Capitolo 3 Aglauro e l'Invidia nel secondo libro delle Metamorfosi
3.8 La narrazione della cornacchia: la vicenda delle Cecropidi
La narrazione della cornacchia, inserita nella tecnica del racconto a cornice, del racconto dentro il racconto, deve dunque fungere da insegnamento al corvo: la storia della cornix nasce infatti dalla sua esperienza personale, esperienza assai simile a quella ora sperimentata dal corvo.
Anche la cornacchia, infatti, era stata punita (da Minerva nel caso specifico) a causa di una delazione relativa alle vicende delle Cecropidi, come lei stessa racconta
..Nam tempore quodam
Pallas Erichtonium, prolem sine matre creatam, clauserat Actaeo texta de vimine cista
555 virginibusque trinus gemino de Cecrope natis
et legem dederat, sua ne secreta viderent. Abdita fronde levi densa speculabar ab ulmo, quid facerent: commissa duae sine fraude tuentur Pandrosos atque Herse; timidas vocat una sorores
560 Aglauros nodosque manu diducit; et intus
infantemque videt adporrectumque draconem. acta deae refero; pro quo mihi gratia talis
redditur, ut dicar tutela pulsa Minervae et ponar post noctis avem620..
La cornacchia tratta con riservatezza una storia che i poeti, sin da Omero, hanno difficoltà o imbarazzo a narrare. Efesto aveva cercato di possedere la vergine Minerva; nell’amplesso, tuttavia, il dio era riuscito solamente a gettare il proprio seme sulla gamba di Minerva. Questo stesso seme, deterso con un battufolo di lana e gettato a terra, aveva fecondato il suolo generando Erittonio.
La dea aveva poi affidato la cesta con dentro Erittonio alle figlie del re ateniese Cecrope, le quali, spinte dalla curiosità, finiranno con l’aprire il cesto, subendo, per questo, un’atroce punizione.
Quello appena presentato non è che lo scheletro della vicenda, ma è importante sottolineare, per questa come per molte altre storie mitiche, la varietà e le divergenze, spesso importanti e significative, tra una versione e l’altra del mito. Come abbiamo avuto modo di notare in precedenza, la fonte del testo ovidiano è certamente l’Hecale di Callimaco.
La cornix ovidiana, riprendendo l’esempio della cornacchia callimachea nell’Hecale, descrive il proprio coinvolgimento nella vicenda delle Cecropidi. Le due cornacchie descrivono le istruzioni ricevute dalle figlie di Cecrope da Atena (Met. 2. 552-556; Hollis fr, 70.5-6); nelle Metamorfosi, come nell’Hecale, le sorelle disobbediscono agli ordini e scrutano il contenuto della cesta (Met. 2.558-61; Hollis fr. 70.12-14); la cornacchia, dopo aver assistito alla scena, riporta la notizia ad Atena, la quale si adira e punisce l’uccello (Met. 2.562-68; Hollis frr. 72-73).
Queste affinità tematiche, alle quali possono essere aggiunte anche quelle di cattere formale e linguistico621, non devono però far dimenticare le divergenze, profonde, tra i due testi (quello ovidiano e quello callimacheo), prima di tutto in relazione alle diverse finalità ricoperte dalle due storie.
In Ovidio, come abbiamo visto, la storia della cornacchia funge da modello per il corvo622; nell’Hecale le finalità sono di tipo eziologico: la storia che troviamo nel testo callimacheo, infatti, vuole spiegare l’assenza delle cornacchie dall’Acropoli di Atene (Hollis fr.73); ovviamente questa divergenza di finalità si interpreta bene
621 Cfr. cista, Met. 2.554-κ.ίστη Hollis fr. 70.14; nodos.. manu diducit, Met. 2.560-δεσμά τ᾽ἀνεῖσαι, Hollis fr. 70.14; virginibus tribus gemino de Cecrope natis, Met 2.555- Κεκροπίδῃσιν, Hollis fr. 70.5; secreta, Met. 2. 2.556- λάθριον ἄρρητον, Hollis fr. 70.6.
