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Invidia e malocchio

Capitolo 2 Semantica dell'invidia latina

2.4 Invidia e malocchio

Come riportato da Valentina Chinnici, la scissione fra invidia e malocchio è oggi per

noi un dato culturale acquisito. La prima è etichettata come stato psicologico, vizio o difetto morale, la cui esistenza è comunemente riconosciuta e accettata, anche perché subita o provata. La vita stessa, si può dire, ne offre continui attestati di verifica “empirica”. Il malocchio (o fascinazione o fattura) è invece considerato

entsehen avrebbe, per T. Rakoczy, op.cit., p.41 n. 8, il significato originario di feindlich hinsehen

(con ent- corrispondente al greco ἀντί), e, quindi, durch den Anblick verzaubern. 198 R.Wünsch, Anmerkungen zur lateinisches Syntax, <<Rh.Mus.>>, 69 ( 1914), p. 133.

199 K. Stiewe, Beiträge aus der Thesaurus-Arbeit XI: “Invidia”, “invideo”, <<Museum Helveticum>>, 16 (1959), pp. 162-171.

200 ThLL VII 192, 25 sgg.

201 Cic. Tusc. 3.9.20 Quisnam florem liberum invidit meum (Acc. Trag. 424 R3). Male latine videtur,

sed praeclare Accius; ut enim “videre”, sic “invidere florem” rectius quam “flori”. Nos consuetudine prohibemur: poeta ius suum tenuit et dixit audacius.

momento di folclore, patologia sociale, superstizione popolare. I due fenomeni, pertanto, sono oggetto di studi e discipline distinte: l'invidia è appannaggio, principalmente, di psicologi, filosofi, sociologi, mentre il malocchio è campo di indagine per antropologi e per studiosi di costumi e tradizioni popolari202.

Come ha scritto De Martino, tuttavia, l'alternativa fra “magia” e “razionalità” è uno

dei grandi temi da cui è nata la civiltà moderna(...). La consapevole alternativa tra magia e razionalità non appartiene alla magia naturale del Rinascimento, ma piuttosto alla successiva età illuministica: e infatti alle soglie di questa, noi ritroviamo nell'inauguratore della nuova epoca, Francesco Bacone, la laicizzazione completa del “fascinare” e dello “stregare”, intesi ormai come mero rapporto psicologico203.

Invidia e malocchio, d'altronde, costituiscono un binomio ancora oggi vivo e fortemente sentito, specie nella cultura contadina meridionale, nella quale, come mostrato in particolare dagli studi di Ernesto De Martino, erano in voga, ed esistono tutt'oggi, delle accortezze e rimedi specificatamente studiati per allontanare la fascinazione dettata e causata da un occhio malevolo ed invidioso204. La tematica dell'invidia collegata alla vista ed al processo visivo nella cultura latina trova giustificazione e fondamento nell'importanza assegnata dagli antichi agli occhi come specchio dell'anima, entità riflettenti i caratteri e gli aspetti interiori di un individuo. La testimonianza più chiara, nella letteratura latina, della connessione animus-oculi è probabilmente quella fornita da Plinio il Vecchio:

oculus unicolor nulli; communi candore omnibus medius colos differens. Neque ulla ex parte maiora animi indicia cunctis animalibus, sed homini maxime, id est moderationis, clementiae, misericordiae, odii, amoris, tristitiae, laetitiae. Contuitu quoque multiformes, truces, torvi, flagrantes, graves transversi, limi, summissi, blandi. Profecto in oculis animus habitat. Ardent, intenduntur, umectant, conivent. Hinc illa misericordiae lacrima, hos cum exosculamur, animum ipsum videmur

202 V.Chinnici, Volti d'invidia: Aglauro e il paradigma dell'invidioso. A margine di Ov.Met. 2,737 ss,

<<Pan>>, 20 (2002), p.105.

