- Riforma costituzionale e federalismo: riflessi sulle politiche socio- assistenziali in Italia
L’impatto dello slancio riformista della legge di riforma dell’assistenza risulta, dunque, essere affievolito dall’intervenuta riforma del Titolo V (parte II) della Costituzione del 2001, che ha avviato un processo di cambiamento tendente ad un neoregionalismo basato su un rafforzamento delle competenze che si costituiscono e si raccolgono in capo alle Regioni. La legge quadro di riforma dell’assistenza ha, per prima, introdotto il riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni sociali allo scopo di ridurre l’eterogeneità dell’offerta di servizi tra aree del paese (e nonostante questo rappresentasse uno dei suoi obiettivi fondamentali vi è consenso nell’affermare che la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali è stata realizzata in modo assai vago) e, successivamente, la riforma costituzionale ne ha modificato il quadro di riferimento attribuendo ai livelli essenziali una posizione cruciale (in parte diversa rispetto a quella prefigurata dalla legge 328) nel quadro della ridefinizione delle competenze dei diversi livelli di governo delle politiche sociali. Come già ricordato, la legge fornisce alcune indicazioni in ordine a quali debbano considerarsi livelli essenziali delle prestazioni sociali, senza scendere in ulteriori dettagli; colloca tra i diritti soggettivi unicamente le prestazioni monetarie assistenziali nazionali, mentre non
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attribuisce natura di diritti individuali esigibili ai servizi e agli interventi territoriali e subordina la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni sociali alla disponibilità di risorse economiche per le politiche sociali. La riforma costituzionale, modificando profondamente la ripartizione delle competenze legislative e amministrative tra Stato e Regioni, incide in modo significativo sull’attribuzione delle competenze in materia di politiche sociali, e definisce in modo diverso, rispetto alla legge quadro, i livelli essenziali delle prestazioni, la cui non compiuta identificazione lascia aperti numerosi problemi relativi sia al riconoscimento dei diritti sociali sia all’attuazione di riforme attese delle politiche sociali, generali e di specifici settori (Ranci Ortigosa 2008).
Nel nuovo piano di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, l’assistenza sociale non compare né tra le competenze esclusive dello Stato né in quelle concorrenti delle Regioni; per cui essa rientra automaticamente tra le materie di competenza residuale. È, quindi, la Regione (e non più lo Stato) ad essere il centro esclusivo di produzione legislativa in materia di assistenza sociale, sia pure nell’ambito dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti di diritti civili e sociali (articolo 117 lettera m della riformata Costituzione) fissati uniformemente su tutto il territorio nazionale dallo Stato - al quale resta la possibilità di effettuare interventi speciali per promuovere solidarietà sociale e per rimuovere gli squilibri socioeconomici (Rizzo 2002). Ancora più concretamente, ciò implica che le Regioni potranno guidare lo sviluppo della propria politica sociale in modo autonomo, compiendo scelte proprie sia in riferimento agli obiettivi sia in riferimento agli strumenti: i legislatori regionali avranno la possibilità di decidere se e in che modo aderire al dettato della legge 328 nella costruzione dei propri sistemi sociali (Ferrera e Madama 2006). Questo è il motivo per il quale la riforma costituzionale ha depotenziato la portata innovativa della legge di riforma dell’assistenza: il rafforzamento dell’autonomia regionale diventa importante dal punto di vista della capacità di legiferare sulla base delle risorse che si hanno a disposizione, prima ancora che delle necessità; questo implica la possibilità reale di sperequazioni tra le varie Regioni che potrebbero verificarsi nella definizione del livello (generoso o non generoso) di assistenza. Dunque, maggiore è l’autonomia (legislativa) maggiore è la differenziazione che
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può crearsi e perpetuarsi tra territori, e quanto più accentuata sarà la differenziazione tanto più forte in senso negativo sarà l’impatto sullo statuto della cittadinanza.