622 La presentazione della vicenda delle Cecropidi in chiave eziologica giungeva a Callimaco dall’attidografo Amelesagora, citato da Antigono di Caristo: Cfr. Antig. Hist. mirab. 12 τῇ δὲ κορώνῃ, διὰ τὴν κακαγγελίαν, εἰπεῖν ὡς εἰς ἀκρόπολιν οὐ θέμις αὐτῇ ἔσται ἀφικέσθαι.
alla luce dei diversi contesti in cui sono calati i due racconti mitici: nel testo di callimaco, il collegamento con le vicende di Teseo descritte nell’Hecale appare di non immediata evidenza623, mentre, nel testo ovidiano, l’inserimento della cornacchia, ccontraddistinta da caratteristiche assai simili a quelle del suo interlocutore, poteva prestarsi bene ad un incontro incentrato sul tema della voce e della garrulità.
Non meno importanti le differenze relative all’identità delle sorelle colpevoli tra le due storie, differenze che, tuttavia, non riguardano esclusivamente i rapporti intertestuali tra Hecale e Metamorfosi, Callimaco ed Ovidio, ma, più in generale, la tradizione complessiva del mito, su questo punto specifico abbastanza confusa. In Callimaco tutte e tre le sorelle vengono presentate come colpevoli; situazione identica in Euripide624. Pausania625 attribuisce la responsabilità del gesto alle sorelle di Pandroso, ad Erse ed Aglauro dunque; anche nel mitografo Apollodoro626 troviamo la colpevolezza delle sole Erse ed Aglauro; Amelesagora, secondo la notizia riportataci da Antigono di Caristio, avrebbe, invece, indicato come colpevoli Aglauro e Pandroso627.
Differenti sono anche le punizioni riservate alle colpevoli nei vari rami della tradizione: secondo la testimonianza di Pausania, le due sorelle, Erse ed Aglauro, dopo aver aperto la cesta, impazzirono avendone visto il contenuto e, in preda alla follia, si precipitarono giù dalla rocca di Atene, dove la ripa era più scoscesa628; Apollodoro riporta, nella sua Biblioteca629, due differenti versioni della fine delle Cecropidi colpevoli. Alcuni (ἔνιοι), dice Apollodoro, sostengono che le fanciulle
623 Probabilmente i due uccelli dell’Hecale discutono sull’opportunità di annunciare all’eroe ateniese a morte della vecchietta ospitale; il tema chiave della digressione, dunque, appare essere quello relativo alla κακαγγελία.
624 Eur. Ion.273-274. 625 Paus. 1.18.2 ὑπὲρ δὲ τῶν Διοσκούρων τὸ ἱερὸν Ἀγλαύρου τέμενός ἐστιν. Ἀγλαύρωι δὲ καὶ ταῖς ἀδελφαῖς Ἕρσηι καὶ Πανδρόσωι δοῦναί φασιν Ἀθηνᾶν Ἐριχθόνιον καταθεῖσαν ἐς κιβωτόν, ἀπειποῦσαν ἐς τὴν παρακαταθήκην μὴ πολυπραγμονεῖν. Πάνδροσον μὲν δὴ λέγουσιν πείθεσθαι 1.27.3 Τῶι ναῶι δὲ τῆς Ἀθηνᾶς Πανδρόσου ναὸς συνεχής ἐστι. καὶ ἔστι Πάνδροσος ἐς τὴν παρακαταθήκην ἀναίτιος τῶν ἀδελφῶν μόνη. 626 Apollod. 3.14 καὶ καταθεῖσα αὐτὸν εἰς κίστην Πανδρόσῳ τῇ Κέκρροπος παρακατέθετο, ἀπειποῦσα τὴν κίστην ἀνοίγειν . αἱ δὲ ἀδελφαὶ τῆς Πανδρόσου ἀνοίγουσιν ὑπὸ περιεργίας.
627 Antig. Hist. mirab. 12 Ἀμελησαγόρας δὲ ὁ Ἀθηναῖος, ὁ τὴν Ἀτθίδα συγγεγραφώς, φησι (..) τὰς
δὲ Κέκροπος θυγατέρας τὰς δύο, Ἄγραυλον καὶ Πάνδροσον, τὴν κίστην ἀνοῖξαι.
