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Implicazioni Organizzative della Legge 328/2000 Programmazione, Partnership e Partecipazione

4. I fondamenti teoric

Discutere di programmazione in termini di cambiamento organizzativo sistemico richiede, in primo luogo, esplicitare la concezione di organizzazione che è alla base di questo lavoro. Sebbene non verrà dato molto spazio e non sarà data molta enfasi a questa trattazione, si cercherà di spiegare i fondamenti teorici e concettuali da cui muove questo studio al fine di facilitare una più generale comprensione della questione. Il paradigma al quale aderisce questa ricerca rispetto al modo di intendere l’organizzazione trova le sue origini nel concetto di sistema aperto (von Bertalanffy 1950) e, particolarmente, in quello di sistema socio-tecnico (Trist e Bamforth 1951).

Il concetto di sistema aperto, compiutamente sviluppato all’interno della Teoria generale dei sistemi di Bertalanffy, enfatizza la complessità strutturale ed interazionale del tutto: rifiutando il modello meccanicistico basato sulla credenza della possibilità di potere spiegare le scienze attraverso il principio della causalità lineare, questo approccio parte dall’assunto secondo cui il mondo non è agglomerato di distinti e separati elementi contraddistinto dalla legge della causalità lineare, ma un sistema possedente una certa organizzazione ed interezza, dotato di proprietà e leggi coinvolgenti la totalità delle sue componenti costitutive. Per Bertalanffy il concetto di sistema identifica una realtà complessa i cui elementi interagiscono reciprocamente secondo un modello di circolarità in base al quale ogni elemento condiziona l’altro ed è, a sua volta, condizionato; il significato di ogni singolo elemento non va, pertanto, ricercato nell’elemento stesso quanto piuttosto nel sistema di relazioni in cui è inserito. Questo passaggio permette di distinguere tra sistema chiuso e sistema aperto a partire dalla rilevanza della relazione con l’ambiente esterno: mentre i sistemi chiusi non hanno nessuno scambio con l’ambiente esterno, né materiali in entrata né materiali in uscita, i sistemi aperti si caratterizzano per relazioni di scambio ed influenza reciproca con l’ambiente nel quale si trovano; l’apertura è, in altri termini, condizione necessaria per raccogliere informazioni e sostenere la propria esistenza. Rice (1963) dirà, successivamente, che il sistema aperto è tale solo se scambia materiali con il suo ambiente, ed il processo attraverso cui il sistema importa, trasforma ed esporta materiali è il lavoro che deve fare per sopravvivere.

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Figura 1. Sistema aperto

La rilevanza del concetto di sistema, e di sistema aperto, vale evidentemente non soltanto per gli organismi, ma anche per tutte le altre entità per le quali si possa osservare un’analoga condizione di apertura, come le organizzazioni che non possono essere descritte adeguatamente facendo riferimento solo agli elementi interni che la costituiscono. Il pensiero sistemico assieme all’influenza esercitata tanto dal pensiero di Kurt Lewin (in particolare la sua insistenza sullo studio delle proprietà gestaltiche dei gruppi come totalità, distinte da quelle degli individui che li compongono) quanto dai primi studi psicodinamici applicati ai gruppi di lavoro (Bion 1947-51) influenzarono la nascita del concetto di sistema socio-tecnico che emerse dalla ricerca condotta da Trist e Bamforth (1951) sulla riorganizzazione del lavoro in una miniera di carbone.

Questa ricerca mise in evidenza un metodo di lavoro imperniato su gruppi relativamente autonomi, basati su ruoli intercambiabili e su un sistema di integrazione e coordinamento tra i diversi compiti e tra i diversi operatori che richiedeva una minima supervisione. La cooperazione e l’intercambiabilità dei compiti all’interno dei gruppi erano molto accentuate, l’impegno individuale molto alto, l’assenteismo basso, gli incidenti poco frequenti ed il livello di produttività molto soddisfacente (Trist 1963). I principi fondamentali emergenti nel nuovo paradigma sono stati riassunti da Trist (1982):

 il sistema di lavoro, e non il singolo compito, ovvero l’insieme delle attività che realizzano un processo, è l’unità di base dell’organizzazione

 il gruppo di lavoro diventa centrale rispetto al singolo lavoratore

 l’autoregolazione interna del gruppo di lavoro è possibile ed è preferibile alla regolazione esterna da parte della gerarchia

Input Output

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 la ridondanza di abilità e funzioni interne al gruppo è preferibile alla specializzazione delle parti - si persegue lo sviluppo di abilità multiple dei singoli e l’incremento di responsabilità dirette del gruppo

 la discrezionalità si sostituisce alla prescrittività

 l’individuo controlla i processi e la tecnologia - non è considerato estensione della stessa

 la varietà del lavoro e l’ampiezza dei ruoli vengono perseguite come antidoto all'impoverimento del lavoro che caratterizza l’organizzazione burocratica.

