Capitolo 3 Aglauro e l'Invidia nel secondo libro delle Metamorfosi
3.6 Curiositas ed invidia
Il corvo è uno spione, ed anche la cornacchia, a ben vedere, non ha perso il suo vizio originario. Era stata punita per la delazione, scaturita dall'aver osservato di nascosto le azioni delle Cecropidi, e nel momento in cui incontra il corvo, mostra tutta la sua curiosità nel voler apprendere informazioni sul suo tragitto: Ad
dominum tendebat iter; quem garrula motis consequitur pennis, scitetur omnia, cornix536.
Emblematico è il complemento oggetto legato a scitetur: la cornacchia non vuole conoscere per sommi fatti gli avvenimenti, non vuole avere informazioni parziali (in fondo, per presentare il suo consiglio al corvo, sarebbe stato sufficiente conoscere la storia nei suoi lineamenti essenziali), vuole sapere tutto, omnia. Un comportamento ed una predisposizione, questi, evidentemente tipici di una persona curiosa. La cornacchia appare insomma contradditoria nel suo comportamento: nel momento stesso in cui vuole invitare il corvo a non fare lo spione, ella stessa, per prima, si comporta da tale.
535 Ov. Met. 2. 829-830.
I termini curiosus, curiositas non hanno goduto, nel mondo latino, di un’accezione particolarmente positiva537.così come, del resto, i loro antecedenti greci
πολυπράγμων, περίεργος.538
Nell’Apologia di Socrate, il filosofo ateniese viene accusato di manifestare uno zelo eccessivo nello studio dei fenomeni naturali (questo ardore eccessivo viene definito per mezzo del verbo περιεργάζεται)539, mentre Plutarco, nel De
curiositate540, vedrà nella πολυπραγμοσύνη il desiderio di conoscere il male degli altri. San Agostino nel De utilitate credendi definirà il curiosus, in contrapposizione allo studiosus, come colui che studia e si occupa di cose che non lo riguardano: ea
requirit quae nihil ad se adtinent541.
L’aggettivo curiosus di attestazione rara prima di Apuleio, si trova attestato due volte in Plauto. Importante è soprattutto il passo dello Stichus:
sed curiosi sunt hic complures mali alienas res qui curant studio maximo
200 quibus ipsis nullast res quam procurent sua542 205 eos omnis tam etsi hercle haud indignos iudico
qui multum miseri sint, laborent nil moror. dicam auctionis causam, ut damno gaudeant
nam curiosus nemo est quin sit malevolus543
Qui il parassita Gelasimo sta riflettendo tra il serio e il faceto sull’egemone componente malevola della natura umana, il cui tratto distintivo è proprio in uno sguardo inopportunamente attento alle vicende altrui, nel tentativo, esecrabile, di cogliere il male degli altri nel suo svolgersi.
537 Cfr. A.Labhardt, Curiositas: notes sur l'histoire d'un mot et d'une notion, << Museum Helveticum>>, 17 (1960), pp. 206-224.
538 Sul concetto di πολυπραγμοσύνη utile il lavoro di V. Ehrenberg, polypragmosyne. A study in
greek Politics, JHS 67 (1947), pp. 46-67.
539 Cfr. Plat. Ap. περιεργάζεται ζητῶν
540 Cfr. Plut. Curios. 515 D. 541 Aug. Ut. cred. 9.22. 542 Pl. St.198-200.
Prima di Cicerone il termine si trova ancora attestato in un frammento di Afranio544 e nel commediografo Terenzio, in un passo dell'Eunuchus, in cui l'aggettivo
curiosus viene utilizzato per designare la figura di un uomo inopportuno (neminem curiosum intervenire nunc mihi/ qui me sequatur quoquo eam, rogitando obtundat)545.
Due passi, uno di Seneca il vecchio e l’altro di Svetonio collegano il termine direttamente alle figure dei delatori e degli spioni546.
In Cicerone, il primo, tra l’altro, ad utilizzare il sostantivo curiositas in una lettera ad Attico, il sostantivo, così come gli aggettivi e gli avverbi di riferimento, si caricano di duplice valenza: nel De finibus547, infatti, l’Arpinate elogia entusiasta
l’insatiabilis quaedam e cognoscendis rebus voluptas. Lo stesso elogio è presente
nelle Tuscolane: natura inest in mentibus nostris insatiabilis quaedam cupiditas veri
videndi548. Nel De officiis, al contrario, emerge la critica rivolta allo studio di res
obscuras atque difficiles. easdemque non necessarias549. Il contrasto trova probabilmente la sua spiegazione nella diversità delle fonti seguite dal filosofo, ora aristoteliche, con la loro lode nei confronti di una scienza completamente disinteressata, ora stoiche, con la loro visione di una scienza comunque improntata a criteri di utilità. La curiosità diverrà, poi, un tema portante delle Metamorfosi di Apuleio, determinando sia la trasformazione di Lucio in asino, sia, nella vicenda di Amore e Psiche, la caduta e la punizione della fanciulla550.
