Capitolo 3 Aglauro e l'Invidia nel secondo libro delle Metamorfosi
3.9 L'invidia, Minerva, Aglauro
3.9.1 La dimora dell'Invidia
Viene presentata, a questo punto della narrazione, una delle quattro personificazioni del poema, assieme a quella della Fame656, del Sonno657 e della Fama658. L'importanza delle personificazioni ovidiane è stata sottolineata, nell'ambito degli studi sulle Metamorfosi, soprattutto dai lavori di Solodow659 e Hardie660.
Per quest'ultimo, in particolare, la personificazione is the defining feature of
Ovidian Metamorphoses, as making visible, plain and clear of essences. A proposito
dell'Invidia, lo stesso Solodow specifica: Ovid builds up his portraits almost solely
through descriptions of appearance, that is to say, of surfaces. To understand Envy we need only to look at her. She simply is what she seems to be661.
L'allegoria di Invidia comincia, prima ancora che dalla presentazione del personaggio, dalla descrizione della sua dimora: dimora che, come nel caso delle altre personificazioni ovidiane delle Metamorfosi, rientra perfettamente all'interno
656 Ov. Met. 8. 784-820. 657 Ov. Met. 11. 583-649. 658 Ov. Met. 12. 39-65.
659 J.B.Solodow, The World of Ovid's Metamorphoses, Chapel Hill-Londra 1988, pp. 196-202. 660 P. Hardie, Ovid's poetic of illusion, Cambridge 2002, pp. 228-238.
del contesto allegorico generale. Il primo tratto, la prima caratteristica che contraddistingue la casa dell'Invidia è determinata dal nero marciume che la riveste: Protinus Invidiae nigro squalentia tabo/tecta petit662.
Nel primo verso dedicato all'ekfrasis della dimora di Invidia troviamo subito la parola tabum, termine chiave non solo della sezione narrativa di nostro interesse, ma, più in generale, della sintomatologia della sofferenza invidiosa: al verso 780, infatti, troviamo l'incoativo tabesco, riferito all'Invidia che si strugge alla vista dei successi altrui663, ed al verso 784 il sostantivo tabes declinato nella forma dell'ablativo (tabe)664.
La parola tabes665, così come tabum, deriva da una radice indoeuropea *tā che trova
riscontro anche in greco con il verbo τάκω, τήκω, sciolgo, liquefo.
Il sostantivo tabes designa sia il processo del liquefarsi (per decomposizione della sostanza organica, per la putrefazione), sia il prodotto che ne deriva (la sostanza organica emessa dalle ferite e dai corpi in decomposizione; ma anche la secrezione velenosa, la sudorazione). Il termine può indicare anche la malattia, l'infezione, il languore. Più complesso, invece, da un punto di vista grammaticale, il sostantivo
tabum, per alcuni grammatici antichi parola monoptota, testimoniata dal solo
ablativo tabo, che troviamo appunto in Ovidio.
Particolarmente significative, per la comprensione della semantica del sostantivo, sono le attestazioni di tabum nell'Eneide, opera in cui il termine appare in un buon numero di testimonianze: nel terzo libro, ad esempio, tabum è il sangue di Polidoro che cola dal mirto spezzato di Enea666; tabum è anche il sangue che cola dalle membra dei compagni di Ulisse squartati dal Ciclope667; è il sangue che cola dalle teste mozzate di Caco668; ma, soprattutto, tabum ricorda l'immagine raccapricciante delle teste tagliate di Eurialo e Niso, mostrate ai Troiani.669 In tutti questi esempi, il termine designa il sangue, ma più in generale i liquidi organici del corpo non più in vita, per lo più di individui uccisi in modo violento e crudele.
662 Ov. Met. 2. 260-261.
663 Sed videt ingratos intabescitque videndo. 664 <<Infice tabe tua natarum Cecropis unam>>. 665 Cfr. F. Stock, EV. 5, s.v. Tabes.
666 Verg. Aen. 3.2 28-29 huic atro liquuntur sanguine guttae/ et terram tabo maculant 667 Verg. Aen. 3. 626-627 vidi atro cum membra fluentia tabo/ manderet.
