• Non ci sono risultati.

Origini concettuali dell’approccio sistemico-psicodinamico La teoria psicoanalitica, di cui Freud è riconosciuto come padre fondatore, è

How to Make Sense Out of Non-Sense

3. L’organizzazione e l’inconscio: una nuova struttura di pensiero Le ragioni che stanno alla base della discussione che segue hanno sullo sfondo

3.1 Origini concettuali dell’approccio sistemico-psicodinamico La teoria psicoanalitica, di cui Freud è riconosciuto come padre fondatore, è

una delle componenti chiave che costituisce la filosofia sottostante all’approccio sistemico-psicodinamico.

- 140 -

L’essenza di questo approccio è contenuta esattamente nell’unione dei suoi due termini (Gould 2001). La componente psicoanalitica è introdotta dall’uso del termine “psicodinamico”, riferito sia alle esperienze individuali e ai processi mentali attivati sia all’esperienza inconscia dei gruppi e ai processi sociali che li riguardano (e che sono fonte e conseguenza di non riconosciute e non risolte difficoltà organizzative). La visione psicodinamica presuppone l’esistenza di angosce primitive e la mobilitazione sociale di difese contro di esse, come hanno dimostrato i già citati studi di Isabel Menzies e di Elliott Jaques: gli esseri umani sono inclini ad evitare l’ansia, l’incertezza e le minacce alla propria autostima; conseguentemente, provano ad esercitare controllo e ad assicurarsi prevedibilità rispetto a tutto ciò che li circonda per rafforzare la propria autostima. Le difese sociali emergono, cioè, quando un gruppo inconsapevolmente collude per allontanare ansie e tensioni riguardo al compito, spesso anche sacrificando apprendimenti e cambiamenti.

Alla formazione dell’approccio psicodinamico ha contribuito in modo notevole l’influenza esercitata dai lavori di Melanie Klein, la cui “Teoria delle relazioni oggettuali” sarà centrale in Bion perché i processi di scissione e di proiezione di cui parla, presenti nella prima infanzia come difese attuate per evitare il dolore, sono osservabili anche nella vita dei gruppi. La Klein ipotizza l’esistenza di un “mondo interno” che è il mondo dell’inconscio, quale luogo in cui si esprimono desideri, fantasie e immagini della realtà psichica. L’inconscio ha un ruolo determinante nelle fasi del processo di sviluppo psico-emotivo della persona, in particolare nella posizione schizzo-paranoide, dove la più grande fonte d’ansia è la paura della persecuzione e le maggiori difese sono la scissione tra ciò che è “buono” e ciò che è “cattivo”, ovvero la separazione di impulsi e oggetti in aspetti positivi e negativi (Stapley 2001) e la loro proiezione in un’altra persona allo scopo di allontanarle da sé per poter gestire l’ambivalenza avvertita ed evitare il dolore. Questo concetto sarà ripreso da Bion, per il quale la sua significatività risiede nel fatto che sebbene sia un processo definito nella prima infanzia, rimane operativo per tutta la vita costituendo la base su cui ciascuno costruisce e sviluppa le proprie relazioni. A questa posizione segue quella depressiva, caratterizzata dalla capacità di saper riconoscere ed accettare la coesistenza del bene e del male

- 141 -

nello stesso oggetto/persona. Il termine “depressiva” si riferisce ai sentimenti di colpa provati per le proiezioni negative, che si risolvono attraverso l’integrazione dei sentimenti precedentemente separati (amore/odio); il passaggio a questa fase descrive un processo di sviluppo mentale ed emotivo compiuto, ovvero la capacità di comprendere la propria realtà interna e di stare a contatto con quella esterna. La Klein sostiene che, se le paure persecutorie rimangono forti, il soggetto avrà difficoltà a superare le fasi paranoico-schizzoide e depressiva; in questo caso, tali esperienze possono diventare la base su cui possono svilupparsi atteggiamenti di paura, odio, invidia, avidità, sadismo, frustrazione, colpa, paranoia, ossessione, depressione, fantasia, così come sentimenti che rimangono nell’inconscio e che vengono trasferiti ad altri oggetti o rapporti (Morgan 2006).