A partire da questo studio, sistema sociale e sistema tecnico diventano dimensioni complementari nella progettazione organizzativa. Se il precedente paradigma relegava la dimensione sociale dell’organizzazione al regno dell’informale (e la considerata come “problema da gestire”), entro la prospettiva di questo approccio il sistema sociale diviene una delle componenti strutturali dell’organizzazione: le persone, con le loro caratteristiche umane e professionali, e il sistema di relazioni che esse costituiscono nell’ambiente di lavoro cessano di essere considerati come variabili estranee al processo produttivo e diventano il perno delle nuove forme di lavoro (Butera 2005). Con i loro successivi lavori, Emery e Trist (1965) riuscirono a dimostrare e rafforzare che né la massimizzazione tecnico-economica a spese di quella psico-sociale né il contrario producevano prestazioni efficaci: il principio appropriato sembrava essere quello dell’ottimizzazione congiunta delle due dimensioni; come sosterrà Trist, la caratteristica distintiva delle organizzazioni è che esse sono sistemi sia tecnici che sociali, il cui nucleo è costituito dalla relazione tra il sistema umano ed il sistema non umano; questi due sistemi, sebbene indipendenti, perché soggetti a leggi diverse, sono comunque correlati poiché l’uno necessita dell’altro nel processo di trasformazione degli input in

output. Ricorda Miller (1993) che l’introduzione di questo concetto (socio- technical system) costituì un tentativo di comprensione e di riconciliazione della

relazione tra gli aspetti psicosociali e gli aspetti tecnici dell’organizzazione (appunto sistema tecnologico e sistema sociale - Rice 1958) che tanto il

management classico quanto la scuola delle relazioni umane avevano tenuto

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Figura 2. Sistema tecnologico e sistema sociale

L’approccio socio-tecnico, che considera l’organizzazione un sistema aperto, esalta la dimensione relazionale con l’ambiente esterno ai fini dell’apprendimento del sistema stesso, un apprendimento che si riconosce nella (ri)organizzazione delle sue parti in funzione degli input che provengono dall’esterno. Rice (1963) e Miller e Rice (1967), coerentemente con le iniziali intuizioni, identificano i meccanismi sottostanti al funzionamento delle organizzazioni in quanto sistemi socio-tecnici, riconoscendo in esse la compresenza di due sottosistemi, il sottosistema compito (composto dalle attività richieste per completare il processo che trasforma gli input in output) ed il sottosistema senziente (costituto dalle relazioni tra i membri, l’organizzazione e l’ambiente), entrambi importanti perché l’uno incide sull’altro: le relazioni sono, infatti, significative per le abilità e per l’esperienza richieste per lo svolgimento del compito. Gli autori introducono nelle analisi basate sul metodo della ricerca-azione i concetti di “compito primario” e di “confine”, utili da richiamare per comprendere meglio i processi e le dinamiche del lavoro inter-organizzativo. Il compito primario è definito come ciò che da significato all’organizzazione, nel senso che è ciò per cui l’organizzazione è stata creata ed il cui svolgimento ne giustifica l’esistenza. Il concetto di confine riguarda la mediazione tra l’ambiente e l’organizzazione, è ciò che separa e connette l’organizzazione all’ambiente circostante ed è concepito come una regione dove sono presenti ruoli e attività di mediazione tra l’interno e l’esterno. Ciò implica che la gestione dei confini è un’attività essenziale perché la sopravvivenza di un’organizzazione è contingente ad un appropriato grado di isolamento e permeabilità dei confini: se questi sono troppo rigidi il rischio è che

Sistema

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l’organizzazione non comunichi con l’esterno; se sono troppo deboli non si avrà la giusta distinzione tra dimensione interna ed esterno (ibidem).

Figura 3. Sistema socio-tecnico

Inizia, quindi, a farsi strada l’idea secondo cui tutte le organizzazioni sono sistemi socio-tecnici (Cherns 1976), caratterizzati dal fatto che gli obiettivi organizzativi sono meglio realizzati non attraverso l’ottimizzazione del sistema tecnico ed il conseguente adattamento ad esso del sistema sociale, ma attraverso l’ottimizzazione congiunta degli aspetti tecnici e sociali che sfrutta l’adattabilità e la creatività delle persone nel raggiungimento degli obiettivi. L’approccio socio- tecnico è divenuto la base teorica di molti tentativi di ristrutturazione e di riconfigurazione organizzativa che sono correntemente parte di ogni sforzo di

organizational development che, basato sul metodo dell’action research, è una

nuova modalità significativa di studio e cambiamento delle/nelle organizzazioni praticata dal Tavistock Institute of Human Relation a cui questo studio si rifà sia a livello teorico che a livello operativo.