Sebbene l’elemento di perequazione contenuto alla lettera m dell’articolo 117 della Costituzione (che attribuisce allo Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale) si pone l’obiettivo di garantire la cittadinanza - ovvero quel livello equo, omogeneo e unitario di diritti civili e sociali che tuteli da sperequazioni interpersonali ed interterritoriali possibili lungo un processo di regionalismo di tipo asimmetrico -, esso perde la sua portata garantista volta a riequilibrare le disparità e le ingiustizie fra settori e territori a causa della difficile delimitazione della categoria di diritti civili e sociali (non essendoci una definizione né costituzionale né giuridica della stessa) e della difficile interpretazione del concetto di “livelli essenziali delle prestazioni”, per il quale esistono ancora forti dubbi sul tipo di interpretazione applicabile (sebbene sembra essere prevalente un’interpretazione di tipo estensivo che considera l’irriducibilità del termine “essenziale” a quello di “minimo”, cioè che mette in evidenza come il carattere essenziale dei livelli pone questi ultimi su un terreno più avanzato di tutela e protezione di quanto non siano quelli minimi, perché l’obiettivo è quello di assicurare uno standard di prestazioni in grado di fornire la piena fruizione di diritti costituzionalmente garantiti) Il ritardo dello Stato a provvedere ad una definizione di dettaglio, quantitativa e qualitativa (prima ancora che l’individuazione del suo concorso finanziario e la misura del co-finanziamento da parte di Regioni ed Enti locali), dei livelli essenziali delle prestazioni ha congelato lo scenario da questo punto di vista: la riforma del Titolo V ha indebolito la cogenza della legge quadro, rendendola inapplicabile in alcuni punti; nonostante alcune Regioni ed alcuni Enti locali, traendo stimoli proprio dalla legge quadro, abbiano introdotto negli ultimi anni significative innovazioni, il panorama generale rimane caratterizzato da una certa incapacità di cambiamento. Come segnalano Ferrera (2006), Ranci Ortigosa (2008) e altri (Formez 46), la sfida maggiore è allora quella di identificare i livelli essenziali in un mix corretto di diritti, tipi di prestazioni, standard di qualità e livelli di spesa che dovranno essere
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rispettati da ogni Regione, indipendentemente dalle modalità organizzative e gestionali da queste prescelte. In assenza di una definizione governativa dei livelli essenziali, le Regioni stanno preparando una proposta da contrattare col governo stesso, anche se in realtà esse si sono già mosse in via autonoma precostituendo soluzioni e assetti istituzionali che sarà difficile far rientrare in uno schema nazionale. Il rischio è allora che il sigillo centrale venga posto su un confuso ed ingiusto “sistema universale delle differenze” (Rosati 2003).
Per altro versante, l’intero settore delle politiche socio-assistenziali in generale, e la definizione dei livelli essenziali in particolare, assumono maggiore rilevanza a fronte della declinazione concreta che assumerà il federalismo fiscale, che è oggi fra le priorità dell’azione del governo. Il termine federalismo ha assunto, molto pericolosamente, a livello istituzionale un significato quasi magico essendo concepito come il modo più efficace di risolvere alcuni problemi. Soprattutto in alcune aree del Nord del paese, dove è fortemente concentrata la forza politica che se ne fa propulsore, è diffusa l’idea che il federalismo, (ri)assorbendo localmente le risorse prodotte in un dato territorio, consentirebbe di risarcire quella parte del paese che è stata “derubata” da quei prelievi effettuati da Roma (ladrona) per alimentare in modo assistenzialistico le istanze parassitarie del Sud e dei ceti improduttivi (Rosati 2003). Si tratta , quindi, di una concezione molto lontana da quella originaria presa in analisi da Gangemi (2005) che identifica ed evidenzia il senso antropologico del termine, diverso da quello istituzionale. In questa visione il federalismo è sia democrazia deliberativa, essendo orientato alle pratiche della cooperazione, negoziazione, partecipazione e mutua assistenza, sia struttura per partecipare, (liberare per federare) essendo diretto alla costruzione delle condizioni che consentono lo sviluppo politico e lo sviluppo locale. La svolta federalistica tanto agognata in questa fase storica di riforma sembra essere, al contrario, basata su una visione separatista e conflittuale, di accentuazione delle diversità più che di esaltazione delle specificità, e che fa leva sull’egoismo derivante dalle incertezze e dal senso di smarrimento tipici delle società post- industriali. In questa concezione è, cioè, enfatizzato il dualismo economico- territoriale che viene, peraltro, esteso al piano socio-culturale: il Nord come terra del liberismo, dell’efficienza, del mercato, della produttività, dell’innovazione; il
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Sud come terra dello statalismo, dell’assistenzialismo, del clientelismo, della corruzione e dell’inefficienza - dalla quale occorre separarsi per evitare di compromettere lo stesso processo di sviluppo produttivo del Nord. Proprio in contrapposizione alla prassi dei trasferimenti di risorse in favore del Meridione (volte al suo sviluppo) da parte dello Stato (che avrebbero non solo aumentato l’assistenzialismo non riuscendo a innescare uno sviluppo autonomo, ma persino penalizzato le iniziative autonome e prodotto fenomeni di corruzione nonché un peggioramento dei criteri di selezione della classe politica e imprenditoriale), il ricorso al federalismo non si inserisce, quindi, in un progetto finalizzato al rispetto delle specificità e al governo delle differenze, in grado di coniugare l’unità del paese con le diversità delle strutture regionali, la governabilità con l’autonomia; ma è finalizzato alla rottura del modello centralista dello Stato italiano, considerato inefficiente e corrotto, e all’immediata fine di qualsiasi trasferimento alle Regioni meridionali.
