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La loquacità dei due volatili

Capitolo 3 Aglauro e l'Invidia nel secondo libro delle Metamorfosi

3.5 La loquacità dei due volatili

Il corvo loquax, inexorabilis index e la garrula cornix sono gli interpreti e i protagonisti principali ed ideali di una sezione che si concluderà con la descrizione-rappresentazione dell’Invidia e la pietrificazione di Aglauro.

La tematica della voce e del suo utilizzo perverso, contaminato dal veleno dell’invidia, che troveremo in Aglauro, si trova infatti già espressa nella cornice iniziale, nei protagonisti dell’avvenimento che costituisce la molla e l’origine stessa del racconto dell’episodio delle Cecropidi. Ma la tematica dell’usus vocis non si limita alla cornice iniziale; essa ritornerà, infatti, nell’episodio di Chirone ed Ociroe504 ed anche in quello di Mercurio e Batto505, immediatamente antecedente alla vicenda stessa di Aglauro.

L’index, letteralmente colui che indica, assume sovente, come in questo passo, il significato di spia, delatore, con tutto l’alone dispregiativo che a questa figura è strettamente connesso e legato. Del resto, basta osservare le altre occorrenze del

504 Ov. Met. 2. 635-675. 505 Ov. Met. 2. 676-707.

termine nelle Metamorfosi per rendersi facilmente conto delle conseguenze devastanti che i delatori comportano, con il loro atteggiamento, in molte delle vicende narrate nel poema: nel IV libro la storia d’amore tra Leucotoe ed il Sole506 viene bruscamente oppressa dalla delazione di Clitia che, sottolinea Ovidio, fu

presa da invidia, invidit.507 La conseguenza, assai drammatica, dell’invidia di Clitia

fu dunque la sua delazione dell’amore tra Leucotoe ed il Sole al padre di Leucotoe che, furibondo e spietato, arrivò addirittura a seppellire viva la figlia; qui, come si vede, l’accostamento invidia-delazione è immediato e diretto.

Nel VII libro, invece, non viene esplicitata la figura del delatore/della delatrice, ma sempre ben in evidenza permane l’esito infausto delle delazione: Cefalo e Procri vedono crollare la loro storia d’amore perchè qualcuno, udendo Cefalo rivolgersi all’aura, ed equivocando il nome in Aura, riferisce a Procri la tresca segreta del compagno (Vocibus ambiguis deceptam praebuit aurem/ nescio quis, nomenque

aurae tam saepe vocatum/ esse putans nymphae, nympham mihi credit amari./ Criminis extemplo ficti temerarius index/ Procrin adit linguaque refert audita susurra)508. La morte di Procri sarà conseguenza, anche se indiretta, della delazione. In altri due passi la delazione viene sottoposta ad una punizione: nel IV libro il Sole, delatore del rapporto amoroso tra Venere e Marte, viene punito da Venere proprio con l’innamoramento nei confronti di Leucotoe (Exigit indicii

memorem Cythereia poenam7 inque vices illum, tectos qui laesit amores,/ laedit amore pari).509, mentre, nel V libro, ad essere punita è la delazione di Ascalafo che, scorta Persefone a succhiare sette chicchi di melagrana, fece la spia (impedendo la risalita di Persefone al cielo) e venne punito con la trasformazione in gufo, uccellaccio del malaugurio (Ascalaphus vidit, quem quondam dicitur Orphne,/ inter

Avernales haud ignotissima Nymphas,/ ex Acheronte suo silvis peperisse sub atris;/ vidit, et indicio reditum, crudelis, ademit)510.

Del resto, alla figura del corvo veniva spesso intrisecamente legata, anche in altre fonti letterarie, l’attività della chiacchera; significative, sotto questo punto di vista, sono le osservazioni di Labate, il quale si è soffermato sul ruolo e le caratteristiche

506 Ov. Met. 4. 190-255. 507 Ov. Met. 4. 234. 508 Ov. Met. 7. 821-825. 509 Ov. Met. 4. 190-192. 510 Ov. Met. 5. 533-552.

della figura del corax all’interno del contesto del Satyricon di Petronio (la stessa etimologia del corvo sarebbe, secondo le opinioni dello studioso, legata all’azione del chiaccherare: la radice di riferimento sarebbe, infatti, quella del verbo κρώζω); ad un animale, dunque, che si distingue per la sua voce, è quasi naturale che venga attribuita, nella tradizione popolare e nel mito, una funzione di annuncio511.