668 Verg. Aen. 8. 197 ora virum tristi pendebant pallida tabo.
669 Verg. Aen. 9. 471-472 simul ora virum praefixa movebant/ nota nimis miseris atroque fluentia
Il termine rimanda, dunque, ad un'idea di scioglimento e di consunzione, tant'è vero che tabum verrà utilizzato, sempre da Virgilio, nelle Georgiche, in riferimento alla peste del Norico670, mentre l'aggettivo omoradicale tabidus verrà ripreso, in associazione a lues, per indicare la peste che colpisce i Troiani al loro arrivo a Creta, nel terzo libro dell'Eneide671. L'idea della consunzione legata all'invidia è ben
presente e delineata prima ancora che il processo consuntivo possa effettivamente essere descritto da Ovidio, sia in occasione della presentazione dell'allegoria di Invidia, sia nella descrizione delle sofferenze di Aglauro.
A rendere ancora più icastica questa immagine, Ovidio associa a tabum l'aggettivo
nigro. L'importanza delle indicazioni cromatiche all'interno del poema epico
ovidiano è stata recentemente analizzata da Paul Barolsky.672
Come sottolineato dallo studioso, le Metamorfosi mostrano, al proprio interno, una gamma di sfumature cromatiche molto ampia e ricca: Ovidio rileva, ad esempio, diverse tonalità di rosso: rutilus e rubeus; il rosso sangue sanguineus; il rosso acceso ed intenso puniceus; il rosso scuro (purpureo) purpura, ostrum fino ad arrivare a murex, usato per indicare il colore rosso scuro del sangue.
Diverse anche le gamme del bianco (niveus, candidus, marmoreus) e del giallo (flavus, fulvus, croceus). Il poeta, inoltre, gioca spesso sull'accostamento tra più colori, in particolare tra il bianco ed il rosso, come nella descrizione del rosa suffuso sul candore di neve di Narciso.673 Nella presentazione di Invidia le indicazioni cromatiche contribuiscono a creare un'atmosfera di oscurità che contrasta, in maniera chiara, con i toni brillanti e luminosi di un altro luogo “allegorico”, presentato all'inizio del secondo libro: la dimora del Sole.
La reggia del sole, descritta in occasione dell'arrivo di Fetonte, era infatti tutta scintillante d'oro e di rame dai bagliori di fiamma (clara micante auro flammasque
imitante pyropo)674; lucido avorio rivestiva il frontone, la porta a due battenti mandava sprazzi d'argento (cuius ebur nitidum fastigia summa tegebat)675. All'interno di essa il sole sedeva, avvolto in un manto purpureo, su un trono
670 Verg. Ge. 3. 557 in stabulis turpi dilapsa cadavera tabo.
671 Verg. Aen. 3. 157.tabida membris lues. L'invidia verrà, in seguito, definita pestilens da Seneca in
Phaedr. 489.
672 P. Barolsky Ovid's colors, <<Arion>>, 10.3 (2003), pp. 51-56. 673 Cfr. Ov. Met. 3.423 in niveo mixtum candore ruborem. 674 Ov. Met. 2.2.
scintillante di fulgidi smeraldi (purpurea velatus veste sedebat/ in solio Phoebus
claris lucente smaragdis)676. Anche il carro del dio mandava sfavillanti bagliori, con il suo asse, le sue stanghe, i cerchi delle sue ruote tutti forgiati in oro (Aureus axis
erat, temo aureus, aurea summae/ curvatura rotae, radiorum argenteus ordo;)677. I colori associati all'invidia sono, al contrario, il nero, nelle due sfumature di atreus e piceus, ed il colore, di non immediata identificazione, indicato nel testo con
ferrugineus. Per quel che riguarda il nero, esso è il colore tradizionalmente
associato all'invidia nelle fonti latine678, mentre la connessione pare praticamente assente nelle fonti greche. Per quel che riguarda l'aggettivo ferrugineus interessanti le analisi di Edgeworth679, il quale ha osservato, nelle fonti, sfumature semantiche dell'aggettivo che sembrerebbero avvicinarlo, in alcuni casi, al colore blu680, in altri al viola681, al nero682, al verde683; in altre occorrenze il termine indica una generica condizione di oscurità684. Ferrugineus è, propriamente, aggettivo derivante da ferrugo, termine che designa la ruggine del ferro, esattamente come
aerugo indica la ruggine del bronzo (aes). In quanto tale il colore designato è quello
rosso scuro. Le immagini dell'Invidia come ruggine che logora e consuma è ben documentata sia come aerugo685 che come ferrugo686 e rubigo687.