Se la richiesta di federalismo fiscale assume una valenza punitiva nei confronti del Sud, allora occorre chiedersi quale sarà l’impatto del federalismo sul welfare. Cambierà il processo con cui la solidarietà è inverata: verrà meno il metodo classico del prelievo, che sottrae tutti per dare a chi ha bisogno, e si rafforzerà un meccanismo di rapporti interregionali all’interno del quale le Regioni saranno interessate a che le risorse siano spese nel miglior modo possibile dai destinatari, i quali, a loro, volta, saranno sottoposti ad un controllo da parte degli erogatori eliminando forme di assistenzialismo. Figure istituzionali, come la devolution, legittimeranno la rottura dei sistemi nazionali di protezione sociale: l’arresto delle politiche redistributive, assieme alla riduzione dei prelievi fiscali, mirerà a creare protezioni separate, con protezioni più ricche nelle zone più dotate e protezioni più povere in quelle meno dotate (Rosati 2003).
Il dibattito sul federalismo è ancora aperto, e molti sono gli interrogativi che suscita. Senza meccanismi di equilibrio e nelle sue storture, la devolution sembra essere pericolosa: emergerà come ogni Regione debba fare quel che può e chi non può si arrangi, sconquassando in tal modo l’indivisibilità della cittadinanza. Ecco perché resta da riflettere e da discutere ancora sulle conseguenze politiche e sociali (e anche culturali) di una tale impostazione sul welfare.
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- La svolta shock della nuova riforma inglese
Il sistema socio-sanitario inglese sta nuovamente andando incontro a profondi e radicali cambiamenti nella propria architettura e nelle proprie filosofie di fondo.
Continuando a mantenere saldi i princìpi su cui è radicato, equità e gratuità nel punto di erogazione dei servizi e degli interventi ed accessibilità a tutti sulla base del bisogno, il White Paper “Equity and Excellence: Liberating the NHS” (DoH
2010) è il piano che incarna la riforma “Health and Social Care Act 20012”3 che mira a destrutturare l’attuale sistema per edificarne uno nuovo, uno che sia libero dall’eccessiva burocrazia e dal controllo politico, che rafforzi il livello territoriale attraverso la decentralizzazione del potere e che punti a migliorare la qualità dei servizi. Il miglioramento della qualità dei servizi e delle prestazioni è realizzata attraverso il coinvolgimento del paziente, che viene messo al centro dei processi e delle pratiche organizzative, attraverso un nuovo ruolo, più incisivo, delle autorità locali e introducendo meccanismi tipici del mercato (competizione e contenimento dei costi).
Questa strategia di rinnovamento introduce dei cambiamenti in quattro aree:
Uno degli aspetti più importanti della riforma è costituito dall’introduzione dei
Clinical Commissioning Groups (CCGs) che, basati su i GP Local Consortia
assumeranno funzioni di committenza e finanziamento dei servizi, in precedenza svolte dai Primary Care Trust che la riforma abolisce.
