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Met 2 534-539: peculiarità formali

Capitolo 3 Aglauro e l'Invidia nel secondo libro delle Metamorfosi

3.2 Met 2 534-539: peculiarità formali

All’interno delle Metamorfosi, la sezione costituita dai versi 534-539 rappresenta, dunque, in assoluto, uno degli interventi di maggiore distacco del narratore primario rispetto alla materia trattata.

Come sottolineato da Gianpiero Rosati484, nelle Metamorfosi dietro l’intreccio degli inganni e delle apparenze, il narratore tiene saldamente il dominio della realtà. Ovidio, infatti, interviene spesso nella narrazione degli avvenimenti; proprio in quanto narratore onnisciente, il narratore primario può agire sulla trattazione di una determinata storia, anticipando l’esito di date vicende, mostrando gli aspetti più segreti della realtà effettiva, confermando o smentendo le opinioni dei personaggi narrati. Ovidio, tuttavia, spesso compie queste operazioni scostandosi solo per un momento dal flusso narrativo della storia, il tempo esatto per mandare un segnale al lettore, per mostrare il suo distacco dalle vicende, la propria

484 G. Rosati, Narciso e Pigmalione. Illusione e spettacolo nelle Metamorfosi di Ovidio, Firenze 1983, p.42.

superiorità conoscitiva rispetto ai personaggi narrati; a riprendere le parole di Vinge485 a proposito della storia di Narciso, possiamo dire che spesso Ovidio

infrange l’illusione del lettore perché fa notare la presenza del narratore.

È proprio da questo far notare, dall’apparire, spesso subitaneo ed improvviso, del narratore, dall’intrecciarsi, all’interno della stessa storia, della visione parziale ed incompleta dei personaggi con quella onnisciente e totalmente comprensiva del narratore, che traggono origine alcune delle più belle vicende delle Metamorfosi: storie nelle quali l’intervento del narrante agisce sul flusso della storia, velando di una forte ambiguità aggettivi, verbi, sostantivi. L’ambiguità nasce proprio dal fatto che i punti di vista di chi narra e di chi è narrato spesso si sovrappongono, facendo sì che il significato di un determinato termine possa assumere due sfumature diverse a seconda dell’ottica con la quale lo si osserva. Da qui il gusto per il concettualismo, per la polisemia, per l’arguzia verbale ed i wits stilistici che contraddistinguono in molti punti la narrazione ovidiana. Da qui anche il gusto per l’ironia, l a quale agisce sullo scarto tra il livello di comprensione ingenuo del personaggio ignaro del suo errore e il livello di comprensione del lettore e dell’autore che godono di una superiorità conoscitiva rispetto al personaggio. Il paradigma di questa tecnica narrativa è certamente costituito dalla storia di Eco e Narciso, presentata nel III libro delle Metamorfosi. La vicenda, celeberrima ed oggetto di uno studio approfondito da parte di Giampero Rosati, è emblematica dello straordinario virtuosismo cui sa giungere Ovidio; sfruttando pienamente le potenzialità che offrivano, da un punto di vista linguistico, i due temi principali della storia di Narciso, il tema della eco e quello del riflesso e poi dell’amor sui, Ovidio crea una trama linguistico-concettuale che avvolge il lettore, lo irretisce in <<un’orgia di suoni ed effetti speculari>>.

Narciso è avvolto in una trama di inganni, di illusioni, ed il narratore enfatizza le ambiguità di un rapporto autoreferenziale: Il bel giovane contempla le due stelle che sono i suoi occhi, si innamora del suo steso volto, desidera se stesso.

L’intervento del narratore nella materia narrata crea una frizione narrativa, in virtù della quale la visione del personaggio e quella del narratore arrivano a congiungersi in un medesimo verso; così, al verso 420, il narratore osserva:

485 L.Vinge, The Narcissus Theme in Western European Literature up to the Early 19th Century, Lund 1967, p.15.

Spectat humi positus geminum, sua lumina, sidus

Il soggetto è Narciso che contempla due stelle (geminum sidus); il narratore però interviene nel flusso della vicenda, nel suo svolgersi, nel suo formarsi, e delinea, con quel sua lumina, un’ apposizione di geminum sidus che però poteva valore solo per il narratore e non, almeno per il momento, per il protagonista.

