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La presentazione dell'Invidia

Capitolo 3 Aglauro e l'Invidia nel secondo libro delle Metamorfosi

3.9 L'invidia, Minerva, Aglauro

3.9.2 La presentazione dell'Invidia

Giunta alla soglia, Minerva si ferma davanti alla porta e bussa con la punta della lancia: Huc ubi pervenit belli metuenda virago,/ constitit ante domum, neque enim

succedere tectis/ fas habet, et postes extrema cuspide pulsat.719

L'immagine della dea che si ferma sulla soglia e non entra entra richiama l'episodio della chiamata della Fame ad opera di un Oreade dei monti, a sua volta convocata da Cerere. L'Oreade non si avvicina alla Fame, ma le parla da lontano: Hanc procul

ut vidit (neque enim est accedere iuxta/ ausa)720. Nonostante questo, tuttavia, appena arrivata alla sua dimora, comincia a sentirsi a sua volta affamata (quamquam aberat longe, quamquam modo venerat illuc,/ visa tamen sensisse

famem)721. Per questo, dopo aver riferito il messaggio di Cerere (relativo alla punizione di Erissitone), l'Oreade si leva a volo, guidando nuovamente i draghi verso l'Emonia (retroque dracones/ egit in Haemoniam versis sublimis habenis)722. Il pericolo corso dalla messaggera, dunque, è quello di rimanere contaminata dalla

Fame, accostandosi all'entità o anche solo dimorando troppo a lungo nelle sue

vicinanze.

A proposito dell'incontro Minerva-Invidia, Feeney sottolinea come l'atteggiamento restio mostrato dalla dea nella casa di Invidia testimoni the shame which the

dignified person feels at having succumbed to this base vice723.

La mia opinione è che, in realtà, Minerva non stia combattendo una sorta di battaglia psicologica interna tra senso di invidia provato e non accettazione del medesimo, ma che, al contrario, il passo testimoni come la dea non possa essere soggetta alla φθόνος-invidia, che proprio lei vuole scatenare in Aglauro.

La dea si forma sulla soglia, non perché titubante, recalcitrante o dubbiosa, ma, più semplicemente, perché non le è concesso (neque fas!) entrare nella casa, avere contatti con l'Invidia. In questo caso il neque fas equivale, a mio modo di vedere, all'espressione neque fata coire sinunt utilizzato da Ovidio, nell'ottavo libro, per

719 Ovid. Met. 2. 765-767. 720 Ov. Met. 8. 809-810. 721 Ov. Met. 8. 811-812. 722 Ov. Met. 8. 812-813.

indicare l'impossibilità di un incontro tra Cerere, e Fame (neque enim Cereremque

Famemque/ fata coire sinunt)724.

È legge naturale e del destino che la dea che simboleggia l'agricoltura non possa avere contatti con la personificazione della Fame. Allo stesso modo, io credo che il

neque fas del secondo libro voglia rimarcare il fatto che non sia concesso a Minerva

avere contatti con l'Invidia (intesa nella accezione di φθόνος). Anche l'indicazione della dea che distoglie lo sguardo alla vista della mostruosità dell'Invidia può essere interpretata nell'ottica della mancanza di qualsiasi tipo di rapporto tra Minerva e il sentimento stesso725.

Lo stesso l'episodio della contesa tra Minerva ed Aracne, presentato dagli studiosi che difendono la figura di Minerva invidiosa726, in realtà mi pare che possa essere letta nell'ottica dello nemesi-script di invidia.

Ovidio, infatti, sottolinea a più riprese il comportamento sprezzante di Aracne, dapprima con il suo rifiuto a riconoscere la paternità della dea sulla attività della tessitura (scires a Pallade doctam/ Quod tamen ipsa negat)727; poi con il suo rifiuto della proposta, offerta dalla stessa Minerva travestita da vecchia, a non sfidare la dea e ad accontentarsi di essere la migliore tra le mortali (<<Consilium ne sperne

meum. Tibi fama petatur/ inter mortales faciendae maxima lanae:/ cede deae, veniamque tuis, temeraria, dictis/ supplice voce roga: veniam dabit illa rogantis>>/ Adspicit hanc torvis)728. La tessitrice della Lidia, inoltre, ricama, nella sua tela, storie di amori adulterini degli dei729. Se è vero, come sottolineato da Ovidio, che la tela di Minerva, per la sua qualità, non poteva essere oggetto di critiche né da parte di Minerva né dell'Invidia730, è vero, anche, che questa osservazione concerne la sfera propriamente artistica del lavoro. Esattamente come avviene nell'episodio di Aglauro nel quale, come abbiamo visto, la sofferenza di Minerva viene ricondotta subito da Ovidio alla trasgressione della Cecropide ad un precetto divino, anche in questa circostanza, l'espressione della sofferenza della dea (doluit successu flava