203 E. De Martino, Sud e magia, Milano 1959,, p.134.

204 E. De Martino, op.cit., pp. 15-21.; Cfr. anche C.Gallini, Dono e malocchio, Palermo 1973; .B.Bronzini, Cultura contadina e idea meridionalistica, Bari 1980; pp. 150-172.

attingere, hinc fletus et rigantes ora rivi. Quis ille est umor in dolore tam fecundus et paratus aut ubi reliquo tempore? Animo autem videmus, animo cernimus205.

Fu però la scuola filosofica aristotelica, nel IV sec. a.C., ad indagare per prima, in maniera sistematica, i rapporti tra il corpo e l'anima di un individuo206.

Il vincolo stabilito dal trattato fisiognomico tra occhio ed anima diverrà un topos fisso nella letteratura. Secondo Anton Nuňo207, la prima testimonianza esplicita, nella letteratura latina, degli occhi specchio dell'anima è fornita dal De oratore di Cicerone. Nella sezione del terzo libro dedicata all'actio, Cicerone sottolinea l'importanza del vultus e degli oculi nella manifestazione di determinate emozioni. L'oratore, per riuscire ad esprimere ed a manifestare adeguatamente sentimenti come l'ira, la paura, la compassione, il dolore, può ricorrere a differenti toni di voce, ad articolazioni e pose corporee determinate per ciascun pathos. L'elemento fondamentale, sottolinea però il retore, è l'espressione del viso, la quale a sua volta dipende completamente da quella degli occhi. L'actio scaturisce direttamente dall'anima, ed il volto è lo specchio dell'anima: Sed in ore sunt omnia, in eo autem

ipso dominatus est omnis oculorum; quo melius nostri illi senes, qui personatum ne Roscium quidem magno opere laudabant; animi est omnis actio et imago animi vultus, indices oculi: nam haec est una pars corporis, quae, quot animi motus sunt, tot significationes possit efficere; neque vero est quisquam qui eadem conivens efficiat208.

Praticamente coetaneo di Cicerone è Lucrezio, il quale, secondo Nuňo, es el unico

autor que conocemos que se burla de la idea de que los ojos son el espejo del alma209. Testimonianza, dunque, che, sebbene in negativo, conferma una credenza evidentemente talmente diffusa nella società da dover essere sottoposta a smentita dal filosofo epicureo210.

205 Plin. N.H. 11. 145-146. 206 Arist. Phgn. 805 a Ὅτι αἱ διάνοιαι ἕπονται τοῖς σώμασι. Καὶ οὐκ εἰσὶν αὐταὶ καθ´ἑαυτὰς ἀπαθεῖς οὖσαι τῶν τοῦ σώματος κινήσεων. Τοῦτο δὲ δῆλον πάνυ γίνεται ἔν τε ταῖς μέθαις καὶ ἐν ταῖς ἀρρωστίαις. πολὺ γὰρ ἐξαλλάττουσαι φαίνονται αἱ διάνοιαι ὑπὸ τῶν τοῦ σώματος παθημάτων. καὶ τοὐναντίον δὴ τοῖς τῆς ψυχῆς παθήμασι τὸ σῶμα συμπάσχον φανερὸν γίνεται περί τε τοὺς ἔρωτας καὶ τούς φόβους τε καὶ τὰς λύπας καὶ τὰς ἡδονάς.

207 A. Nuňo, El mal de ojo en el occidente romano, Madrid 2010. 208 Cic. Orat. 3. 221.

209 A.Nuňo, op.cit., p. 92. 210 Precisamente in Lucr. 3.359.

L'importanza attribuita allo sguardo dalle varie scuole fisiognomiche viene confermata dalle indicazioni di un anonimo trattato latino sull'argomento, il quale così si esprime, ad inizio della sezione specificamente dedicata allo sguardo: Nunc

de oculis disputandum est, ubi summa omnis physiognomoniae constituta est. Nam et aliarum partium signa si oculi affirmaverint, tunc rata magis et certa sunt. Ex oculorum enim indiciis physiognomones sententias suas confirmant et hic omnis eorum est auctoritas constituta211.

