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Implicazioni Organizzative della Legge 328/2000 Programmazione, Partnership e Partecipazione

2. La programmazione nella legge di riforma

La programmazione partecipata rappresenta la vera svolta all’interno degli attuali processi di ri-pensamento dei sistemi di welfare locali. La concertazione è adottata in modo esplicito dalla legge 328 allo scopo di rispondere ai principi di sussidiarietà e cooperazione a vari livelli, su cui si deve reggere l’organizzazione del nuovo welfare. Questa legge sottolinea la necessità di costruire insieme il Piano di Zona ed il consenso al piano affinché le scelte effettuate non incontrino resistenze ed opposizioni. La partecipazione, la concertazione, la collaborazione, o comunque lo sviluppo di relazioni fra più soggetti che si presentano come attori della scena del sociale, sono considerate indirizzi fondamentali per la costruzione dei piani in ragione della complessità del campo del sociale: la molteplicità e la rilevanza delle dimensioni che concorrono a definirlo, la molteplicità e la varietà dei soggetti che lo abitano ed i continui cambiamenti che lo attraversano, pongono notevoli difficoltà, ma rappresentano anche potenzialità da valorizzare. Sono le caratteristiche attuali del campo sociale a richiedere azioni programmatorie e progettuali capaci di sfidare l’incertezza e la complessità del tempo presente.

In questo scenario, si afferma la necessità dello stile partecipato della programmazione: l’argomento principale che porta, oggi, ad adottare uno stile connotato dal coinvolgimento di un ampio spettro di soggetti nel processo di conoscenza e di decisione, consiste nella sua maggiore efficacia, sia in termini di qualità della progettazione che migliore adeguatezza al sistema complessivo dei bisogni rispetto al tradizionale atteggiamento top down (De Ambrogio 2007).

La legge 328 affida ad Enti locali, Regioni, Stato e Terzo Settore il compito di programmare ed organizzare il sistema integrato di interventi e servizi sociali: allo scopo, il Piano nazionale 2001-2003 introduce il metodo della programmazione partecipata, che per il Terzo settore in particolare significa sia essere impegnato nell’erogazione e nella gestione dei servizi sia partecipare in modo attivo alla programmazione dei Piani di Zona, secondo i principi di concertazione e cooperazione. La pluralità di questi soggetti attribuisce alla programmazione delle caratteristiche ben precise: partecipata, perché riconosce le diverse competenze ai diversi attori delle dinamiche comunitarie; fondata sul bisogno, perché capace di rilevare le domande e rendere flessibile l’organizzazione; dinamica, in funzione

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della sua capacità di individuare il punto di equilibrio tra domanda ed offerta, tenendo conto delle risorse disponibili, dell’appropriatezza delle risposte, delle innovazioni organizzative possibili e della collaborazione e compartecipazione ai costi; integrata, cioè coordinata con gli interventi sanitari e dell’istruzione, con le politiche di formazione e di avviamento al lavoro (Dradi 2002).

Le implicazioni più dirette, dovute all’introduzione della programmazione, sono almeno due: a) aumenta il numero dei soggetti che hanno titolo a partecipare al tavolo della programmazione - l’intervento pubblico si intreccia, quindi, con l’operatività dei differenti gruppi che intervengono sui bisogni e sulla domanda sociale di una determinata comunità locale; e sotto questo profilo, l’Accordo di programma diventa il momento di sintesi giuridica delle scelte condivise e le rende operanti sul territorio (De Ambrogio e Lo Schiavo 2000); b) la centralità che il piano assume costituisce una sfida per le amministrazioni locali pubbliche chiamate a programmare e progettare in un’ottica incrementale, strategica e flessibile di fronte alla complessità - ai comuni è richiesta non solo una rilevante capacità di indirizzo e di orientamento, ma anche di costruzione del consenso con i diversi attori che operano dentro il sistema sociale (Perino 2001).

La coppia sussidiarietà-cooperazione, che sottintende la convergenza di diverse competenze su uno stesso problema, si traduce in termini pratici nel concetto di

partnership, nella duplice forma di co-programmazione e co-gestione dei servizi.

La partnership acquista valore e rappresenta innovazione proprio nella fase di programmazione, ed il metodo con cui sussidiarietà e cooperazione si realizzano è la concertazione all’interno del processo decisionale. La concertazione è indicata dalla legge stessa come metodo fondato sul confronto preventivo con cui i comuni giungono alla definizione del Piano di Zona, e, all’interno di questo processo, la legge stabilisce che le organizzazioni sociali partecipino alla formulazione degli obiettivi di benessere; il Terzo settore e le Aziende sanitarie locali concorrono alla programmazione, all’organizzazione e all’offerta dei sevizi - stipulando anche gli Accordi di programma. La partnership è un cambiamento notevole rispetto alle modalità tradizionali con cui le organizzazioni partecipano alla programmazione, perché implica una discontinuità rispetto all’esistente e a quanto normalmente viene messo in atto.

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In questa sua nuova definizione, la programmazione non coincide solo con una fase del ciclo di policy, ma si dispiega lungo l’interno processo stesso, ovvero essa non si esaurisce come attività contenuta in una prima piuttosto che in una seconda fase - se pensiamo allo schema classico di analisi delle politiche pubbliche (identificazione del problema, formulazione delle ipotesi di soluzione, decisione, implementazione) -, ma riguarda sia i processi a monte, come la costruzione dei bisogni sociali, sia i processi a valle del programmare, come la predisposizione degli strumenti per realizzare le azioni pensate. In questo allargamento di sguardo emerge la differenza tra programmare politiche e progettare servizi: si programmano politiche ogni qual volta si mettono in discussione, ri-definendoli, i valori che guidano l’azione sociale, gli orientamenti di fondo di un determinato tipo di intervento, gli obiettivi, le risorse potenzialmente disponibili e le cornici regolative in cui ci si va a calare (Costa 2010).