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Implicazioni Organizzative della Legge 328/2000 Programmazione, Partnership e Partecipazione

5. Lavoro inter-organizzativo come risposta alla complessità

6.3 Perché le persone non partecipano

Tutti i teorici dell’organizzazione sono concordi nel ritenere che un elevato livello di partecipazione tra i membri sia un criterio importante per il benessere organizzativo; in linea teorica, significativi livelli di partecipazione possono essere ottenuti incoraggiando un clima partecipativo o stabilendo strutture capaci di promuovere inclusione nei processi decisionali. Tuttavia, i soggetti possono non-partecipare sia ai processi di cambiamento sia alle strutture di inclusione.

Per molto tempo, la personalità è stato il fattore preferito da molti ricercatori per spigare la non-partecipazione: semplificando, è stato sostenuto che le persone non partecipano perché non lo desiderano, e non lo desiderano perché la loro personalità è tale da non volere influenzare. Questo genere di spiegazione appare essere molto riduttiva e semplicistica agli occhi di Neumann (1989), perché nega la complessità del comportamento organizzativo che, nei termini di Lewin, è il risultato della combinazione dinamica tra persona e ambiente. Al lavoro di Jean Neumann nei paragrafi che seguono si farà esplicito riferimento nell’identificare gli ostacoli che impediscono alle persone di partecipare.

Spiegazioni strutturali

Una prima spiegazione sul perché le persone non partecipano, anche quando non esistono apparenti vincoli, è riferita alle dimensioni specificamente strutturali dell’organizzazione: la progettazione organizzativa, la progettazione operativa e la gestione delle risorse umane.

La progettazione organizzativa è un processo decisionale che tiene assieme obiettivi, strategie, pratiche e soggetti organizzativi, elementi che costituiscono le decisioni “dell’organizzare” che sono proprie delle attività quotidiane dei membri organizzativi, ovvero decisioni inseparabili dal compito primario che le persone svolgono e, quindi, dalla loro partecipazione. Tuttavia, nelle organizzazioni i processi decisionali realmente inclusivi sono quasi un miraggio perché le scelte significative restano fuori dall’arena partecipativa; esistono, invece, processi decisionali paralleli attraverso cui leader e/o manager hanno la possibilità di risolvere eventuali questioni controverse senza ricorrere ai canali formali, portando la decisione nei luoghi formali della partecipazione solo per la sua

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ratificazione. L’implicazione significativa è che non solo l’esistenza di questi sistemi paralleli farà diminuire la volontà a partecipare, ma le decisioni ratificate farà percepire ai membri loro la partecipazione come qualcosa di non importante, o meno importante delle attività lavorative quotidiane, innescando forme di resistenza al cambiamento.

Ad incidere sulla disposizione a partecipare è anche la progettazione operativa, ovvero la struttura dei compiti che le persone eseguono. La partecipazione nel processo decisionale è incorporata nei mansionari dei manager e dei supervisori; essere manager, ed esserlo ai livelli più alti della gerarchia, implica prendere una decisione, e prendere la decisione finale. Perché la partecipazione sia facilitata, le forme organizzative dovrebbero essere pensate e strutturate in modo da portare gli attori organizzativi (manager di livello intermedio e operativi) all’interno del processo decisionale manageriale. La partecipazione dei livelli inferiori ha in sé, però, un elemento di problematicità, riferito alla differenza tra essere invitati a prendere parte ad un processo decisionale ed essere ritenuti responsabili per la propria decisone. Tuttavia, quando l’invito a partecipare sembra essere legittimo o rilevante per la natura del compito dei subordinati, allora questi percepiscono la partecipazione come più efficace: il desiderio di influenzare o di controllare il proprio lavoro è positivamente correlato ad un auto-coinvolgimento nel compito specifico del proprio lavoro. Il coinvolgimento, però, si realizza in determinate condizioni: è ovvio che le persone implicate in lavori altamente ripetitivi tendono ad auto-escludersi perché sanno che il risultato della loro partecipazione è praticamente insignificante per l’esecuzione del proprio compito. L’interesse a partecipare, invece, è stimolato se le opportunità di partecipazione incidono sulla soddisfazione di bisogni. Un lavoro che incrementa l’autonomia individuale e produce auto-coinvolgimento aumenta la probabilità che le persone desidereranno partecipare nelle decisioni che le riguardano.