L'indicazione successiva relativa alla casa d'Invidia è quella della presenza di un freddo e buio generale: domus est imis in vallibus huius/ abdita, sole carens, non ulli
676 Ov. Met. 2. 23-24. 677 Ov. Met. 2. 107-108.
678 Cfr, Hor. Epod. 6.15 an si quis atro dente me petiverit; Sen. Phaedr. 492-493 haud illum niger/
edaxque livor dente degeneri petit; Stat. Silv. 1.3.102-103 sive / liventem satiram nigra rubigine turbes; 4.18.16-17 procul atra recedat/ Invidia atque alio liventia pectora flectat; Sil.Ital. 8.290-
291 nigro allatraverat ore/ victorem Invidia; 11. 547-548 atra veneno/ invidia nigroque
undantia pectora felle.
679 R.J.Edgeworth, What color is “ferrugineus”?, <<Glotta>>, 56 (1978), 297-305. 680 Verg. Aen. 6. 303 con 6.410; Non. 549.2; Serv. Ad Aen., 9. 582.
681 Cfr., e.g., Verg. Ge. 1. 467; 4.183;
682 Cfr. e.g., Tib. 1.4.43; Ov. Met. 15. 789-790. 683 Ov. Met. 13. 960.
684 Cfr. e.g., Cat. 64. 227; Verg. Ge. 1.467; Ov. Met. 5. 404.
685 Cfr. Hor. Sat. 1.4. 100-101 hic nigrae sucus lolliginis, haec est/ aerugo mera; Mart. 2.61.5-6
uteris ore aliter nimiaque aerugine captus/ adlatras nomen quod tibi cumque datur; 10.33.5-6 ut tu, si viridi tinctos aerugine versus/ forte malus livor dixe.rit esse meos.
686 Cfr. Laus Pisonis 107 animusque mala ferrugine purus; Auson. 417.62-63 livor ubi est tuus
ferrugineumque venenum/ opportuna tuis inimicant pectora fulcis
687 Cfr., e.g., Stat. Silv. 1.3.102-103 sive 7liventem satiram nigra rubigine turbes; Mart. 5.28.7
pervia vento,/ tristis et ignavi plenissima frigoris, et quae/ igne vacet semper, caligine semper abundet688.
Secondo Dickie689, la collocazione della dimora in un luogo nascosto in fondo a una valle risponde ad una duplice motivazione allegorica: la prima idea che si cela dietro all'allegoria è data dalla constatazione che spesso gli invidiosi sono persone collocate in una posizione sociale bassa, di umile origine; l'altra, invece, nasce dalla natura segreta ed occulta del sentimento.
Già nel mondo antico era comune l'opinione che, ad essere vittime di invidia, fossero soprattutto i ricchi ed i potenti: usuale era, infatti, l'accostamento della loro condizione con quella delle sommità (summa) e delle vette delle montagne690. Condizione, questa, topicamente esposta al pericolo dell'invidia.
Gli invidiosi, al contrario, venivano spesso presentati, nelle fonti letterarie, sdraiati per terra o nascosti nelle tenebre. L'Invidia ovidiana, non a caso, viene colta dal poeta nell'atto del suo alzarsi da terra (surgit humo) quando Minerva batte alla porta dell'abitazione691. Lucrezio, nel De rerum natura, descrive la sofferenza degli invidiosi nel vedere l'invidiato rimirato nel suo incedere tra splendidi onori, mentre essi sono costretti a voltarsi nel fango e nel buio: macerat invidia ante
oculos illum esse potentem,/ illum aspectari, claro qui invadit honore,/ qui se in tenebris volvi caenoque queruntur692. Ovidio compara il livore ad un serpente
nascosto che striscia in profondità nella terra: livor, iners vitium, mores non exit in
altos/ atque latens ima vipera serpit humo693. Lo stesso Ovidio, nei Remedia amoris,
ricorre all'immagine dell'invidia che raggiunge chi è posto in alto accostandola a quelle dei venti che soffiano con massimo vigore alle grandi altitudini e a quella dei fulmini di Giove che si dirigono alle vette: summa petit livor; perflant altissima
venti, / summa petunt dextra fulmina missa Iovis694.