Nelle fonti cristiane la curiositas diviene il simbolo e l’emblema dell’arroganza umana che, volendo superare l’unica verità, quella rivelata dalle Sacre scritture e dallo spirito divino, si mette alla ricerca degli arcana mundi, fallendo
544 Afran. Com. 190. 545 Ter. Eun. 553.
546 Cfr. Sen. Contr.6.2 lex eum tenet, qui iuvat exulem, non qui patitur iuvari.-ignora, dissimula: lex
te innocentem esse, non curiosum iubet.; Suet. Aug.27.3 Pinarium.. cum contionante se..subscribere quaedam animadvertisset, curiosum ac speculatorem ratus coram confodi imperavit.
547 Cic. Fin. 4.12. 548 Cic. Tusc. 1,44.
549 Cic. Off. 1.19= Panaet..frg. 104 550 Cfr. A.Labhardt, op.cit., p.213.
inesorabilmente.551. Tertulliano in particolare, contrappose la simplicitas veritatis della Sacra Scrittura alle speculazioni dei filosofi curiosi552.
Non stupisce, allora, il fatto che, spesso, nelle fonti cristiane, la curiositas venga strettamente legata all’eresia e agli eretici, in quanto causa di scelte deviate, errate, contrarie alla regula fidei553.
Una delle testimonianze più importanti, in relazione alla nostra ricerca, è quella fornita dal settimo carme di Catullo. Il poeta, rivolgendosi all’amata Lesbia, la quale aveva chiesto allo stesso Catullo quanti baci potessero mai placare il suo ardente desiderio amoroso, introduce un elenco di elementi naturali contraddistinti da innumerabilità;554 questo aspetto risponde ad una duplice funzione: da un lato, esso testimonia, con le sue esagerazioni. e le sue iperboli, l’inconmensurabilità del sentimento amoroso provato da Catullo: dall’altro, però, l’inconmensurabilità stessa risponde ad una logica, rituale-superstiziosa, di allontanamento dal male e dai pericoli derivante dalle azioni dei curiosi: quae nec pernumerare curiosi possint
nec mala fascinare lingua555.
Il passo è importante perchè allinea la fascinazione alla curiosità. I curiosi, spinti appunto dalla loro volontà di conoscere tutto e informarsi su tutto, potrebbero venire a conoscere il numero esatto dei baci scambiati dai due amanti, e, in tal modo, compiere la fascinazione sugli amanti. Proprio per stornare questo pericolo Catullo richiede all’amata un numero pressapoco infinito di basia. Del resto, come abbiamo visto, già lo stesso Stichus plautino testimoniava come curiosus nemo est
quin sit malevolus .
Il collegamento tra invidia e curiosità era già presente in fonti greche. In un anonimo frammento comico ad una figura non nota, definita come l’uomo più invidioso di tutti, viene chiesto perchè mai egli, con tanta curiosità, osservi le disgrazie ed i mali altrui, mentre non si preoccupa minimamente dei propri affari: 551 Cfr. Tert. Praescr. 8.1, 14.1, 14.3; Lact. Inst.2.8.70 quae vero ad curiositatem et profanam
cupiditatem pertinebat reticuit, ut arcana esset. Quid ergo quaeris quae nec potes scire nec si scias beatior fies? perfecta est in homine sapientia, si et deum esse unum et ab ipso facta esse universa cognoscat.
552 Cfr., e.g.,Tert. Adv. Marc. 2.21.2.
553 Cfr. Hil. C. Arr. 15,25 credamus ergo quod legimus, prorsus inquirere formidemus; scribtum est
enim:<<et in multis operibus eius ne sis curiosus; Zeno. 2.4 curiositas reum efficit, non peritum.
554 Cat. 7. 1-10. 555 Cat. 7. 11-12.
τί τἀλλότριον, ἄνθρωπε, βασκανώτατε, κακὸν ὀξυδορκεῖς, τὸ δ᾽ἴδιον παραβλέπεις;556 Filone, nel De Abrahamo557, parla di uomini che tengono le loro orecchie ben aperte in virtù della loro spiccata curiosità (ἕνεκα πολυπράγμονος περιεργίας) per poter udire le gioie e le disgrazie degli altri, nel primo caso rattristandosi, nel secondo, invece, godendo (ὡς αὐτίκα τοῖς μὲν φθονεῖν, ἐφ᾽οἷς δὲ
ἥδεσθαι).