Le caratteristiche dello sguardo invidioso rientrano all'interno delle peculiarità tipiche del viso e degli occhi dell'uomo pravo e malvagio. Nel trattato fisiognomico aristotelico la malvagità di carattere viene connessa ad uno sguardo incavato, simile a quello delle scimmie: οἱ δὲ κοίλους ἔχοντες κακοῦργοι ἀναφέρεται ἐπὶ

πίθηκον212; Nell'Historia Animalium troviamo che οἵ ἄν μὲν ὦσι κανθοὶ μακροί,

κακοηθείας σημεῖον213; le ciglia abbassate, inoltre, indicano e connotano una persona invidiosa (αἱ δ᾽ὀφρύες αἱ κατεσπασμέναι φθόνου)214.

Ateneo riporta un'altra definizione aristotelica, per la quale gli occhi esposti al di fuori delle orbite sarebbero indice di malvagità assoluta (τοὺς δ`ἐκτὸς ὀφθαλμούς

κακοηθεστάτους)215. Nell'ampia sezione che il fisiognomista latino Polemone dedica alla descrizione degli occhi, troviamo espressa l'idea che una pupilla più piccola del resto dell'occhio e particolarmente scura sia segno di malvagità e cattiveria (ubi pupillam cum oculo comparatam nimia invenis pro oculi ambitu

magnitudine eiusque nigrum inaequale reperis, eius possessori in agendo malitiam adiudicato).216

Allo stesso modo, un occhio piccolo e concavo è tipico di un individuo malvagio (si

oculum parvo et cavum vides, possessori eius dolum et insidias, invidiam et aemulationem tribuito)217. Altro elemento fisico somatico rappresentativo di una innata malvagità è costituito dalla secchezza delle palpebre,218 da occhi rossi

211 Anonymi De Physiognomia liber 20= Förster, Scriptores physiognomonici, Lipsia 1994, vol.II, p.31. 212 Arist. Phgn. 811 b. 213 Arist. N.A. 1.1. 491b23-24. 214 Arist. N.A 1.1.491 b18. 215 Ath. 8.48. 216 Polem. Phgn. 1.5 217 Polem. Phgn. 1. 12.

218 Polem. Phgn. 1. 16 oculis acris visus et siccis iniustitiam adiudica; verum oculo cuius pupillam

umidam vides fortitudinem et audaciam et iracundiam vehementem, strenuitatem multam, prompta responsa, celeritatem in agendo, rerum agendarum susceptionem nec deviationem

fulgenti come il fuoco e dalle pupille con un punto rosso al centro219: caratteristiche somatiche, queste, che connotano anche, nelle fonti antiche, la figura dell'invidioso220. L'anonimo del trattato fisiognomico latino riprenderà in buona parte le considerazioni di Polemone, accostando, anch'egli, la piccolezza, la secchezza e la forma incavata degli occhi alla natura malvagia e maligna dell'individuo dotato di queste caratteristiche somatiche (oculi cavi, parvi subdoli

sunt atque invidi; si accedat et siccitas, etiam infedeles facit et proditores et sacrilegos; sed cum rigidi sunt, insaniae arguunt)221. Un'altra caratteristica fisiognomica associata nell'antichità, anche se non presente nei trattati di fisiognomica, all'occhio invidioso è quella costituita dalla sua obliquità. La testimonianza più significativa, in questo caso, è fornita da Orazio.

Nella quattordicesima epistola del primo libro, Orazio, confrontando la placida vita di campagna ai problemi ed agli affanni del vivere in città, sottolinea come, abitando nel suo podere, non vi sia alcun oculus obliquus in grado di limare i suoi agi (sua commoda)222. Nel suo commento alle Epistole oraziane, Porfirio interpreta l'espressione obliquus oculus come invidus oculus223.