Indicative sono anche, in questo contesto, le altre attestazioni, nelle Metamorfosi, dell'aggettivo garrulus, qui riferito alla cornacchia.

Nel terzo libro l'aggettivo viene riferito alla ninfa Eco: Corpus adhuc Echo, non vox

erat; et tamen usum/ garrula non alium, quam nunc habet, oris habebat,/ reddere de multis ut verba novissima posset512. Ella aveva sfruttato la propria loquacità per

distrarre Giunone ed impedirle discoprire i tradimenti di Giove (Iuno, (..) cum

deprendere posset/ cum Iove saepe suo nymphas in monte iacentes,/ illa deam longo prudens sermone tenebat,/ dum fugerent nymphae.).513

Anche in questo contesto possiamo rilevare come l’indicazione della predisposizione alla chiacchiera e alla facondia da parte di Eco sia accompagnato da una punizione che alla ninfa era derivata proprio dal suo usus vocis: (Postquam

hoc Saturnia sensit<<Huius>>, ait, <<linguae, qua sum delusa, potestas, parva tibi dabitur vocisque brevissimus usus>>)514.

Il termine si connota evidentemente di una sfumatura negativa, che lo avvicina molto al significato di ciarla continua,e, nel caso, specifico, chiacchiera vuota, destituita da ogni finalità che non fosse quella di distrarre Giunone dallo scoprire gli amori di Giove.

L’altra attestazione del termine garrulitas nelle Metamorfosi si colloca nel V libro; anche in questo caso il contesto è significativo. Il termine viene, infatti, riferito alle Pieridi515, le figlie di Evippe della Peonia che osarono gareggiare con le nove muse in una competizione canora. In questa circostanza, però, le figure delineate come garrule non usano la loro voce per ingannare i loro interlocutori, come fa Eco con

511 M.Labate, Di nuovo sulla poetica dei nomi in Petronio: Corax “il delatore”?, <<MD>>, 16 (1986), pp.135-146.

512 Ov. Met. 3. 359-361. 513 Ov. Met. 3. 362-365. 514 Ov. Met. 3. 365-367. 515 Ov. Met. 5. 678.

Giunone, ma abusano della loro voce, sfidando le muse e ritenendosi, superbamente, ad esse superiori516.

Gli esempi citati mostrano chiaramente devianze, errori nel corretto utilizzo dell’usus vocis, ma non sono i soli citabili. Altri esempi, infatti, di distorto utilizzo del linguaggio sono offerti, dagli episodi, simili sotto questo aspetto, di Mida e della Sibilla. In ambedue i casi, la mancanza di un attento controllo delle richieste fatte ad un dio comporta, come consenguenza, il fatto che il piano del linguaggio superi le aspettattive del richiedente, trasformandosi in un'arma a doppio taglio.

Mida chiede a Bacco di donargli la facoltà di mutare in oro tutto ciò che toccherà con le sue mani (<<Effice, quidquid/ corpore contingero, fulvum vertatur in

aurum>>)517. La Sibilla invece, domanda a Febo una quantita di anni di vita pari ai granelli di sabbia contenuti nelle sue mani (Ego pulveris hausti/ ostendens

cumulum, quot haberet corpora pulvis,/ tot mihi natales contingere vana rogavi)518: ambedue si troveranno presto a dover fare i conti con le conseguenze delle loro richieste: Mida non riuscirà più a nutrirsi (Gaudenti mensas posuerant ministri7

exstructas dapibus, nec tostae frugis egentes:/ tum vero, sive ille sua Cerealia dextra/ munera contigerat, Cerealia dona rigebant)519 mentre la Sibilla sarà dannata ad una vecchiaia lunga ed estenuante (sed iam felicior aetas/ terga dedit, tremuloque

gradu veniet aegra senectus,7 quae patienda diu est.)520.