724 Ov. Met. 8. 785-786. 725 Ov. Met. 2.770.

726 Cfr., e.g, D.C.Feeney, op.cit., p.246; T.Koorneva, Alter et ipse: identità e duplicità nel sistema di

personaggi della Tebaide di Stazio, Pisa 2011, p.122.

727 Ov. Met. 6. 23-24. 728 Ov. Met. 6. 30-34. 729 Ov. Met. 6. 103-126. 730 Ov. Met. 6.129-130.

virago) viene subito ricollegato, nel verso successivo, alla causa scatenante; causa

che rientra nella nozione di demerito e trasgressioni di principi generali di giustizia che costituisce la base per l'esplosione dello sdegno (Doluit successu flava

virago/ et rupit pictas, caelestia crimina, vestes)731.

La dea punisce Aracne, infatti, per la tracotanza mostrata e per aver osato ricamare sulla sua tela, lei donna mortale, caelestia crimina. Galinsky, analizzando il passo, sottolinea come it may well be that the traditional accounts of the story had a moral

purpose and pilloried the hybris of Arachne. There is no indication, however, that this is the point of Ovid's story (…) Minerva is victorious only because her power, and not

her art, is superior to Arachne's732.

Come già anticipato, la mia opinione è che non solo la storia testimoni, in più punti, la hybris di Aracne, ma che proprio l'osservazione portato da Galinsky a sostegno della sua tesi, il fatto, cioè, che Minerva punisca la donna di Lidia solo perché più potente, rappresenti, in realtà, proprio il punto debole della sua argomentazione: Ovidio, infatti, sottolinea più volte, il fatto che fosse proprio la stessa Aracne a non riconoscere la superiorità della dea. Un tipo di comportamento, questo, che, come abbiamo visto anche nelle fonti greche, comportava la nemesi divina733.

La punizione di Minerva nasce da questa colpa e ristabilisce gli equilibri di forza, negati da Aracne734.

Il resto della descrizione e della presentazione ovidiana dell'invidia si snoda attraverso due linee fondamentali, tra loro strettamente connesse: il tema della vista e quello della sofferenza. Minerva vede e soffre, l'invidia vede e soffre, Aglauro vede e soffre. La vista, in tutti i casi, è straziata e tesa, sia perché è l'oggetto ad essere tale (come in Dante che soffre alla vista degli invidiosi nel Purgatorio), sia perché, come nel caso dell'Invidia, è il soggetto a proiettare, nella vista, i suoi tratti contorti. In Aglauro, infine, è la vista stessa ad assumere, per influenza dell'Invidia medesima, tratti esagerati, confusi, distorti e grotteschi.

731 Ov. Met. 6. 130-131. 732 K. Galinsky, op.cit. p. 83.

733 Basti ricordare come, per Aristotele, la nemesi insorgesse quando un inferiore si opponeva ad un superiore, soprattutto riguardo a quello che essi hanno in comune. Cfr. Rh. 2.9.1387a32-33. 734 Su questo aspetto, cfr. G.Rosati, Mito e potere nell'epica di Ovidiio, <<MD>>, 46 (2001), pp. 39-

La vista che si offre a Minerva all'apertura della porta, è raccapricciante: l'Invidia resa personaggio. Sul ruolo delle personificazioni ovidiane si sono soffermati alcuni degli studi più importanti dedicati alle Metamorfosi (e non solo). Solodow, ad esempio, ha definito le personificazioni presenti nelle Metamorfosi come esempi paradigmatici della spiccata tendenza ovidiana verso la chiarezza.

In questo senso, esse sono accostabili, secondo lo studioso, al processo metamorfico stesso, il quale si configurava, sempre secondo Solodow, come un processo di astrazione: Metamorphosis.. is (..) a change which preserves, an

alteration which maintains identity, a change of form by which content becomes represented in form; essa, infatti, introduce clarity of perception. It distills and makes manifest human experience, It expresses no judgement. It removes the obscurity created by an inner life or by the possibility of change. It externalizes something about character, history, or a relation. It regularly makes essence visible, plain, clear735.