Un aspetto interessante di quest'ultima testimonianza è costituito dal fatto che l'azione del limare venga accostata da Orazio all'occhio invidioso.

L'invidia, dunque, non rimane un sentimento passivo, tutto interno alla sfera passiva del soggetto che la sperimenta, bensì è in grado di agire, ed agire in modo diretto, sull'oggetto invidiato. Sono proprio queste le modalità d'azione tipiche del malocchio. In questa accezione invidia (malocchio) ed il verbo invideo (getto il malocchio) rientrano all'interno della sfera del fascinum.

Su fascinazione, invidia e malocchio, sono interessanti le considerazioni di De Martino: con questo termine fascinazione si indica una condizione psichica di

impedimento e di inibizione, e al tempo stesso un senso di dominazione, un essere

tribuito. Quodsi vero huius quidem modi est, sed pupilla eius sicca, adiudica et iniustitiam perfectamque malignitatem.

219 Polem. Phgn. 1.7 vidi virum quem non nomino Cyrensem, in cuius oculis puncta erat milio similia

pupillae parallela, alia rubicunda alia nigra, et ut ignis fulgentia. Is perfecta erat malitia, sibi indulgens in cupidine ut stupro, moribus dissolutis et protervitate, ei nec religio erat nec fides.

220 Cfr. A.Nuňo, op.cit., pp. 86-98.

221 Anonymi de Physiognomonia liber 31.

222 Hor. Ep. 1.14.37-38 Non istic obliquo oculo mea commoda quisquam/ limat, non odio obscuro

morsuque venenat;

agito da una forza occulta, che lascia senza margine l'autonomia della persona, la sua capacità di decisione e di scelta. Col termine affascino si designa anche la forza ostile che circola nell'aria, e che insidia inibendo e costringendo (….).

La fascinazione comporta un agente fascinatore e una vittima, e quando l'agente è configurato in forma umana, la fascinazione si determina come malocchio, cioè come influenza maligna che procede dallo sguardo invidioso (onde il malocchio è anche chiamato invidia)224.

Il termine fascinum trova un chiaro parallelo nel lessema greco βάσκανος,

βασκανία. L'accostamento è documentato già nelle fonti antiche, come

testimoniato da Aulo Gellio225 ed è stato ripreso dalla critica e dagli studi moderni, come nel dizionario etimologico Ernout-Meillet, laddove la corrispondenza anomala β=f viene ricondotta all'origine tracio-illirica della parola.226

Il termine βασκανία poteva essere utilizzato, in greco, per indicare il sentimento dell'invidia, della gelosia, della malignità e cattiveria227, ma anche per indicare un influsso nefasto, prodotto dalla vista e dallo sguardo altrui228.

Con il termine fascinum si indicava, a Roma, quel particolare tipo di influenza nefasta e negativa che, in base alla credenza comune e popolare, non necessitava di alcuna pratica, di alcun rituale, di alcuna cerimonia, per poter essere attuata229. Proprio questi aspetti distinguevano, da un lato, il fascinum da altre pratiche come l a devotio, l'imprecatio e la magia, che prevedano agenti definiti ed un rituale sufficientemente standardizzato, dall'altro contribuivano, proprio per questo motivo, a renderlo un fenomeno ancora più pericoloso e temibile.

Chiunque, infatti, poteva sentirsi minacciato dal fascinum. In alcuni casi, addirittura, il fascinum poteva anche agire come una vera e propria forma di forza involontaria, indipendente, dunque, dalla volontà stessa dell'agente fascinatore230.

224 E.De Martino, op.cit., p.15.

225 Gell. 16.2.4. item “fascinum appellatum” quasi “bascanum” et “fascinare” esse quasi “bascinare”. 226 A.Ernout-A.Meillet, op.cit., p-218.