Un uso perverso del linguaggio accomuna, inoltre, gli spergiuri (tra di essi troviamo Batto,521 i marinai che trasportano Dioniso522, Giasone523, Il re di Troia Laomedonte524, il re di Tracia Polimestore525, i Cercopi526; tutti destinati a scontare

516 Ov. Met. 5. 294-678. 517 Ov. Met. 11. 102-103. 518 Ov. Met. 14. 136-138. 519 Ov. Met. 11. 119-122. 520 Ov. Met. 14. 142-144. 521 Ov. Met. 2. 676-707. 522 Ov. Met. 3. 581-691. 523 Ov. Met. 7. 5-178, 524 Ov. Met. 11. 194-217. 525 Ov. Met. 13. 429-438, 527-567. 526 Ov. Met. 14. 89-100.

punizioni molto severe per i loro errori) ed i superbi (Ino527, Pieridi528, Aracne529, Niobe530).

Possiamo dire, dunque, che il poema nel quale la voce gioca, più che in qualsiasi altro, un ruolo fondamentale, costituendosi, di fatto, in un alternarsi continuo ed incessante di cornici e voci narranti; nel quale gli artifici narrativi vengono impiegati in misura continua e variabile, con metafore, sillepsi, ossimori, iperboli; nel quale parlano uomini, fiumi, dei, ninfe, arbusti, piante, animali, ebbene, lo stesso poema mostra, al proprio interno, le ambiguità, gli errori, le pecche e le malizie cui può essere sottoposto il linguaggio medesimo.

Mezzi che ammaliano, che affascinano, che seducono che persuadono, la voce ed il iinguaggio possono però anche corrompere e distruggere; chi ne fa un uso sbagliato ne paga, nelle Metamorfosi, conseguenze deleterie e terribili. In generale, l'intera sezione del secondo libro è contraddistinta da una sorta di straniamento complessivo della funzione del linguaggio (oltrechè della vista, come vedremo). Straniamento che si configura sia in un abuso del linguaggio stesso, nel caso del corvo e della cornacchia sia, al contempo, in un depauperamento del medesimo, tra profezie non accolte ed oracoli interrotti.

Il corvo viene abbandonato da Apollo perché portatore di cattive notizie, la cornacchia aveva subito la stessa sorte, in virtù dello stesso errore, ad opera di Minerva; le parole di Minerva nella storia delle Cecropidi sono destinate a rimanere inascoltate531; le parole della cornacchia, che aveva narrato di parole inascoltate, sono, a loro volta, disprezzate dal corvo532; la storia di Chirone è anche la storia dell’oracolo mancato di Ociroe533; la vicenda di Batto è incentrata, in fondo, su un gioco di parole destinato a ritorcersi contro l’autore stesso534; la storia di Aglauro è simile a quella di Batto, divenendo, con la sua pietrificazione e l’irrigidimento conseguente dell’apparato fonatorio, il paradigma del processo degradante della voce: Ociroe aveva si perso la voce umana e le parole, ma

527 Ov. Met. 4. 417-542. 528 Ov. Met. 5. 294-678. 529 Ov. Met. 6. 1-145. 530 Ov. Met. 6. 148-315. 531 Ov. Met. 2.553-560. 532 Ov. Met. 2. 596-597. 533 Ov.Met. 2. 655-675. 534 Ov. Met. 2. 680- 707.

manteneva pur sempre la capacità di articolazione fonatoria, sia pur sotto forma di nitriti; Aglauro, invece, sottolineerà Ovidio, nec conata loqui est, nec, si conata

fuisset,/ vocis habebat iter535.

I motivi sottesi ad un cattivo utilizzo del linguaggio possono essere, come abbiamo visto, vari e molteplici. Come si può interpretare la loquacità degli uccelli del secondo libro? Semplicemente come un dato costitutivo della loro natura, o come un gesto causato e scatenato da altri fattori? Una risposta a questo interrogativo può aiutarci a fornirla l'analisi di un altro aspetto che sembra caratterizzare la cornacchia ed il corvo: la loro curiositas.