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Dopo il trentennio glorioso (1945-1975), che ha visto la spesa sociale crescere in modo molto sostenuto con flussi redistributivi volti ad erogare prestazioni alle varie categorie di beneficiari ed i diritti di cittadinanza raggiungere la loro piena maturità, la messa in discussione degli assetti consolidati del welfare avviene a partire dalla metà degli anni settanta. I cambiamenti in atto nelle società moderne hanno avuto un impatto significativo sulle forme e sul senso del welfare perché sono cambiate le premesse socioeconomiche su cui questi modelli sono stati edificati. Mutamenti demografici e sociali importanti, minore disponibilità di risorse pubbliche per sostenere la spesa di welfare ed aumento e complessificazione dei bisogni sociali (Franzoni e Anconelli 2006) hanno prodotto effetti significativi nei corsi di vita delle persone e, di conseguenza, hanno prodotto l’avanzamento di richieste di nuove policies (Naldini 2006),

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provocando tensioni sul sistema di welfare, sia dal punto di vista finanziario che organizzativo, e rendendo sempre meno sostenibili tanto il modello universalistico quanto il modello occupazionale (Ferrera 2006).

In generale, vengono meno la piena occupazione (maschile), la figura del lavoratore “maschio-adulto” stabilmente occupato per l’intero arco della vita e la famiglia stabile basata su una rigida divisione sessuale del lavoro (Naldini 2006).

I cambiamenti intervenuti nel mercato del lavoro hanno visto come impattanti i processi di globalizzazione, innovazione tecnologica e terziarizzazione che hanno comportato una profonda ristrutturazione dei modi di produzione, che si è a sua volta tradotta in un aumento della disoccupazione e della precarietà del lavoro che riguarda tutti gli aspetti del modello fordista di regolazione del lavoro: il contratto di lavoro subordinato, la relativa stabilità del rapporto di lavoro, l’orario settimanale standard a tempo pieno, l’ubicazione fissa del luogo di lavoro, la copertura previdenziale contro i maggiori rischi della vita (Paci 2005). Da questo punto di vista, le sollecitazioni nei confronti del welfare hanno riguardato nuove domande non solo rispetto a misure di sostegno del reddito, ma anche a richieste di politiche attive per l’occupazione.

La causa più dirompente di mutamento nell’intensità e nel tipo di bisogni sociali è quella di un’accelerazione del processo d’invecchiamento demografico, causato sia dall’allungamento della speranza di vita sia dalla riduzione del tasso di natalità, che rappresenta un processo assai celere destinato a produrre un divario sempre più accentuato tra popolazione anziana e popolazione in età lavorativa. L’innalzamento della speranza di vita, se da un lato segna il miglioramento complessivo delle condizioni di vita rispetto al passato, dall’altro diventa problematico riguardo ai rischi di non autosufficienza che si producono e che pongono questioni impellenti sui nuovi bisogni di cura per gli anziani e sulle possibili alternative. Tali questioni, come già segnalava Ferrera (1998), richiedono ai sistemi di protezione sociale di far fronte a maggiori domande di prestazioni in campo pensionistico e socio-sanitario, con erogazioni e servizi più costosi perché maggiormente rispondenti ai nuovi bisogni. Ma il bisogno di cura degli anziani diventa rilevante anche in considerazione della crescente diminuzione del numero dei caregiver, costituiti da sempre da donne: i consistenti mutamenti intervenuti

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all’interno della famiglia, particolarmente riferiti all’ingresso e alla permanenza nel mercato del lavoro delle donne, hanno fatto sì che tale figura non coincidesse più con quella femminile: sempre meno sono, infatti, le donne che sono disponibili a dedicare il proprio tempo al lavoro di cura non retribuito (Naldini, Saraceno 2001). L’aumento della presenza delle donne nel mercato del lavoro, attribuibile sia all’importanza del doppio guadagno ai fini del mantenimento di un reddito famigliare soddisfacente sia all’aumento delle richieste da parte delle donne di una maggiore uguaglianza nell’accesso alla formazione e ad un impiego indipendente, produce nei confronti del welfare una crescente domanda di nuovi servizi capaci di conciliare lavoro e cura, vita professionale e vita famigliare, soprattutto nei paesi conservatori e mediterranei (Taylor-Gooby 2004).

I cambiamenti che si son prodotti nelle strutture demografiche (invecchiamento della popolazione e declino della fertilità) si accompagnano a trasformazioni nella struttura famigliare: le reti famigliari stanno mutando, ridisegnando i confini della famiglia ed indebolendo la centralità del nucleo standard come forma dominate della vita famigliare; la maggiore incidenza di forme diverse di convivenza (famiglie di fatto, nuclei monogenitore, famiglie ricostruite e nuclei formati da un solo componente spesso anziano) crea nuove configurazioni di rapporti famigliari che, essendo più fragili e mobili rispetto al passato, cessano d’esser il pilastro che furono per il modello fordista di welfare (Mingione 2001). Sebbene la famiglia sia ancora un’istituzione di protezione sociale dedita ai bisogni e alla cura dei suoi membri, essa assume un ruolo molto più leggero nelle responsabilità di cura tanto da essere all’origine di una forte domanda di servizi che rimane spesso inevasa a causa delle carenze degli istituti di protezione concepiti e realizzati per far fronte alle esigenze della famiglia tradizionale.

Come rileva Paci (2005), di fronte a questi cambiamenti, i welfare non sono più in grado di rispondere alla nuova natura dei rischi sociali perché rispetto al passato gli individui esprimono bisogni sempre più complessi, articolati ed individualizzati, che perdono la loro aurea di aleatorietà, colpiscono inevitabilmente e si protraggono a lungo nel tempo. Peraltro, i nuovi rischi che le persone devono fronteggiare lungo l’arco della loro vita, come risultato dei cambiamenti economici e sociali asssociati alla transizione verso la società

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postindustriale (Taylor-Gooby 2004), espongono sempre di più i soggetti ad una vulnerabilità sociale (Ranci 2002) connessa a particolari momenti del ciclo di vita, nei quali può verificarsi anche il cumularsi di più svantaggi. La crisi del welfare è, quindi, particolarmente visibile nel fatto che la richiesta di servizi adeguati ai nuovi bisogni rimane molto spesso inevasa a causa delle carenze degli istituti di protezione concepiti e realizzati in funzione di un assetto sociale oramai superato; come rileva Ferrera (1998), i welfare europei sembrano soffrire di una sindrome di inadeguatezza dovuta alla non coincidenza tra gli schemi ed i programmi di protezione tradizionali ed i bisogni emergenti in un contesto sociale ed economico profondamente diverso rispetto al passato: la protezione sociale tradizionale è diventata incongrua rispetto alle necessità prodotte dalle trasformazioni avvenute nella società, nella famiglia e nel mercato del lavoro, continuando a convogliare risorse verso la tutela di rischi che non generano più bisogni, e lasciando senza alcuna protezione individui e famiglie in condizioni di bisogno non più associate alle tradizionali fattispecie di rischio. L’inadeguatezza delle risposte alle nuove domande tende inevitabilmente a generare malessere, e in particolare, insicurezza per gli individui non direttamente impegnati sul mercato del lavoro nonché la diffusione di fenomeni di isolamento e di emarginazione, individuale e famigliare, dall’intero tessuto sociale (Saraceno 2006).