Questo passo testimonia una connessione importante con un altro aspetto, un’altra faccia, potremmo dire, dell’invidia: quella della ἐπικαιρεχακία558.
Essa, come abbiamo visto strettamente congiunta all’invidia già nell'analisi della
Rhetorica aristotelica, consiste nella gioia, provata dall’invidioso, alla vista delle
disgrazie altrui, sentimento, questo, ripreso dal termine latino malevolentia559, presente in Plauto560, Sallustio561, Cicerone562.
Filone stesso definisce gli invidiosi amanti del male e delle sofferenze altrui, mentre odiano il bene degli altri: βάσκανον γὰρ καὶ μισόκαλον καὶ φιλοπόνηρον563. A connettere ulteriormente tra loro i vari termini interviene la testimonianza plutarchea del De curiositate, per la quale la πολυπραγμοσύνη si identifica in un forte desiderio di udire i mali degli altri, non rimanendo scevra, in questo modo, dalla φθόνος e dalla ἐπιχαιρεκακία, manifestazioni, a loro volta, di una malvagità
556 CAF Adesp. 359 (Kock III.476)=Plutarch De curiositate 515 d
557 Phil. Abr. 20-21.
558 Accostamenti invidia-malevolenza già nelle fonti greche: Cfr. Epict. 2.16.45: ἐκ τῆς διανοίας
ἔκβαλε ἀντὶ Προκρουστου καὶ Σκίρονος λύπην, φόβον,ἐπιθυμίαν, φθόνον, ἐπιχαιρεκακίαν, φιλαργυρίαν, μαλακίαν, ἀκρασίαν. Cfr, inoltre, sulla definizione di ἐπιχαιρεκακία Andronic.Rhod.
5: ἐπιχαιρεκακία δὲ ἡδονὴ ἐπὶ τοῖς τῶν πέλας ἀτυχήμασιν; Stob. Eclog. 2,7,92 w: ἐπιχαιρεκακία
δὲ ἡδονὴ ἐπ᾽ἀλλοτρίοις κακοῖς.
559 Il ThLL (VII 199, 34-35) riporta, tra i vari significati di invidia, anche quello di malevolentia. Per converso, il lemma malevolentia (Th.L.L VIII 179, 1-14) riporta, tra i vari sinonimi, anche quello di invidia.
560 Cfr. Capt. 583 est miserorum ut malevolentes sint atque invideant bonis.
561 Cfr.Catil. 3,2 malevolentia et invidia.
562 Cfr. Tusc. 4,20: voluptatis autem partes hoc modo describunt, ut malevolentia sit voluptas ex
malo alterius sine emolento suo
563 Questa caratteristica dell’invidioso, in realtà, è solo apparentemente paradossale. Egli, infatti, amando l’altrui male, ama il proprio bene, proprio perché esso si identifica con il male di chi si invidia. Odiando l’altrui bene, si odia il proprio male. Ciò non impedirà, tuttavia, ad Ovidio di giocare proprio su questa paradossalità di Invidia, al momento della sua presentazione e descrizione.
generale di carattere: κακοήθεια564. Due orazioni di Libanio565, infine, accostano la
πολυπραγμοσύνη al verbo βασκαίνω.
L’accostamento tra curiosità ed invidia/malevolenza è dunque così ben testimoniato dalle fonti greche che, a riprendere le parole di Matthew Dickie, possiamo dire che it is possible that the Romans independently made the same
connection, but more probably they took the idea over from the Greeks566.
I l De curiositate di Plutarco descrive anche le occupazioni principali dei curiosi: essi non prestano alcuna attenzione a matrimoni, feste, processioni, mentre tengono le orecchie ben aperte se odono notizie scandalose, come, per esempio, quelle relative alle liti tra fratelli o, come ben testimoniato anche dalla nostra cornacchia, agli adulteri567.
Visto l’accostamento tra curiosità ed invidia, ed appurata l’innata predisposizione del corvo alla chiacchera, alla loquacità, all’indiscrezione, possiamo qualificare il comportamento del pennuto nel II libro delle Metamorfosi come effettivamente dettato da un sentimento di invidia?
La risposta a questo interrogativo permette di delineare un altro ambito di invidia indagato ed analizzato da studi specifici: quello, cioè, che lo vede in relazione al concetto, avvicinabile ma non sovrapponibile, di gelosia.