628 Paus.1.18.2 μαίνεσθαι τε, ὡς εἶδον τὸν Ἐριχθόνιον.
furono uccise dal serpente contenuto all’interno del cesto630; altri, invece, prosegue il mitografo, sostengono che fu Atena a rendere pazze le fanciulle, al punto di farle precipitare dall’Acropoli631.
Le fonti distinguono, dunque, tra una morte immediata procurata alle Cecropidi dal serpente, ed una morte non immediata e non direttamente conseguente all’apertura della cesta, bensì preceduta da uno stato di follia indotta, di pazzia, causato o dal serpente o, in altre testimonianze, dalla dea Atena adirata.
Diverse tra loro le testimonianze delle fonti, differente dal resto della tradizione la testimonianza ovidiana: un’unica colpevole, Aglauro, e nessuna indicazione di una punizione. La mancanza della punizione può essere spiegata in base a due considerazioni: prima di tutto, dobbiamo ricordare che a narrare la storia delle Cecropidi in Ovidio è la cornacchia, la quale ha deciso di raccontare la vicenda al corvo per una finalità ben precisa: ammonirlo degli svantaggi che possono essere arrecati dalla diffusione di notizie indesiderate, accostando la sua storia a quella del corvo (quid fuerim quid simque, vide meritumque require:/ invenies nocuisse
fidem, vv. 551-552). Alla cornacchia interessa informare il corvo dell’errore da lei
commesso; la storia delle figlie di Cecrope costituisce, per lei, solo lo sfondo del suo racconto, proprio perchè il suo racconto è incentrato su se stessa, è lei la protagonista principale.
Nel momento in cui Aglauro disfa i nodi e la cornacchia, osservato il tutto, corre a riferire la notizia a Minerva, la sovrapposizione tra la sua vicenda e quella del corvo è totale: la vicenda delle Cecropidi, narrata proprio per creare questa sovrapposizione, ora non è più menzionata, viene temporaneamente abbandonata dal narratore, che concentra la sua attenzione sulla cornix e sulle conseguenze della sua delazione.
L’elemento di congiunzione tra le storie della cornacchia e del corvo era infatti quello relativo alla denuncia di atti illeciti alle rispettive divinità di riferimento; una volta ripreso questa tema, la cornacchia poteva andare avanti nella narrazione, senza tornare sulla vicenda delle Cecropidi. La cornix, dopo aver riferito al corvo la punizione inflittale da Minerva, continuerà la sua narrazione, ritornando ancora 630 Apollod. 3.14 ὑπ᾽αὐτοῦ διεφθάρησαν τοῦ δράκοντα.
più indietro nel tempo, narrando della sua originaria condizione umana e della sua metamorfosi; non a caso, l’unica punizione introdotta nel suo racconto è quella che lei stessa aveva subito ad opera di Minerva632.
Quello offerto dalla cornacchia è un buon esempio delle diverse prospettive, delle diverse angolazioni con le quali le storie delle Metamorfosi vengono presentate e narrate La narrazione di una storia è legata alla figura del narratore, il quale, essendone padrone e depositario, può anche decidere, per conseguire certi scopi, di enfatizzare determinati aspetti a discapito di altri, oppure presentare le vicende sotto il proprio, personale, punto di vista, adattando il mito alle esigenze specifiche del suo racconto.
Ne conseguono variazioni, prospettive inedite, nuovi approcci a vicende mitiche note e consolidate da lunga tradizione. In questo caso, la storia non è raccontata per il semplice gusto del racconto, ma è vincolata, legata, ad un’altra finalità (la funzione ammonitoria), per la quale viene introdotta, ed alla quale viene adattata. Questa variazione di prospettiva, che permette al poeta di porre sotto una nuova luce miti antichi, oltre a corrispondere ad un principio di poetica già pienamente affermatosi in età ellenistica, può permettere, nel caso specifico del passo in esame, l’introduzione di una vicenda, come quella delle Cecropidi, che, se per la cornacchia vale unicamente in relazione a ciò che quella storia aveva comportato per lei, per il lettore vale come una nuova storia, inserita in un contesto tematico ben delineato, del quale sembra condividerne alcuni aspetti fondamentali.