La Teoria delle relazioni oggettuali, che evidenzia come una persona usi l’altro per stabilizzare il proprio mondo interno, mostra anche come l’esperienza adulta riproduce meccanismi di difesa nei confronti dell’ansia sviluppati originariamente nella prima infanzia, e come i processi psicodinamici che esistono dentro gli individui (differenziazione, proiezione, negazione) condizionano il modo con cui essi stabiliscono la propria relazione con il mondo esterno (Hirschhorn 1990). Ma ancor di più, offre una base sulla quale lavorare attraverso forti emozioni, così come queste si verificano: è la capacità di pensare e di riconoscere, invece che reagire, la propria parte nel ruolo proiettivo, che segnala lo scivolamento verso lo sviluppo emotivo. Da questo punto di vista, è possibile spiegare la struttura, i processi e la cultura di un’organizzazione in termini di meccanismi inconsci di difesa sviluppati dai membri per affrontare l’ansia individuale e collettiva, specie in presenza di alti livelli di stress: questi sono strumenti importanti all’interno dei processi di consulenza per il cambiamento organizzativo perché, attraverso la loro identificazione e comprensione, permettono di dare senso alle esperienze emotive.

Una più compiuta sistematizzazione della prospettiva psicodinamica si realizza attraverso sviluppi successivi proposti da Bion, la cui teoria sul comportamento dei gruppi è diventata un fondamento del modello Tavistock a questo riguardo. Bion compì uno studio dettagliato sul funzionamento della vita del gruppo identificando come elemento essenziale della sua teoria la distinzione tra comportamenti ed attività mirate allo svolgimento del compito razionale e

- 142 -

comportamenti ed attività mirate a soddisfare i bisogni emotivi e le ansietà dei soggetti (Gould 2001). Il suo lavoro ha messo in evidenza come un gruppo funzionante in modo preminentemente razionale non esiste; per effetto dello stato di regressione dovuto al contatto di ciascuno con la vita affettiva del gruppo, esso è caratterizzato da momenti di maggiore o minore contatto affettivo con la realtà. Bion (1961) postula che ad ogni dato momento il comportamento di un gruppo può essere analizzato su due livelli: esso è gruppo di lavoro sofisticato che si pone l’obiettivo di portare a temine il compito assegnato ed è organizzato in funzione di questo scopo (working group); esso è basic assumption group (gruppo assunti di base) la cui capacità razionale è influenzata da uno dei tre assunti di base (dipendenza, accoppiamento, lotta-fuga) che sono la manifestazione di esperienze e fantasie inconsce originate nella prima infanzia e che spingono il gruppo ad operare a livello emotivo attuando meccanismi di difesa utili ad evadere la realtà percepita come dolorosa. Sebbene, ad un livello dichiarato, il gruppo si formi per raggiungere un obiettivo comune, esistono comunque degli aspetti non manifesti al suo interno che sono reali (Bion 1961; Rice 1965; Miller 1993). In altri termini, se da un lato c’è uno sforzo consapevole che unifica i membri spingendoli verso l’obiettivo, dall’altro ci sono dei fini impliciti che interferiscono con esso, e dei quali non sempre gli individui sono consapevoli. Gli assunti di base, che sono attività mentali che hanno in comune degli stati emotivi, determinano una reale diminuzione dell’effettivo contatto con la realtà e inducono l’individuo ed il gruppo verso stadi mentali regressivi attraverso ciò che Bion definisce valency, ovvero la tendenza del singolo a combinarsi in modo istantaneo ed involontario con gli altri per condividere un assunto di base e operare in base ad esso. Mentre il gruppo di lavoro, basato sulla cooperazione cosciente e razionale dei suoi membri, svolge nei confronti della mente del gruppo una funzione simile a quella che l’Io esercita nella mente individuale, sotto l’influsso di un assunto di base il gruppo sembra essersi riunito per uno scopo difficile da chiarire, agisce su stati affettivi ed usa preponderatamente l’istinto, è caratterizzato da idee sotterranee e da immediatezza, è bloccato nella stagnazione e nella regressione, è concentrato su fantasie interne ed opera come un sistema chiuso. Al cambiamento, il gruppo reagisce col panico, evitando lo sforzo di comprendere cosa sta accadendo attorno