227 Demosth, 20.24; Callim. Ap. 7.525.4; Theocr. 5.11-13.

228 Cfr. Hesych. O 1958; per il rapporto vista-invidia cfr. anche Phot. Lex s.v. Ὀφθαλμιᾶσαι: φθονῆσαι.

229 Il termine veniva utilizzato anche per indicare gli amuleti, come i falli, per stornare il malocchio. Cfr. G.Lafaye, Fascinum, in C.Daremberg-E.Saglio, Dictionnaire des antiquités

grecques et romaines, II, 2, Parigi 1896, pp. 983-987. Per Fascinum utilizzato per indicare il fallo

cfr., in particolare, Hor. Epod. 8.18; Petr.138.1.1; Priap. 28.3; 79.1; 83.8

230 Cfr. Plut. 5.7.1 εἰ γὰρ ἅ λέγουσιν πολλοὶ περὶ τῶν βασκαινομένων ὡς ἀληθῆ τίθεμεν, οὐκ ἀγνοεῖς

Agente fascinatore che, del resto, come messo in evidenza da Dickie, era spesso indistinto e non chiaramente identificato nelle fonti classiche latine e greche: the

more or less constant factor in this costellation of fears was fear of envy: (…). They might fear it would come from their fellow men, demons, the gods, fortune, the fates, and a malign supernatural power they called simply φθόνος οr invidia231.

Il fascinum operava, sostanzialmente, attraverso due strumenti principali: la parola e la vista. L'influsso e la forza nefasta potevano essere provocate ed incitate menzionando i successi e le fortune di qualcuno; era infatti credenza comune, nel mondo antico, che le lodi eccessive e smaccate potessero causare il malocchio e, dunque, per mezzo del fascinum, potessero portare alla distruzione ed all'annichilimento del lodato. Tale possibilità è esplicitamente introdotta, per la prima volta nell'ambito della letteratura greca, nell'Agamennone di Eschilo, in cui, in una delle scene più famose e celebri del dramma, il capo della spedizione greca a Troia cerca di difendersi contro le lodi eccessive a lui rivolte dalla moglie Clitemnestra.

Nel caso specifico, le lodi dell'infida moglie del comandante hanno l'intenzione e lo scopo, volutamente perseguito, di scatenare sul marito lo φθόνος232.

Socrate, nel Fedone, invita Cebete, che aveva esaltato l'argomentare del filosofo in risposta ai dubbi di Simmia, a non esagerare con gli elogi, affinché una qualche malia non stravolgesse i ragionamenti futuri (Ὠγαθέ, ἔφη ὁ Σωκράτης, μὴ μέγα λέγε

μή τις ἡμῖν βασκανία περιτρέψῃ τὸν λόγον τὸν μέλλοντα ἔσεσθαι)233. Ad una

γλῶττα πονηρά fa riferimento, nel contesto di una preghiera ad Hermes, anche un

papiro magico, accostando l'espressione alla βασκοσύνη234.

Anche il mondo latino non era alieno da una tale superstizione: così, nelle commedie di Plauto, i personaggi che hanno lodato eccessivamente le ricchezze e la buona sorte propria od altrui ricorrono spesso all'espressione praefiscine235 per

ὑπολαμβάνουσιν, ὥστε μὴ δεικνύναι τὰς γυναῖκας αὐτοῖς τὰ παιδία μηδὲ πολὺν ἐᾶν χρόνον ὑπὸ τῶν τοιούτων καταβλέπεσθαι; Pl. Hist. Nat. 7.2; Su malocchio ed infanzia Cfr. E. De Martino, op.cit., pp. 40-52.