Il lettore dotto delle Metamorfosi doveva conoscere il mito delle Cecropidi; ora, però, nel testo ovidiano, si avvicina alla storia in una prospettiva nuova, sotto una
632 Quello offerto dalla cornacchia è un buon esempio delle diverse prospettive, delle diverse angolazioni con le quali le storie delle Metamorfosi vengono presentate e narrate La narrazione di una storia è legata alla figura del narratore, il quale, essendone padrone e depositario, può anche decidere, per conseguire certi scopi, di enfatizzare determinati aspetti a discapito di altri, oppure presentare le vicende sotto il proprio, personale, punto di vista, adattando il mito alle esigenze specifiche del suo racconto. Ne conseguono variazioni, prospettive inedite, nuovi approcci a vicende mitiche note e consolidate da lunga tradizione: In questo caso, la storia non è raccontata per il semplice gusto del racconto, ma è vincolata, legata, ad un’altra finalità (la funzione ammonitoria), per la quale viene introdotta, ed alla quale viene adattata. Questa variazione di prospettiva, che permette al poeta di porre sotto una nuova luce miti antichi, oltre a corrispondere ad un principio di poetica già pienamente affermatosi in età ellenistica, può permettere, nel caso specifico del passo in esame, l’introduzione di una vicenda, come quella delle Cecropidi, che, se per la cornacchia vale unicamente in relazione a ciò che quella storia aveva comportato per lei, per il lettore vale come una nuova storia, inserita in un contesto tematico ben delineato, del quale sembra condividerne alcuni aspetti fondamentali.
nuova ottica. Il punto di vista, in questo caso, è infatti assunto da un animale che spia, nascosto da una tremula frasca, l’operato delle sorelle.
Questa tecnica fa sì che, nell’intreccio continuo di storie che costituisce le
Metamorfosi, anche la vicenda delle Cecropidi, la quale si inserisce perfettamente
in quelli che sono gli aspetti essenziali di questa sezione testuale del II libro, sia colta ed osservata dagli occhi di un altro personaggio, contribuendo, in questo modo, all'enfatizzazione di quella sfera visiva che gioca un ruolo evidente nello sviluppo dell'intera sequenza narrativa.
Nel gioco di scatole cinesi, di racconto dentro il racconto, la figura di Aglauro si avvicina molto a quella del corvo e della cornacchia. Il corvo spia gli amplessi furtivi di Apollo e Coronide, la cornacchia osserva furtivamente le Cecropidi, una delle quali, Aglauro, osserva il contenuto della cista, divenendo al contempo soggetto ed oggetto di visione.
Il parallelo non si ferma però solamente all’indicazione testuale dell’atto visivo. Come abbiamo visto, il narratore introduce la punizione del corvo prima ancora di narrane la storia; la cornacchia presenta, nel racconto in prima persona, la punizione cui era stata sottoposta; ambedue le punizioni erano diretta conseguenza della loro garrulità, ma anche della loro curiosità, della loro smania discorgere, vedere, osservare atti, gesta, azioni di altri personaggi.
Aglauro si allinea perfettamente al corvo ed alla cornacchia in questa smania visiva, in questo desiderio eccessivo e smodato di vedere ad ogni costo anche ciò che non è dato e concesso vedere; questo aspetto crea una attesa nel lettore, il quale conosce sia le punizione del corvo e della cornacchia nel testo ovidiano sia, al di fuori di esso, la punizione delle sorelle ateniesi nel mito greco di Eretteo, punizione scaturita da motivazioni sostanzialmente simili. Questa attesa viene temporaneamente disattesa nel prosieguo della narrazione della cornacchia, la quale, come abbiamo visto, non racconterà la fine della vicenda mitica, ma verrà ripresa e soddisfatta da lì a poco, anche se inserita in un contesto e in delle forme inedite rispetto a quelle presentate dalla tradizione mitica sul tema.
Aglauro verrà infatti punita da Minerva con l’infusione del sentimento dell’invidia nei precordi della giovane, la quale verrà talmente devastata dall’azione perniciosa e nefasta dell’invidia da arrivare a desiderare la propria morte, a volersi uccidere.