- 143 -

ad esso. Tutto ciò impedisce sia i processi di adattamento sia lo sviluppo del gruppo (Turquet 1974), cioè verrà seriamente ostacolata la possibilità di realizzare un lavoro efficiente che richiede la capacità di tollerare le frustrazioni, affrontare la realtà, riconoscere le differenze tra i membri ed imparare dall’esperienza.

Miller (1998) suggerisce che il lavoro di Bion, in particolare, è universalmente riconosciuto come quello che ha maggiormente contribuito ad una prospettiva estremamente significativa sul comportamento dell’individuo e del gruppo: grazie al suo approccio, la prospettiva psicodinamica riconosce l’esistenza di due gruppi in gioco. È importante, peraltro, sottolineare come questi costrutti si prestino bene a rappresentare anche aspetti delle culture organizzative e modelli di funzionamento sociale: il concetto di gruppo di lavoro può cioè offrire nuovi paradigmi anche alla riflessione sulla leadership e sul governo dei sistemi sociali complessi. L’assunto sottostante a quest’approccio, e al processo consulenziale su cui è basato, è che il comportamento individuale è influenzato da forze inconsce e che il comportamento di individui e gruppi è messo in atto in modi rispetto ai quali non sempre essi sono razionali (Rice 1965); inoltre, gli individui influenzano e sono influenzati da tutti i membri del gruppo, un’influenza che deriva non solo da aspetti razionali, ma soprattutto irrazionali ed emotivi sempre presenti nel gruppo. Ed è spesso lo stato di ansia sperimentata a sviluppare una varietà di meccanismi di difesa (Hirschhorn 1990).

Il termine “sistemico” si riferisce al concetto di sistema aperto, che offre una struttura paradigmatica per la comprensione degli aspetti strutturali di un sistema organizzativo, che, in quanto realtà esterna, influenza l’individuo in modo significativo sia dal punto di vista emotivo che psicologico. Considerare il gruppo e/o l’organizzazione come un sistema aperto è un ulteriore arricchimento per la prospettiva psicodinamica, e gli studi di Rice (1965) e Miller e Rice (1967) hanno aperto, in questo senso, la strada ad un nuovo modo di fare ricerca attraverso lo studio e la valutazione delle relazioni tra gli elementi tecnici e sociali delle organizzazioni e della relazione tra le parti e l’insieme e l’insieme e l’ambiente esterno, dove centrali sono i concetti di compito primario e confine già discussi. Come rileva Stapley (2001; 2004), l’idea di gruppo come totalità emerge proprio da questa prospettiva, che peraltro tanto deve a Kurt Lewin ed alle sue idee di

- 144 -

whole, riferite all’intuizione secondo cui le proprietà strutturali di un insieme

dinamico sono diverse dalle proprietà strutturali dei suoi sotto-insiemi (ed entrambi necessitano d’esser investigati). Il gruppo as-a-whole si riferisce al collettivo che si forma quando i sistemi operano come un tutt’uno attraverso relazionalità ed interconnessione - che implica che nulla accade in modo isolato. Il modello sistemico è compatibile con i concetti ed i postulati che derivano dalle teorizzazioni psicoanalitiche: rispetto ai processi che si realizzano all’interno di un’organizzazione è possibile non solo descriverne la fenomenologia e la dinamica consapevole e razionale a partire dal paradigma sistemico, ma esplorare le radici emozionali inconsce, le valenze ansiogene, le componenti difensive con l’impiego del paradigma psicoanalitico (Perini 2002). Il contributo più fecondo di questi studi, quindi, risiede nella costruzione e nello sviluppo di un approccio integrato all’analisi delle organizzazioni come sistemi complessi in continuo interscambio con l’ambiente circostante.