Feeney, dopo aver sottolineato il ruolo delle personificazioni sin dalle origini della letteratura greca (Omero ed Esiodo), ha poi rilevato come, a differenza degli esperimenti omerici ed esiodei originari, in cui le personificazioni are (crucially)

not characterful agents who engage with human beings, occupyng the same narrative space as the human characters, and interacting with them in the same way as do the gods themselves736, Ovidio e Stazio aprano alle personificazioni allegoriche medievali e rinascimentali, nella presentazione di stati d'animo, passioni, emozioni, entità astratte come veri e propri personaggi che agiscono sulla scena come figure dotate di propri realtà e concretezza.

L'Invidia, in particolare, rappresenta, tra le personificazioni, the most complex case.

Ovid's use of personification is at its richest here, for he presents us with a scene in which characters act in the same realm of narrative as an entity who embodies the timeless characteristics of their particular moral failing737.

Tissol ha analizzato le personificazioni ovidiane in relazione al concetto, desunto dalla terminologia della critica letteraria antica, di manifestazioni, visualizzazioni.

735 J.Solodow, op.cit., p. 197. 736 D.C Feeney, op.cit., p.241. 737 D.C Feeney, op.cit., p. 243.

Il termine, tradotto in latino visiones da Quintiliano738, designava the process by

which the poet makes something appear before the eyes of the audience, in vivid imaginative actualization. 739

Le personificazioni ovidiane vennero definite phantasiai, già nel 1493, da Regio, il quale, a proposito dell'Invidia, sottolineò che Eleganti Phantasia Invidiae et corpus

et figuram humanam et actiones attribuit. Ea vero omnia describit quae invidis inesse solent740. La tecnica di personificazione operata da Ovidio fa sì che Invidia

rappresenti contemporaneamente il sentimento dell'invidia (come personificazione), e l'immagine dell'invidioso (in quanto personaggio che concretizza le caratteristiche dell'invidia). In quanto personificazione è un personaggio, ma è un personaggio che soffre l'essere se stesso, soffre l'essere incarnazione e rappresentazione della sua essenza. Riprendendo una bella espressione citata da Lowe741, possiamo definirla un personaggio “medio-passivo”, poiché sperimenta, ella stessa per prima, le sofferenze ed i patimenti che infligge agli altri.

L'Invidia, perciò, viene raffigurata intenta a mangiare carni di vipera (edentem/

vipereas carnes)742, è pallida e macilenta in tutto il corpo (Pallor in ore sedet, macies

in corpore toto)743, ha i denti lividi e guasti (livent rubigine dentes)744, il petto verde di fiele e sulla lingua una patina di veleno (pectora felle virent,/lingua est suffusa

veleno)745. Ma è soprattutto dalla vista che derivano le sue sofferenze: Se Minerva distoglie lo sguardo perché non riesce a sopportare la visione dell'Invidia, l'Invidia soffre proprio perché vede il fulgore di Minerva e delle sue armi. L'accostamento dell'incoativo intabescit con il gerundio di video enfatizza la relazione ed il rapporto reciproco tra processo consuntivo e sfera visiva (sed videt ingratos

intabescitque videndo)746. L'Invidia non è però, solamente, un personaggio grottesco, ma anche una figura paradossale (esattamente come il vizio che

738 Quint. 6.2.29.

739 D.C. Feeney, op.cit., p. 51. 740 Regio 1493, d.iii.r., Met. 2.770.

741 D.M. Lowe, Personification Allegory in the Aeneid and Ovid's Metamorphoses, <<Mnemosyne>>, 61 (2008), p. 423. 742 Ov. Met. 2. 768-769. 743 Ov. Met. 2. 775. 744 Ov. Met. 2. 776. 745 Ov. Met. 2. 777. 746 Ov. Met. 2. 780.

rappresenta). Soffre nel vedere il benessere altrui, e gode delle sofferenze (Risus

abest, nisi quem visi movere dolores)747. Il suo riso non è suscitato dalla gioia, ma dal dolore (vixque tenet lacrimas, quia nihil lacrimabile cernit)748.