Ultima spiegazione strutturale è riferita alla gestione delle risorse umane. Motivare gli individui per contribuire al conseguimento degli obiettivi costituisce una funzione centrale delle politiche e delle procedure del management delle risorse umane. Quest’ultimo presuppone dei sistemi di controllo sociale in ogni organizzazione, per cui non viene negato che il processo decisionale partecipativo

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sia una forma di controllo sociale che ha come scopo quello di produrre gli effetti desiderati o impedire quelli indesiderati. Di conseguenza, la differenza tra un sistema partecipativo ed uno non-partecipativo sta tutta nel fatto che il controllo è esercitato e distribuito. La letteratura propone una visione delle politiche e delle procedure del management delle risorse umane come meccanismi di mantenimento: i forum partecipativi sono usati come un metodo per fronteggiare preoccupazioni relative alle risorse umane, ad esempio questioni come la qualità delle condizioni lavorative sono state risolte con successo attraverso procedure partecipative. È vero che questi forum offrono un’arena in cui i lavoratori possono sollevare preoccupazioni, ma è ingenuo ritenere che l’esistenza di un semplice luogo in cui far questo possa impedire a queste persone di far emergere la propria insoddisfazione riguardo a meccanismi e procedure non piacevoli del

management. Inoltre, molti di questi sforzi partecipativi presentano il limite di

focalizzarsi solo su problemi connessi al compito, mentre escludono dall’agenda questioni di tipo relazionale. Questo può avere un impatto non solo sul loro livello di insoddisfazione, ma anche e soprattutto sulla loro disponibilità a partecipare.

Spiegazioni relazionali

Tra le spiegazioni relazionali, una prima dimensione di analisi è riferita ai meccanismi della gestione della partecipazione, ovvero alle caratteristiche che definiscono lo schema di una struttura partecipativa:

il grado di formalità

il grado di apertura

 l’accesso alla partecipazione

il contenuto della decisione

la composizione sociale dei partecipanti.

Accanto a queste, vi sono anche i valori, gli assunti e gli obiettivi di coloro che realizzano lo schema partecipativo, che hanno un certo peso e costituiscono le teorie sociali alla base dell’idea di partecipazione. Peraltro, sono state messe in evidenza anche le questioni relazionali implicate nella gestione del processo decisionale partecipativo, indipendentemente dalla forma organizzativa: qui si ritrovano i dilemmi riferiti alle procedure e alle regole, alla scelta dei problemi su

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cui intervenire, al gruppo di lavoro e al legame tra forum partecipativi ed il resto dell’organizzazione. Proprio queste questioni potrebbero tradursi in molteplici modalità che potrebbero incoraggiare o scoraggiare la disponibilità a partecipare.

Un secondo tipo di spiegazione riguarda le dinamiche della gerarchia. Un processo decisionale di tipo partecipativo mette in discussione la gerarchia come approccio disfunzionale all’organizzazione dell’autorità e richiede la capacità di far fronte alle questioni psicologiche implicate nel modello organizzativo gerarchico. È stato evidenziato come la gerarchia spinga i membri nel conflitto e nella competizione, soprattutto per le scarse risorse: queste, infatti, sono distribuite da coloro che posseggono l’autorità, mentre coloro che non si posizionano ai livelli alti della gerarchia sviluppano strategie per proteggere se stessi e screditare gli altri nel meccanismo competitivo. Uno schema partecipativo potrebbe costituire un rimedio contro tali dinamiche, ma la sua implementazione efficace richiede una modifica della gerarchia, ed i conflitti generati dalla forma gerarchica possono impedirne la implementazione. Partecipazione e gerarchia hanno entrambe a che fare con l’autorità, ma la concepiscono e la realizzano in differenti modi. Questa diversità vede l’approccio partecipativo essere incline ad una distribuzione dell’autorità basata sulla competenza, e l’approccio gerarchico sulla posizione: mentre nel primo caso, l’autorità è la capacità di una persona di risolvere il problema che sta sperimentando (il che dà la possibilità agli individui di esprimere se stessi e coinvolgersi con gli altri nel problem solving, o processo decisionale), nel secondo caso, i manager resistono agli schemi partecipativi poiché un’autorità esercitata sulla competenza è considerata una minaccia per l’organizzazione. E poiché l’autorità non è solo struttura, ma reifica e perpetua una realtà sociopsicologica anche i subordinati resistono: gli individui si ancorano al “conosciuto”, a quel pezzo di autorità che hanno gestito e accumulato nel tempo per loro stessi. In questo contesto, upper e lower colludono per rispondere all’imperativo di mantenere il management all’apice di una gerarchia dipendente. Quindi, in situazioni come queste, dove rango e status contano più della competenza, è improbabile che gli individui accettino la partecipazione, a meno che partecipando non siano certi di migliorare rango e status. La legittimità a decidere discende da questi, per cui se quelli in posizione di autorità considerano i

