questo senso, il termine può essere inteso come senso di vergogna. Le azioni che possono innestare la vergogna o che, al contrario, sono evitate proprio in virtù di essa, sono molteplici. Nel ventiquattresimo canto dell'Iliade, ad esempio, Teti, chiamata da Zeus, prova esitazione, ammettendo di vergognarsi a mescolarsi agli dei immortali332. Nell'Odissea Odisseo prova αἰδώς ad essere visto nudo da un gruppo di giovani fanciulle333, le dee dell'Olimpo provano αἰδώς a vedere Ares ed Afrodite colti nell'atto di amore334; l'αἰδώς di Nausicaa le impedisce di raccontare al padre del suo matrimonio335; Odisseo non vuole essere visto piangere336e Penelope, sempre in virtù del suo αἰδώς, non vuole andare sola tra gli uomini337.
Contraltare al senso di αἰδώς è il sentimento di νέμεσις. L'αἰδώς spesso blocca ed inibisce, frenando qualcuno dal compiere una determinata azione, la νέμεσις rappresenta, invece, una condizione di eccitamento dello sdegno e del risentimento: aidōs inhibits action by making the heroes fell that if they acted thus
they would be out of place or in the wrong. Nemesis drives one to attack those who have shown themselves lacking a proper aidōs. Aidōs is thus a kind of hypothetical anticipation of nemesis.338
I l s e n s o d i αἰδώς portava, in generale, l'individuo a conoscere, e, conseguentemente, rispettare il campo di relazioni che lo legavano agli altri e che legavano gli altri a lui. Nell'eventualità in cui questo campo di relazioni fosse stato forzato, disatteso, non rispettato, chi si fosse reso protagonista di atti e gesti che avessero rotto, o non rispettato, l'equilibrio sociale avrebbe dovuto, a meno di non essere stato un shameless, provare un senso di vergogna. Indipendentemente dal
328 J.Redfield, Nature and Culture in the Iliad: The tragedy of Hector, Londra 1975, pp.113-119. 329 D.L.Cairns, Aidos: The Psychology and Ethics of Honour and Shame in ancient greek Literature,
Oxford 1993, pp.51-54.
330 B.Williams, Shame and Necessity, Los Angeles 1993, pp. 80-81. 331 J. Redfield, op.cit., p. 115. 332 Il.24. 90-91. 333 Od. 6. 221. 334 Od. 8. 324. 335 Od. 6. 66. 336 Od. 8. 86. 337 Od. 18. 184. 338 J. Redfield, op.cit., p.116.
senso di αἰδώς provato o meno, tuttavia, sarebbe comunque insorta, nei suoi confronti, la νέμεσις (indignazione) del resto del tessuto sociale, generata dal senso di αἰδώς altrui; νέμεσις che si sarebbe configurata in shock, contempt, and malice to
righteous rage and indignation339.
αἰδώς e νέμεσις erano, così, the inner and outer aspects of the same thing: failures of aidōs provoke the nemesis of others, and the nemesis of others evoke aidōs in oneself340. In alcuni casi, i personaggi dell'epica omerica arrivano a proiettare, in prima persona, l'indignazione sociale che avrebbe potuto innescare una loro azione o un loro atteggiamento: Nausicaa, ad esempio, riflettendo sul proprio comportamento, rileva come ella stessa, per prima, avrebbe provato indignazione se avesse visto qualcun altro comportarsi come lei;341 Penelope sostiene che la sua figura sarebbe stata oggetto di biasimo da parte degli abitanti di Itaca, se avesse lasciato il padre privo di un lenzuolo funebre342.
Per quel che riguarda il sostantivo pudor, corrispettivo latino dell' αιδώς, è utile rifarsi ad un articolo apparso nel 1997 ad opera dello stesso Kaster343.