688 Ov. Met. 2. 761-764.
689 M.Dickie, Ovid, Metamorphoses 2. 760-764., <<American journal of philology>>, 96 (1975), pp. 378-390.
690 Cfr. Lucr. 5. 112-113 e summo, quasi fulmen, deicit ictos/ invidia; 1131 invidia quoniam, ceu
fulmine, summa vaporant; Liv. 8.31.7 etenim invidiam tamquam ignem summa petere: in caput consilii, in ducem incurrere: 45.35.5 intacta invidia media sunt: ad summa ferme tendit; Vell.Pat.
1.9.6 quam sit adsiduus eminentis fortunae comes invidia altissimisque adhaereat. 691 Ov. Met. 2. 771.
692 Lucr. 3. 75-77. 693 Ov. Pont. 3.3. 101. 694 Ov. Rem. 369-370.
La constatazione dei pericoli cui era sottoposta ogni forma di eccellenza poteva servire anche come monito per privilegiare atteggiamenti, comportamenti, stili di vita moderati: Orazio, ad esempio, contrappone l'aurea mediocritas (immune da invidia) della quale si faceva promotore, ai pini scossi dai venti ed alle alte torri abbattute: auream quisquis mediocritatem/ diligit, tutus caret obsoleti/ sordibus
tecti, caret invidenda/ sobrius aula./ saepius ventis agitatur ingens/ pinus et celsae graviore casu/ decidunt turres feriuntque summos/ fulgura montis695.
L'invidia, inoltre, oltre ad essere sperimentata principalmente da chi si trova in basso ed in sorta di oscurità sociale, è essa stessa, costituzionalmente, un vizio nascosto: l'uomo invidioso, infatti, non dà chiara manifestazione del suo sentimento e di ciò che prova. Contrariamente, ad esempio, all'ira, l'invidia, già nel mondo antico, era delineata, nella descrizione delle sue manifestazioni esteriori, da tratti più lievi e sfumati. Le azioni tipiche,ad esempio, in cui venivano presentati gli invidiosi nell'immaginario greco-romano erano quelle del mormorio, del brontolio, delle critiche segrete ed occulte.
Le parole segrete degli invidiosi erano, ad esempio, un topos frequente negli epinici pindarici696. Altre attestazioni significative su questo aspetto si trovano in Erodoto697 ed in Callimaco, il quale, icasticamente, descrive l'invidia nel suo denigrare ad Apollo, non a caso parlandogli negli orecchie, proprio la poesia dello stesso Callimaco698. Nell'ambito della letteratura latina, Terenzio699, Cicerone700, Orazio701 hanno sottolineato il carattere nascosto dell'invidia, dei suoi attacchi, delle sue insinuazioni. Sidonio Apollinare, in una delle sue Epistole, nel descrivere le azioni del coro degli invidiosi, che mai esprimono apertamente i propri pensieri, utilizza il participio presente del verbo mussito, a sua volta frequentativo di musso, verbo avente il significato di bisbigliare, sussurrare, mormorare: mussitans
695 Hor. Carm. 2.10.5-12.
696 Ol. 1.47 sgg.; Pyth. 1.81 sgg., 2.74 sgg., 11.28 sgg.; Nem. 4.37 sgg., 7.61 sgg. 697 Her. 7. 237.2.
698 Hym. 2.105.
699 Ter. Eun. 410-411. invidere omnes mihi/moredere clanculum.
700 Cic. Att. 1.13.4 tuus ille amicus.. nos, ut ostendit, admodum diligit, amplectitur, amat, aperte
laudat, occulte, sed ita ut perspicuum sit, invidet.
701 Hor. Ep.1.14.37-38 non istic obliquo oculo mea commoda quisquam/ limat, non odio obscuro
quamquam chorus invidiorum /prodat hirritu rabiem canino,/ nil palam sane loquitur pavetque/ publica puncta702.