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propri subordinati incapaci di decidere allora il loro invito a partecipare sarà percepito come non sincero. Peraltro, la chiarezza sulle aspettative rispetto al grado di influenza intrinseco allo sforzo partecipativo può aumentare e/o diminuire la propensione a partecipare: troppa influenza potrebbe non essere creduta o interpretata come abdicazione delle responsabilità; troppo poca potrebbe apparire di poco valore.

Ultimo elemento all’interno di questo cluster capace di impattare negativamente sulla disponibilità a partecipare è l’atteggiamento individuale verso l’organizzazione. Sebbene la letteratura sulla partecipazione non prende in esame questo aspetto, dalla pratica consulenziale alle organizzazioni emerge come la rilevanza (percepita) del lavoro influenzi la tendenza dell’individuo a partecipare ai processi decisionali. Kurt Lewin (1936) fu uno dei primi studiosi a pensare e teorizzare connessioni tra gli aspetti socio-psicologici dell’individuo ed il suo comportamento, tanto da sostenere che la situazione psicologica complessiva della persona è un insieme di forze potenti che governano il comportamento. La combinazione tra le caratteristiche della personalità, come la storia personale, e gli elementi ambientali interiorizzati creano la struttura vitale della persona che elabora passato e presente in un modello fatto di concetti, sentimenti, memorie e credenze. Le strutture ambientali si connettono con parti della struttura vitale attraverso il meccanismo delle attribuzioni sociali, ed il confine individuale costituisce l’interfaccia che permette questa connessione, ma l’ambiente, sebbene includa dei “fatti” che la influenzano, rimane fuori dalla struttura vitale. I concetti di spazio e struttura vitale rendono possibile immaginare e visualizzare il confine che esiste tra l’individuo ed il suo lavoro. Poiché egli fa esperienza di sé come entità separata dal lavoro che svolge, il suo senso di scelta aumenta in funzione di “come” desidera essere incluso e di “quanta parte di sé” desidera investire in un

setting partecipativo. Mentre in passato il lavoro era preminente per gli individui

perché permetteva loro di soddisfare diversi bisogni, oggi questo è più difficile. I contesti lavorativi diventano sempre più fluidi e instabili (Kaneklin 2001) ed il grado d’importanza del lavoro cambia: si va dalla totale dipendenza ad una strumentalità consapevole (Miller 1984), dove la sopravvivenza è sempre più connessa alla definizione della propria vita come separata dal proprio posto di

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lavoro - tutto questo mentre, come afferma Neumann, le organizzazioni sembrano richiedere più partecipazione, più coinvolgimento, più disponibilità ad impegnarsi in processi di problem solving e/o decisionali. È, quindi, la complessità della struttura vitale della persona che influenza la tendenza alla partecipazione: più saliente è il lavoro come forza potente nella vita della persona più elevata è la disponibilità a partecipare.

Spiegazioni sociali

Tra le spiegazioni sociali, si ritrovano i processi di socializzazione primaria e secondaria, attraverso cui gli individui apprendono come agire il ruolo che gli altri si aspettano. L’aspettativa del ruolo è esattamente il link tra l’individuo e la struttura sociale. In molte organizzazioni, la socializzazione continua soprattutto per imparare i giusti comportamenti verso coloro che rappresentano l’autorità. Entrando nell’organizzazione e lavorando, individui e gruppi iniziano a sviluppare differenti aspettative riguardo al loro probabile futuro sul posto di lavoro; gli sforzi compiuti per socializzare i giovani, in modo particolare, verso una passività richiesta dalla gerarchia incontra solitamente delle resistenze: essi sanno, infatti, che far entrare passivamente informazioni, istruzioni e valutazioni dalle autorità non garantisce ai senior una posizione sicura nella struttura sociale. I lavoratori

senior in molte organizzazioni sono quelli che credono alla loro prima

socializzazione su come essere dei buoni lavoratori: “se uno si comporta in un certo modo con certe abitudini allora sarà assunto e considerato lungo l’arco dell’attività lavorativa uno dei migliori impiegati dell’organizzazione”. Questi processi di socializzazione organizzativa (Schein 1968) inibiscono coloro che manifestano capacità personali, considerate una minaccia all’autorità gerarchica. Gli impiegati sono dipendenti e impotenti; quindi, un processo di socializzazione che funziona bene in questo senso diminuirà la disposizione a partecipare degli individui, a meno che non vengano socializzati ad un livello di stratificazione organizzativa che usualmente include processi decisionali