In questo desiderio autodistruttivo, in questa volontà di autoannientamento possiamo scorgere una duplicità di significati: è vero, infatti, che il suicidio, l’eliminazione della propria persona è una delle conseguenze più gravi cui può giungere l’astio dell’invidioso (ed in questo senso la descrizione si adatta perfettamente al contesto in cui sitrova ad essere inserita); è altrettanto vero, tuttavia, che, come sottolineato da Walter Wimmel633, in questa descrizione si può scorgere, in filigrana, un riflesso di una delle modalità di punizione tramandate dal patrimonio mitico a proposito delle Cecropidi: abbiamo visto, infatti, la testimonianza di Apollodoro, per il quale un filone della tradizione mitica credeva in una pazzia improvvisa delle ragazze provocata all’intervento, non immediato, di Atena; tale pazzia avrebbe provocato il suicidio delle sorelle634.
In Ovidio Aglauro, che, ricordiamo, è l’unica colpevole, viene punita, anche in questo caso non immediatamente, da Minerva con una punizione, l’insorgere del sentimento invidioso, che molti tratti presenta in comune con l’invasamento provocato della pazzia. Anche la volontà di suicidio di Aglauro poteva, dunque, adattarsi perfettamente ad ambedue i contesti.
L’azione dell’invidia sul corpo di Aglauro, inoltre, verrà accostata da Ovidio, come vedremo, ad un dolore occulto, ad un morso.
L'Invidia diffonde per le ossa della giovane un veleno. Anche questi elementi hanno duplice valenza: sono coerenti con l’immagine dell’invidioso, spesso legato ed accostato, anche nell’iconografia tradizionale, alla figura della serpe, ma richiamano, al contempo, le fonti che parlavano della morte delle Cecropidi ad opera del serpente custodito nella cesta. Ovidio, dunque, ha riadattato un mito che trovava già presente nell’Hecale della sua fonte Callimaco. Mentre nella tradizione del mito la punizione era conseguente alla curiosità delle protagoniste, senza alcun riferimento all’invidia, nelle Metamorfosi la storia viene, di fatto, spezzata e suddivisa in due parti, nella seconda delle quali proprio l’invidia acquisterà un ruolo rilevante.
Quest’operazione è, del resto, tipica di un poeta doctus come Ovidio, in grado di adattare, riplasmare i miti in sempre nuove forme, anche a seconda delle sue esigenze. Nel nostro caso, partendo dal presupposto che Ovidio volesse
633 W,Wimmel, Aglauros in Ovids Metamorphosen, <<Hermes>>, 90 (1962), pp. 326-333. 634 Cfr. supra, p. 147 n. 631.
effettivamente incentrare la sezione narrativa di cui stiamo trattando proprio sul ruolo e la figura dell'Invidia, si può notare come la vicenda delle Cecropidi, sia nella fonte principale di Ovidio, Callimaco, che nel resto della tradizione, presentasse un insieme di caratteristiche che bene si adattavano ad essere inserite in questo contesto: la curiosità mostrata dalle sorelle nelle varie versioni del mito, la pazzia o il morso del serpente come conseguenze dell'apertura della cesta, nonché, come testimoniato da un rinvenimento papiraceo, anche l'attestazione di un processo litomorfico635 (che nella tradizione vale nella sua funzione concreta e fattuale, mentre in Ovidio il processo simboleggia, come vedremo, oltre ad una metamorfosi fisica, anche le conseguenze della diffusione del veleno dell'Invidia).
Questi elementi evidenziano come Ovidio, senza stravolgere la tradizione, abbia attinto da essa gli aspetti che meglio si confacevano al suo progetto.
Sulle motivazioni che possono aver spinto Ovidio a vedere in Aglauro l’unica sorella colpevole, interessanti le annotazioni di Keith, che si collega all’etimologia dei nomi delle tre Cecropidi: i nomi di Erse e Pandroso sono legati, etimologicamente, alla rugiada; Pandroso, infatti, è un nome composta da πᾶν (tutto) e δρόσος (rugiada), mentre il nome Erse viene glossato, da Esichio, con un analogo riferimento alla rugiada636.
Il nome Aglauro, invece, oltre a non presentare un etimologia legata alla rugiada, come nel caso delle due sorelle, è legato, morfologicamente e semanticamente, all’aggettivo ἀγλαός, il quale aggettivo presenta il significato primario di
splendente, brillante. Per la studiosa sarebbe stata proprio questa divergenza
etimologica a motivare la scelta di Ovidio, che avrebbe, di fatto, proiettato sul piano narrativo una differenza insita sul piano del linguaggio637.