Il termine latino pudor denotava, seconda Kaster, a sense of displeasure with oneself
caused by vulnerability to just criticism of a socially diminishing sort.344
La resa migliore del termine, dunque, dovrebbe essere quella di vergogna e senso
di vergogna. Il pudor, infatti, comportava sia un senso di pentimento e rimorso per
aver commesso un'azione che non andava portata a compimento, sia una spinta ed una volontà, dettata appunto dal senso di vergogna, a non compiere gesta ed azioni errate, turpi, “vergognose”.
Kaster dedica particolare attenzione alla componente di auto-analisi ed auto- critica derivata del senso di pudor. Una persona che provava pudor, infatti, poteva soffrire non solo perché era stata vista, o perché temeva di essere stata vista, da qualcuno nel compiere un'azione sbagliata, ma anche perché era in grado di riconoscere, da se stessa, quando un determinato atteggiamento e comportamento
339 B. Williams, op.cit., p. 80. 340 J Redfield, op.cit., pp. 116-117. 341 Od. 6. 286.
342 Od. 2. 101; 19. 146; 24. 136.
343 R.Kaster, The Shame of the Romans, <<Thapa>>, 127 (1997), pp.1-19.
344 R.Kaster, The Shame.., op.cit., p. 4; Kaster sottolinea come, affinché un latino provasse pudor, fosse neccessario che le critiche a lui rivolte per una determinata azione venissero percepite come giuste e giustificate: in caso contrario, queste avrebbero provocato in lui solo rabbia od indifferenza. Gell.19.6.3, infatti, glossa il termine pudor come timor iustae reprehensionis.
non avesse corrisposto ai canoni e modelli abituali di comportamento: we are
accustomed to think of shame as outer-directed or other-directed: it is what a person feels when caught, disreputably in the gaze of someone else. Yet the interiority of pudor, and it's crucial link to one's self conception, are equally striking345. In questo senso, il pudor, inteso come riconoscimento, analisi e valutazione interiore di azioni e gesta che riesce ad inibire atti sconvenienti o porta alla vergogna per ciò che si è compiuto, può opporsi al metus346.
Un buon esempio di manifestazione del pudor può ravvisarsi nella rinuncia da parte di Marco Terenzio Varrone, secondo il resoconto dello storico Valerio Massimo, della carica di dittatore, a lui offerta dal senato dopo il disastro di Canne. La rinuncia alla carica nasceva, in questo caso, da un senso di vergogna provato direttamente da Varrone, riconoscendo, lui in prima persona, di non meritare un tale incarico, dopo aver patito una così grave disfatta militare347.
In questo suo lavoro sul pudor romano, Kaster, dopo aver sottolineato le caratteristiche della “vergogna” latina, ha anche anche evidenziato la scarsità di meccanismi sociali atti a “suscitare vergogna” e “far vergognare” qualcuno: dei comportamenti impudenti potevano essere puniti con note censorie, con l'accusa d i maiestas (in campo militare), con l'incisione della lettera k sulla fronte per i calunniatori. Queste erano, tuttavia, punizioni estreme che colpivano comportamenti particolarmente gravi, e comunque, non sempre effettuate.
Nel mondo latino sarebbe mancato, secondo Kaster, la relazionalità tra αἰδώς-
νέμεσις, per la quale la mancanza dell'uno avrebbe comportato, come immediata
conseguenza, l'insorgere dell'altra, sorta dal senso di αἰδώς altrui e finalizzata a risvegliare l'αἰδώς personale dell'individuo cui era indirizzata348. In rapporto alla
345 R.Kaster, The Shame.., op.cit., p.4.
346 R.Kaster, The Shame.., op.cit., p.4 In drawing this contrast, a speaker typically has in mind two
overlapping oppositions: what is internal as against what is external, and what is spontaneous as against what is compelled. Fear is generated by our circumstances, by some person or thing with coercive power: an enemy in battle, or the law, or an angry parent, or poverty. Pudor, for it's part, is generated from within (...) People feel pudor not only because they are seen, or fear being seen, by somone else, but also because they see themselves and know that their present behaviour falls short of their past or ideal selves. Sul rapporto pudor/metus cfr. Ter. Adr. 84; Caes. Gal. 1.40.14;
Civ. 1.67.4; 2.31.7; Sall. Iug. 100.5; Cic. Verr. 2.2.40, 4.41; Catil. 1.22.