La stessa testimonianza di Sidonio, inoltre, mostra un'altra delle immagini alle quali, nel mondo antico, venivano tradizionalmente accostate le parole e le azioni degli invidiosi: quella del latrato canino (hirritu canino). Mentre, infatti, ai nostri giorni, l'accostamento tra invidia e razza canina non pare essere particolarmente sviluppato, il mondo latino, più ancora di quello greco, scorgeva nel cane un insieme di elementi che permettevano, di fatto, proprio un avvicinamento agli
invidi. Erano, in particolare, propri gli elementi, per così dire, fonatori, latrati e
ringhi dunque, a creare l'anello di congiunzione principale.
Una delle testimonianze migliori, per questa immagine, è fornita dall'Epodo 6 di Orazio, con la presentazione dell'ignavus canis che, come mostrato da Dickie, varrebbe come immagine simbolica della figura dell'invidioso703.
Silio Italico presenta un invidioso che adlatraverat: nigro allatraverat ore/
victorem invidiae et ventis iactarat iniquis704. Seneca compara gli attacchi degli
invidi contro i grandi uomini ai latrati che i cani, minuti, rivolgono agli sconosciuti: et ad nomen magnorum ob aliquam eximiam laudem virorum, sicut ad occursum ignotorum hominum minuti canes, latratis705. Ammiano Marcellino presenterà, nelle
sue storie, la figura dell'invidia intenta a circumlatrare706 nel seguito di Augusto. Ritornando al testo di Ovidio, il verso 763 introduce un altro elemento fondamentale della sfera dell'invidia. Dopo aver definito la casa con l'aggettivo, generico, tristis707, Ovidio parla di un ignavi frigoris di cui sarebbe plenissima la
domus. Questo freddo simboleggia, come ben mostrato da Dickie708, l'inattività assoluta che contraddistingue gli invidiosi. La fonte greca che mostra la prima esplicita associazione tra invidia ed inerzia è costituita dal De Capienda ex Inimicis
Utilitate di Plutarco. L'idea era però implicita nelle divisioni tra zelo ed invidia di
Esioso, Isocrate, Aristotele; abbiamo già visto, infatti, come, per i Greci, l'invidia
702 Sid. Ep. 9.16.9-12.
703 Hor. Epod. 6. 1-2. Cfr.. M. Dickie, The disavowal of Invidia.., op.cit, pp. 195-203. 704 Sil. 8-290-291.
705 Sen. Dial. 7.19.2.
706 Amm. 16.6.1. in comitatu vero Augusti circumlatrabat Ambitionem invidia.
707 Per la connessione tristia-invidia Cfr., e.g., Plaut. Capt. 583 est miserorum ut malevolentes sint
atque invideant bonis,; Truc. 743; Ter. Eun. 412 illi invidere misere; Verg. Ge. 3.37 Invidia infelix;
Sen. Oct. 485 invidia tristis; Stat. Silv. 2.6.69 Invidia infelix. 708 M. Dickie, Ovid Metamorphoses.., op.cit., pp. 384-390.
nascesse dall'impossibilità dell'emulazione, dal non poter realizzare una qualche forma di zelo. Per i Romani valeva lo stesso concetto: gli invidiosi erano dominati da una inertia sostanziale che impediva loro qualsiasi tentativo di un confronto con il rivale.
La descrizione più dettagliata del rapporto inertia-invidia è quella fornita da Seneca: inde ille adfectus otium suum detestantium querentiumque nihil ipsos
habere, quod agant, et alienis incrementis inimicissima invidia: alit enim livorem infelix inertia et omnes destrui cupiunt quia se non potuere provehere: ex hac deinde aversatione alienorum procesuum, et suorum desperatione obirascens fortunae animus et de saeculo querens et in angulos se retrahens et poenae incubans suae, dum illum taedet sui pigetque709.