L'apposizione, dunque, non ha un valore meramente formale: delinea, anzi, un cambio di prospettive, un blocco temporaneo del flusso narrativo, un estrinsecarsi del narratore dalla storia.

Ancora più efficace l’intervento di Ovidio nelle espressioni dei versi 425-426:

Se cupit inprudens et, qui probat, ipse probatur, dumque petit, petitur...

Narciso ancora non era giunto alla consapevolezza dell’inganno cui era soggetto, per cui, nei due versi in oggetto, la prospettiva del personaggio è identificata solo dai verbi di forma attiva probat e petit; le forme medio passive sono un aggiunta del narratore onnisciente. È, infatti, nell’ottica esclusiva del narratore onnisciente che Narciso poteva essere visto e identificato com amante di se stesso. Solo al termine della vicenda, solo quando il protagonista arriva ad acquisire coscienza dell’identità tra amante e amato le prospettive di narratore e protagonista arrivano a coincidere; prima, invece, proprio perchè la narrazione scorre e fluisce, l’accostamento tra le due differenti visioni, con lo slittamento e il passaggio repentino dall’ottica del narratore a quella del personaggio e viceversa, creano una frizione ed un contrasto continuo all’interno del testo.

Il lessico usato dagli studiosi e dai critici descrive precisamente le modalità sottili per mezzo delle quali il narratore interviene, in punta di piedi, su molte vicende: Ovidio fa trasparire, fa notare, insidia la finzione poetica. Alla base vi è sempre, dunque, la narrazione, il suo scorrere sul quale interviene il narratore, creando ambiguità.

Abbiamo avuto modo di vedere come, nel nostro caso specifico, Ovidio crei, invece, immediatamente un distacco dalle vicende all’inizio della nuova sequenza narrativa del libro II, a partire dal verso 534.

Quel distacco leggero e sottile, quell’ironia sfumata e raffinata che troviamo presente, nella sua acmé, nella vicenda di Narciso, qui manca del tutto.

il lettore non deve cercare sfumature di significato, ambiguità lessicali, tracce del narratore. Quest’ultimo infatti, si presenta da solo, esce per otto versi dal flusso narrativo, cristallizzandolo e congelandolo, ed anticipa al lettore gli elementi chiave della vicenda del corvo, lo scheletro dei fatti.

Riprendendo l’espressione, molto citata a proposito del continuum diegetico delle

Metamorfosi, di flusso narrativo, possiamo dire che, mentre in altre occorrenze

(come abbiamo visto a proposito della vicenda di Narciso) il narratore primario emerge dalle acque del fiume della narrazione, qui invece sembra osservarne il flusso, insieme al lettore, sulla riva.

In questa prospettiva, anche le apostrofi rivolte ai personaggi delle due differenti sequenze, Narciso e il corvo, presentano caratteristiche e peculiarità loro proprie; l’apostrofe a Narciso è il manifestarsi della sua consapevolezza critica, è un

cosciente uscire allo scoperto del narratore che denuncia la sua presenza e svela la finzione cui lui stesso ha dato vita486; serve, insomma, per creare distacco dalla

narrazione inserendosi nel corso della narrazione stessa. L'apostrofe al corvo, in aggiunta ai versi seguenti, crea, invece, immediatamente una distanza tra il narratore e la storia. Il procedimento seguito da Ovidio è stato accostato, in quest'ottica, alla promitio delle fabulae di Fedro, dove la morale della storia anticipa la narrazione della storia stessa487.

Il senso, la morale di questa favola sui generis è, come abbiamo visto, che lingua

fuit damno, la lingua ha danneggiato il corvo. Ad una atmosfera favolistica rimanda,

chiaramente, anche il dialogo tra due animali, il quale costituisce un tratto caratteristico, un leit-motiv delle fabulae: tra gli animali protagonisti delle favole, inoltre, troviamo, sia in Esopo che in Fedro, anche il corvo ed è significativo il fatto che, nelle vicende che lo vedono direttamente coinvolto, il pennuto debba sempre

486 G. Rosati, op.cit., p. 43. 487 Cfr. A. Keith, op.cit., p.47.

patire gravi consequenze e pesanti punizioni proprio a causa della sua voce, dell’uso smodato della sua lingua488.