231 M.Dickie, The fathers of the Church and the Evil Eye, in H. Maguire (ed.), Byzantine Magic, Washington 1995, p. 12.

232 Aesch. Agam. 896-905. 233 Plat. Phaed. 95 b.

234 PMG VIII.33-35.διάσοσόν με πάντοτε εἰς τὸν αἰῶνα ἀπὸ φαρμάκων καὶ δολίων καὶ βασκοσύνης

καὶ γλωττῶν πονηρῶν, ἀπὸ πάσης συνοχῆς, ἀπὸ παντὸς μίσους θεῶν τε καὶ ἀνθρώπων.

stornare l'influenza del malocchio. Altra nota attestazione della mala lingua è quella del settimo carme di Catullo, in cui il poeta rifiuta di dare indicazione precisa del numero dei baci di Lesbia in grado di soddisfarlo, affinché i curiosi non possano farne il conto né i maligni gettarne il malocchio (mala fascinare lingua)236. Nella settima ecloga delle Bucoliche di Virgilio, il pastore Tirsi si augura di poter essere incoronato dai pastori d'Arcadia affinché Codro scoppi d'invidia; se lo stesso Codro, inoltre, dovesse lodarlo più del consentito, Tirsi chiede di poter essere cinto di fiori d'elicriso, per poter scacciare la fascinazione di una lode eccessiva, che comporta il malocchio e che nasconde invidia237.

Servio, commentando il passo virgiliano, sottolinea come quicquid autem ultra

meritum laudatur, dicitur fascinari.238

Uno scolio a Giovenale239 riporta riporta l'usanza, diffusa nel mondo romano, di sputare tre volte nel proprio petto (conspuiturque sinus) per stornare il malocchio (videntur fascinum arcere) e la fascinazione delle parole (propter fascinum

verborum). Plinio il Vecchio offre testimonianza, riprendendo osservazioni dei

paradossografi Isigono e Nimfodoro, di alcune popolazioni nelle quali alcuni individui erano in grado di “affascinare” per mezzo della parola, evocando il malocchio con i loro elogi: in eadem Africa familias quasdam effascinantium

Isigonus et Nymphodorus, quorum laudatione intereant probata, arescant arbores, emoriantur infantes.240

L'altro strumento privilegiato della fascinatio era, come anticipato, quello degli occhi241. Ancora Plinio il Vecchio riporta un'altra notizia del succitato Isigono, per il

236 Per Nuňo, op.cit, p. 143, il carme catulliano congloberebbe due diverse forme di attacco alla felicità degli innamorati:, una costituita dal malocchio, l'altra dall'utilizzo di mala carmina: en

este caso, resulta tremendamente peculiar la expresiòn mala fascinare lingua. Es el ùnico caso que conocemos en la literatura latina en donde la manera de “fascinar” sea a travès de la lengua. Da la sensaciòn de que, de nuevo, se trata de una licencia poètica a travès de la cual Catulo une el poder danino de dos maldiciones, la del ojo, y los mala carmina. Preferisco, tuttavia, seguire

l'interpretazione di Dickie, Malice, envy and inquisitiveness in Catullus 5 and 7,<< Papers of the Leeds international Latin Seminar>>, 7 (1993), p.17, per il quale l'invidere ed il mala fascinare

lingua both signify drawing the Evil Eye on to someone or something by speaking in such a a way as to attract the Evil Eye of some other being to the person or object mentioned.

237 Vergil. Ecl. 7.25-28 pastores, hedera cresentem ornate poetam/ Arcades, invidia rumpantur ut

Ilia Codro;/ aut, si ultra placitum laudarit, baccare frontem/ cingite, ne vati noceat mala lingua futuro.