La seconda ragione è costituita dall’ideologia lavorativa. Neumann sostiene che questa porti con sé credenze e assunti coerenti con l’organizzazione del lavoro per un processo decisionale partecipativo. L’ideologia è radicata nella struttura

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sociale dell’organizzazione e molto spesso è usata per servire gli interessi del gruppo principale; di conseguenza non è scelta consapevolmente, ma emerge (in modo inconscio) dall’appartenenza al proprio gruppo. In questo senso è parte integrante della propria cultura e della cultura del gruppo, ed in questo senso se una scelta non è congruente con la cultura è improbabile che l’individuo sceglierà. Nello specifico, gli individui spesso fanno esperienza di partecipazione perché questa risulta essere funzionale all’ideologia manageriale o perché stimola e rinforza la propria. Se vi è un buon livello di autocoscienza, in questi casi è probabile che la disponibilità di individui e gruppi a partecipare sarà molto bassa. Per comprendere meglio il concetto si possono utilizzare le posizioni che Baxter (1982) identifica riguardo l’interazione tra Sé e Altro: una prima è definita “non autonoma” per indicare la tendenza dell’individuo a trarre piena realizzazione agendo nel contesto di Altro; la seconda è definita “semi autonoma” per indicare l’atteggiamento individuale che usa il supporto di Altro per sostenere la sua condizione e per estendere le possibilità del proprio Sé; l’ultima è definita “pienamente autonoma” per indicare la capacità dell’individuo di trascendere completamente la presenza di Altro. È a questo che si connettono direttamente partecipazione e ideologia lavorativa. Con un certo grado di consapevolezza, gli assunti e le credenze su leadership, motivazione e sanzioni, o su “come le cose dovrebbero essere fatte” possono essere indirizzate e cambiate. Partecipazione implica autonomia individuale, mentre certe posizioni ideologiche preferiscono sommergere in Sé nel Altro, impedendo di lavorare verso l’autosufficienza. La dinamica gerarchica sostiene un approccio basato sulla non autonomia. Quando i

manager introducono un processo decisionale partecipativo esiste la possibilità

che gli individui lo esperiscano come uno scollegamento tra se stessi, le proprie abitudini socializzate e l’ideologia. Ed invece di essere visto e compreso come un processo nel loro interesse, lo percepiranno come un risultato dell’ideologia manageriale al quale devono adattarsi. La decisione di usare schemi (e di che tipo) partecipativi è fatta da coloro che stanno ai vertici della gerarchia; le posizioni definite “non autonome” e “semi autonome” sono intrinsecamente gerarchiche: in quest’ultima Altro domina Sé, nella prima lo definisce. Così, secondo Neumann, la gerarchia è stata e continua ad essere un tipo di ideologia di successo: credenze

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e assunti che ad essa soggiacciono sono esperiti come naturali. Questo tipo di ideologia può far decrescere la voglia di partecipare: l’ordine a partecipare, laddove c’è consapevolezza, potrebbe essere interpretato come un tentativo a conformarsi, non concependo la partecipazione come un atto autentico.

6.4 Concludendo

Questa review ha messo in evidenza diversi tipi di spiegazioni al perché le persone non partecipano. Allargare la prospettiva ha permesso di comprendere che le persone non partecipano quando:

a) le decisioni reali sono prese al di fuori dei forum partecipativi

b) il compito non richiede di usare schemi partecipativi

c) la partecipazione non è rinforzata attraverso meccanismi che comunicano le norme fondamentali dell’organizzazione

d) la partecipazione è gestita in modo tale da scoraggiare le competenze partecipative

e) rango e status continuano ad essere più importanti delle competenze

f) credenze e valori profondi sono messi in discussione dalla partecipazione. Quanto detto suggerisce implicazioni importanti sia per usare la partecipazione come tecnica per il cambiamento e lo sviluppo organizzativo sia per progettare e gestire nuove forme organizzative. Una prima conclusione riguarda la riflessione sul fatto che la disponibilità a partecipare non deve essere data per scontata, così come non può essere assunto in modo acritico che la non-partecipazione sia soltanto il prodotto di una sorta di “mancanza” nell’individuo. Piuttosto, come rileva Jean Neumann (1989), la scelta di coinvolgersi ed impegnarsi in iniziative che hanno come fine l’aumento della partecipazione riflette un calcolo complesso, consapevole o meno, da parte delle persone: i diversi fattori descritti, oltre alla personalità, hanno evidenziato più punti di vista che possono spiegare perchè le persone non sarebbero disposte a partecipare pur essendo data loro la possibilità. Gli insight utili a questo lavoro toccano più dimensioni:

- i manager che desiderano iniziare o cambiare uno schema partecipativo devono comprendere che è necessario un approccio comprensivo, uno

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sforzo che armonizzi aspetti della struttura, delle relazioni e della cultura dell’organizzazione. Diversamente, le resistenze che si determinano nei confronti di modelli partecipativi che confliggono con queste dimensioni saranno naturali ed inevitabili;

- nel pensare e strutturare forme di partecipazione, è utile tenere in considerazione la particolare combinazione di forme che organizzano e realizzano autonomia, responsabilità ed influenza. Da questo punto di vista, le dimensioni strutturali sembrano essere la leva più potente nell’influenzare il successo di un tentativo di partecipazione;

- l’adozione di un processo decisionale partecipativo per svolgere il compito primario dell’organizzazione giustifica i costi (economici e sociali) che l’attuazione di tale schema comporta. Processi e procedure che assicurano l’uso di decisioni partecipate necessitano d’essere stabilite se la partecipazione è un mezzo per soddisfare specifici bisogni o risultati della bottom-line;

- il top management deve comprendere la posizione stressate ed insostenibile in cui pone i manager di livello intermedio e di linea. Preferendo schemi partecipativi paralleli, essi comunicano la propria mancanza di impegno alla partecipazione. Le richieste per cambiamenti nelle abitudini e nel comportamento dei manager di linea e di livello intermedio, senza offrire un adeguato supporto strutturale, contribuiscono ad accrescere sentimenti di inadeguatezza e incompetenza nel personale direttamente responsabile per la produzione; quindi, la resistenza dei

manager si comprende come inevitabile reazione psicologica alle

contraddizioni del top management;

- l’esistenza di un doppio vincolo psicologico (usare la partecipazione ma non per decisioni importanti; richiedere cooperazione ma rafforzare la competizione; cambiare attitudini e comportamenti dei subordinati e non dei sovraordinati) intrappola i middle ed i line manager tra il livello superiore ed i lavoratori. Nelle condizioni migliori, essi medieranno le contraddizioni riconoscendo il messaggio paradossale; nelle peggiori delle ipotesi saboteranno il tentativo della partecipazione. Per questo

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motivo, professionisti e ricercatori dovrebbero insistere sull’importanza del coinvolgimento dei manager nel esercitare un certo controllo sulle decisioni che li riguardano come prerequisito indispensabile per usare il processo decisionale partecipato con i subordinati. Questo costituisce un modo per superare le resistenze al cambiamento.

7. Conclusioni

In questo capitolo sono state discusse le innovazioni organizzative della legge 328. Questa legge ha inaugurato in Italia una nuova stagione di politiche in ambito sociale, politiche che si differenziano da quelle precedenti almeno sotto due punti di vista: in primo luogo, non si tratta soltanto di innovazioni relative ai contenuti delle politiche, ma vengono identificati modelli a cui gli enti locali si devono attenere anche riguardo all’impostazione, all’organizzazione e alle forme di elaborazione delle politiche stesse; in secondo luogo, la legge oltre ad introdurre e definire in maniera chiara obiettivi e compiti nei vari settori, promuove una complessa strumentazione per programmare, organizzare e gestire il sistema integrato di interventi. A livello locale, il Piano di Zona costituisce un’occasione importante per introdurre e potenziare nuove forme di regolazione dello sviluppo locale che, incentivando la partecipazione degli attori locali al processo di programmazione, realizza ciò che nella recente letteratura politologica viene definito processo di governance locale.

Il tema della (co)programmazione è al centro del dibattito da diversi anni, ricevendo maggiore attenzione in seguito alle pressioni esercitate dagli attori del Terzo Settore, interessati sempre di più a partecipare non solo alla realizzazione degli interventi, ma soprattutto alla loro definizione. La programmazione partecipata, così come definita dalla legge di riforma, abbandona l’immagine