La fonte letteraria che per prima testimonia, anche per il mondo latino, la connessione tra ignavi ed invidi è pero quella delle Bacchides di Plauto, introdotta durante la descrizione dei falsi amici: multi more isto atque exemplo vivont, quos
quom censeas/ esse amicos, reperiuntur fasi falsimoniis,/ lingua factiosi, inertes opera, sublesta fide./ nullus est quoi non invideant rem secundam optingere:/ sibi ne invideatur, ipsi ignavi recte cavent710.
Cicerone, nell'Ad Quirites post reditum descrive quattro classi principali di individui che lo hanno danneggiato: tra queste, egli presenta anche quella di tutti coloro che non potendo ottenere e raggiungere, a causa della loro ignavia, i suoi stessi successi, hanno finito con l'invidiare la sua fortuna: tertium, qui cum propter
inertiam suam eadem adsequi non possent, inviderunt laudi et dignitati meae711.
Tacito, negli Annales, descrisse il filosofo Seneca intento e concentrato sui suoi
inertia studia ed invidioso di coloro che esercitavano la loro eloquenza per la difesa
dei cittadini (simul studiis inertibus et iuvenum imperitiae suetum livere iis qui
vividam et incorruptam eloquentiam tuendis civibus exercerent712).
Sulpicio Severo, rivolgendosi a coloro che avevano negato che l'amico e maestro di Sulpicio, Martino di Tours, possedesse tutte le virtù e qualità che lo stesso Sulpicio
709 Sen. Dial. 9.2.10-11. 710 Pl. Bacch. 540-544.
711 Cic. Red. Pop. 21; Cfr. Cic. Fam. 12.5.3 Ser. Sulpicii morte magnum praesidium amisimus; reliqui
partim inertes, partim improbi; non nulli invident eorum laudi quos in re publica probari vident; Att. 4.3.5 numquam enim cuiusquam invidi et perfidi consilio est us(ur)us nec inerti nobili crediturus.
aveva lui attribuito, li definisce come infelices che preferiscono negare e rifiutare agli altri tutto ciò che essi non sono riusciti ad ottenere: sed infelices, degenere,
somnolenti, quae ipsi facere non possunt, facta ab illo erubescunt: et malunt illius negare virtutes quam suam inertiam confiteri713.
Uno dei campi privilegiati per la connessione tra invidia ed inerzia nel mondo romano era quello bellico-militare. Nel ventiduesimo libro dell'Ab Urbe condita di Tito Livio, Manlio Torquato, volendo convincere il senato a non riscattare i prigionieri romani catturati dai cartaginesi dopo Canne, introduce, tra le motivazioni per la sua decisione, il fatto che i prigionieri, una volta riscattati, avrebbero provato invidia per coloro che erano riusciti a scappare, visto che questi si erano salvati grazie al coraggio ed al valore di cui avevano dato mostra, mentre loro erano finiti schiavi a causa della loro ignavia (aut non invidere eos cum
incolumitati, tum gloriae illorum per virtutem partae, cum sibi timorem ignaviamque servitutis ignominiosae causam esse sciant714). Lo stesso Livio parla
dell'invidia e della segnitia di chi rimane a casa nei confronti di chi parte a combattere (segnitiam, invidiam, et obrectationem domi manentium adversus
militantes715). Plinio, elogiando le imprese militari di Traiano sotto Domiziano,
descrive l'imperatore come iners ed invidioso delle virtù altrui (iners ipse
alienisque virtutibus tunc quoque invidus imperator716).
Un ultimo esempio, anch'esso ripreso da Dickie, è tratto dall'Eneide, a proposito di Drance, invidioso di Turno: Tum Drances idem infensus, quem gloria Turni/ obliqua
invidia stimulisque agitabat amaris/ largus opum et lingua melior, sed frigida bello/ dextera717. In questo caso, l'idea dell'inerzia è resa, proprio come nel passo
ovidiano, dall'aggettivo frigida. L'aggettivo frigidus, infatti, assieme al sostantivo
frigus, veniva comunemente utilizzato, come il verbo omoradicale frigeo ed il suo
incoativo frigesco, per indicare, come testimoniato dal Thesaurus718, l'inattività.
713 Sulp.Sev. Dial. 1.26. 714 Liv. 22.60.21. 715 Liv. 34.34.7. 716 Plin. Iun. Pan.14.5. 717 Verg. Aen. 11.336-339.