347 Val.Max. 4.5.2.
νέμεσις, il termine invidia comes closest in semantic range, but it is of far broader
application, and its uses have no particular association with pudor or impudentia349.
Lo stesso Kaster, come abbiamo visto, tornò, poi, sulle sue posizioni ed identificò proprio nell'invidia, intesa come indignazione e sdegno sociale, il corrispettivo della greca νέμεσις.
Un chiaro accostamento tra pudor ed invidia è presente in un passo del De
grammaticis et rhetoribus di Svetonio, a proposito della figura di Albucio Silo,
importante retore dell'età augustea: egit et causas, verum rarius, dum amplissimam
quamque sectatur, nec alium in ulla locum quam perorandi. Postea renuntiavit foro partim pudore, partim metu: nam cum in lite quadam centumvirali adversario, quem ut impium erga parentes incessebat, ius iurandum quasi per figuram sic obtulisset-”iura per patris matrisque cineres, qui inconditi iacent!” et alia in hunc modum- arripiente eo condicionem nec iudicibus aspernantibus, non sine magna sua invidia negotium adflixit350.
Albucio Silo, volendo gettare sul suo avversario l'opprobrium di empietà verso i genitori, lo invita a giurare sulle loro ceneri. Con questo gesto spettacolare, però, Silo dimentica i tecnicismi della legge civile, in base ai quali la parte alla quale era stato proposto un giuramento avrebbe potuto vincere la causa semplicemente giurando nella forma richiesta351. L'errore nel quale cade Silo provoca in tutti coloro che avevano assistito direttamente al dibattito, o che erano venuti a conoscenza dell'esito, invidia, da intendersi, naturalmente, nel senso di indignazione-nemesi.
Una delle sezioni più celebri del De agricoltura di Catone è dedicata al confronto tra agricoltura ed attività commerciali ed usura: est <o> interdum praestare
mercaturis rem quaerere, nisi tam periculosum sit, et item fenerari, si tam honestum sit, maiores nostri sic habuerunt et ita in legibus posiverunt: furem dupli condemnari, feneratorem quadrupli... mercatorem autem strenuum studiosumque rei quarendae existimo, verum, ut supra dixi, periculosum et calamitosum. At ex agricolis et viri fortissimi et milites strenuissimi gignuntur, maximeque pius quaestus
349 R. Kaster, op.cit., p. 14, n. 33. 350 Suet. Gramm. 30.3-5
351 Su questo tema cfr, A. Balbo, Alcuni esempi di interazione oratore-pubblico a Roma tra il I secolo
stabilissimusque consequitur minimeque invidiosus minimeque male cogitantes sunt qui in eo studio occupati sunt352.
Nella prospettiva di Catone, solo l'agricoltura si configura come attività totalmente onesta. Il commercio è, invece, attività pericolosa, mentre l'usura si configura come attività peggiore di quella del ladro (furem dupli condemnari, feneratorem
quadrupli); in quanto tale, l'usura è attività in grado di provocare lo sdegno ed il
risentimento popolare e sociale.
Cicerone, nella Pro Caelio, rifiuta di chiedere, per il suo cliente, l'indulgenza tradizionalmente concessa alle esuberanze della gioventù: Celio, infatti, non è solito abbandonarsi, contrariamente a molti suoi coetanei, alla petulantia ed alle
libidines che, tradizionalmente, arrecano invidia353.
Lo stesso Cicerone, nelle Catilinarie354, ritorna frequentemente sul tema dell'invidia
che alcuni cittadini avrebbero provato in reazione alla sua volontà di opporsi ai progetti di Catilina; l'invidia sarebbe sorta, dice Cicerone, perché egli, in qualità di senatore, avrebbe abusato dei suoi poteri e della sua autorità contro gli interessi della res publica. Il trionfo del dittatore Cornelio Cosso, così come descritto da Tito Livio, fu oggetto di invidia da parte dei cittadini romani, perché ottenuto non in