Personalmente, credo si possa motivare in altro modo la scelta ovidiana, pur rimanendo nel piano delle analisi etimologiche descritte dalla Keith.
L’aggettivo ἀγλαός, infatti, spesso utilizzato nell’accezione di illustre, nobile,
glorioso, da cui anche il verbo ἀγλαΐζω (rendere splendido, glorificare), indica
propriamente la lucentezza, lo splendore, la brillantezza. Chantraine, non a caso, ricollega il termine all’aggettivo latino splendidus, il quale, a sua volte, nell’evidente
635 A.Heinrichs, Die Kekropidensage in P.Herc. 243: von Kallimachos zu Ovid, <<Cronache Ercolanesi>>, 13 (1983), pp. 33-43.
636 HSCH s.v. Ἔρση: ἔρση, δρόσος. 637 A.Keith, op.cit. p.35.
collegamento con il sostantivo splendor, rimanda alla medesima immagine di lucentezza e brillantezza, già presente nell’aggettivo greco638.
Avremo modo di vedere come, al termine del processo di litomorfosi di Aglauro, Ovidio si periti di introdurre un elemento, una caratteristica particolare del processo metamorfico che ha coinvolto la donna ateniese: al verso 831, infatti, il narratore, dopo aver descritto nel dettaglio le trasformazioni subite da Aglauro, introduce una notazione cromatica relativa al prodotto finale della trasformazione (la pietra nella quale era stata mutata la protagonista):
nec lapis albus erat; sua mens infecerat illam.
Il processo consuntivo cui era andata incontro Aglauro era stato talmente devastante ed interiormente sconvolgente che neppure la nuova natura della fanciulla poteva rimanere esente dalle trasformazioni operate dal veleno dell’invidia sul corpo della giovane.
Anche in questo verso, dunque, possiamo notare una duplicità di piani e di prospettive: la precisazione di Ovidio, infatti, vale sia sul piano immediato di comprensione e lettura, giacché la bianchezza e la lucentezza sono tratti caratteristici delle pietre, sia su quello extra-testuale e linguistico, con riferimento all’etimologia del nome di Aglauro ed alle conseguenze innestate dal veleno dell'invidia. Dobbiamo ricordare, inoltre, che anche il corvo originariamente era contraddistinto dalla lucentezza del piumaggio (candidus, v.534; niveis pennis, v. 536); lucentezza che avrebbe perduto a seguito della delazione, coprendosi di penne nere (nigrantes alas, v. 535).
Queste osservazioni cromatiche permettono, dunque, un nuovo accostamento tra i protagonisti delle vicende di questa sezione narrativa, confermando la presenza di continui ponti tematici, linguistici e lessicali tra una storia e l'altra.
Abbiamo già avuto modo di sottolineare l'importanza del fattore visivo legato alla
curiositas, ed il collegamento di quest'ultima con l'invidia, a proposito delle
vicende del corvo ed anche, come si chiarirà meglio in seguito, della stessa Aglauro; i medesimi aspetti meritano di essere presi in considerazione anche in relazione
alla vicenda della cornacchia: anche la cornacchia poteva usufruire di un rapporto privilegiato con la divinità (nel caso specifico, Minerva), rapporto privilegiato che, a rispecchiamento della vicenda del corvo, l'uccello era, evidentemente, desideroso di mantenere. Non a caso, la cornacchia, dopo aver terminato la narrazione della vicenda delle Cecropidi, continua a raccontare al corvo sia la sua metamorfosi sia la sua sostituzione, nel rapporto privilegiato con Minerva, da parte di Nictimene, mutata in civetta.
Il racconto che la cornacchia presenta a proposito della sua metamorfosi è lungo e particolareggiato: l'uccello descrive la sua originaria condizione umana nella veste della figlia di Coroneo; racconta di come, a causa della sua bellezza, venne inseguita da Nettuno e, dopo aver a lungo implorato aiuto, di come venne mutata in uccello da Minerva, che la ebbe in seguito come compagna (vv. 569-588). La cornacchia si