238 Serv. ad. loc. 239 Ad. Iuv. 7.112. 240 Plin. Nat .7. 16.

241 La trattazione più esauriente sul tema del malocchio è quella di S.Seligmann, Der böse Blick und

quale vi erano popoli dell'Illiria e della Triballia capaci di affascinare ed uccidere con lo sguardo: Esse in Triballis et Illyriis adicit Isigonus, qui viso quoque effascinent

interimantque quos diutius intueantur, iratis praecipue oculis, quod eorum malum facilius sentire puberes; a questa osservazione, Plinio aggiunge una considerazione

di tipo somatico: la doppia pupilla, qualità malefica e affascinante dell'occhio (notabilius esse quod pupillas binas in singulis habeant oculis242. Huius generis et

feminas in Scythia, quae Bythiae vocantur, prodit Apollonides. Phylarchus et in Ponto Thibiorum genus multosque alios eiusdem naturae, quorum notas tradit in altero loco geminam pupillam, in altero equi effigiem; eosdem praterea non posse mergi, ne veste quidem degravatos. Haut dissimile iis genus Pharmacum in Aethiopia Damon, quorum sudor tabem contactis corporibus afferat. Feminas quidem omnes ubique visu nocere quae duplices puppilas habeant Cicero quoque apud nos auctor est, adeo naturae, cum ferarum morem vescendi humani visceribus in homine genuisset, gignere etiam in toto corpore et in quorundam oculis quoque venena placuit, ne quid usquam mali esset quod in homine non esset)243.

Al di là delle indicazioni etnografiche, le preoccupazioni per l'insorgenza del malocchio potevano riguardare qualsiasi aspetto della vita quotidiana romana, come, ad esempio la sfera amorosa, come attestato dal carme 5 di Catullo244, o, più in generale, qualsiasi bene posseduto in grado di suscitare invidia ed il malocchio, come gli agnelli di cui parla Virgilio nella terza Ecloga245.

Altre fonti nelle quali è possibile rilevare la presenza del valore di invidere come

gettare il malocchio sono fornite dal materiale epigrafico, materiale nel quale, come

evidenziato dagli studiosi246, il tema dell'invidia si legava, strettamente, in alcuni casi, all'allontanamento del malocchio247, come confermato, tra l'altro, dal fatto che

Aberglaube des bösen Blicks bei den Alten, << Berl. Sächs, Ges. Wiss>>, 7 (1855), pp. 28-110.

242 Cfr. Laura Cherubini, L'oculata malefica: sguardi di strega dalla commedia plautina, << I quaderni del ramo d'oro>>, 1 (2008), pp. 157-184. Sulla duplice pupilla vd. anche Ov. Am. 1.8.15-16.

243 Plin. Nat. 7. 16-18.

244 Cfr., e.g., Stat. Silv. 3.5 1-10; 2.6.68-78.

245 Verg. Ecl. 3. 102-103 Hi certe- neque amor causa est- vix ossibus haerent:/ nescio quis teneros

oculus mihi fascinat agnos.

246 F. Bücheler, Grammatica et epigraphica, <<Glotta>>, 1 (1907), p.8; P. Cugusi, “Invidia e coppa

d'amore”. Due temi presenti nei carmi epigrafici, <<RPL>>, 27 (2004), p. 85.

247 Sul tema cfr., e.g., CIL VIII. 23131 invide, livide, titula tanta quem adseverabas/ fieri non posse,

perfecte sunt; CIL VIII. 2521 aemule si quis potes, nostros imitare labores./ si malevolus es, geme; si benevolus, gaude; CIL VIII- 2524 qui ducis vultus et non legis ista libenter/ omnibus invideas livide, nemo tibi; CIL VIII 11683 hoc vide, vide et vide, ut possis plura videre.

le iscrizioni inerenti al tema dell'invidia fossero spesso accompagnate dalle raffigurazioni di falli, con un chiaro richiamo alla funzione apotropaica degli stessi248.

il verbo invidere ricorre frequentemente anche nelle iscrizioni funebri: una di esse, ritrovata a Roma e risalente al 120 a.C., riporta i lamenti di un padre per la morte del giovane figlio di sei anni. La responsabilità della morte, dovuta ad una malattia, viene ricondotta alle Parche ed al Destino. In particolare, nell'epigrafe viene attestata l'invidia di Lachesi: invidit Lachesis (...) me249. Similmente, un'altra