3 Per i punti cardini della riforma: https://www.gov.uk/government/publications/health-and-social-
care-act-2012-fact-sheets
1. cambiamenti nel sistema di committenza 2. cambiamenti nel sistema di erogazione
3. cambiamenti negli obiettivi della salute pubblica
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Figura 1. Who plans and buys treatments for patients. Fonte: http://www.bbc.co.uk/news/health-
19674838
Saranno, quindi, i CCGs che contratteranno con i provider, pubblici e privati, prestazioni, volumi di attività e tariffe per l’erogazione dei servizi, disponendo dell’60% delle risorse del NHS. Questa modifica ha al suo centro la fiducia che lega i medici ed i professionisti del settore con i cittadini/beneficiari, che si rifletterà nella doppia responsabilità di gestione della cura e gestione delle risorse. In tutto questo, la riforma àncora questo nuovo ruolo di committenza ai princìpi ed alle pratiche della collaborazione inter-professionale: medici, infermieri, professionisti del settore sanitario ed operatori sociali avranno un ruolo vitale nello sviluppo dei servizi e nel miglioramento degli outcome di cura.
Il secondo punto riguarda dei cambiamenti strutturali ed organizzativi nei soggetti che si occupano dell’erogazione. La riforma stabilisce che tutti gli NHS
Trusts dovranno diventare, entro il 2014, delle Foundation Trusts. Questa forma
legale ed organizzativa era già stata introdotta, qualche anno prima, per avviare processi decisionali decentrati, che passassero, cioè, dal governo centrale alle comunità e alle organizzazioni locali. Le Foundation Trusts sono corporazioni
not-for-profit che erogano servizi e interventi coerentemente con i princìpi alla
base del sistema socio-sanitario (gratuità delle prestazioni sulla base del bisogno). Nella riforma sono un obiettivo specifico perché rispetto alle forme precedenti:
non sono dirette dal governo centrale ed hanno più libertà di scelta rispetto alle strategie di intervento e ai servizi che gestiscono
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possono re-investire il surplus che ottengono per il miglioramento dei servizi che offrono
sono responsabili localmente attraverso i propri membri e direttori. Da questo punto di vista, il radicamento di queste organizzazioni nella comunità determina un elevato grado di sensibilità per i bisogni locali della popolazione e la prontezza a dare risposte efficaci.
I cambiamenti che riguardano gli obiettivi della salute pubblica sono più direttamente riferiti alla promozione dello stato di benessere e prevenzione della condizione di malattia, per i quali saranno responsabili le autorità locali, in un quadro dove incisiva dovrà essere la riduzione delle diseguaglianze in tema di salute, intesa come lavoro finalizzato al restringimento del divario tra gruppi svantaggiati, comunità ed il resto del paese.
Infine, la riforma introduce cambiamenti nella formazione per lo sviluppo professionale degli operatori del settore. In particolare sono previsti due assi centrali al nuovo sistema: l’Health Education England ed il Local Education and
Training Boards. Il primo offrirà, a livello nazionale, leadership e supervisione
sui temi della programmazione e dello sviluppo degli operatori sanitari e allocherà risorse per la formazione del personale. L’obiettivo è quello di un’istruzione ed una formazione di alta qualità, sensibile al cambiamento ed ai bisogni dei pazienti e della comunità. Il secondo sarà veicolo attraverso cui erogatori e professionisti lavoreranno con l’Health Education England per migliorare la qualità dei risultati della formazione in modo che il servizio sia plasmato in funzione dei pazienti e risponda più efficacemente ai loro bisogni (DoH 2012).
In questo mutato quadro di ruoli e competenze, più direttamente riferiti alla committenza e all’erogazione dei servizi, si inseriscono altri cambiamenti che vanno ulteriormente a modificare la struttura generale del nuovo NHS.
La costituzione di NHS Commissioning Board è una novità importante che alleggerisce e coadiuva il ruolo dei CCGs: in particolare, sarà parte integrante di un sistema più ampio per la committenza dei servizi socio-sanitari sia assistendo i
CCGs nel loro ruolo ed attività sia garantendo un’architettura complessiva coesa, coordinata ed efficiente. La relazione tra il Commissioning Board ed i CCGs sarà critica per il successo del nuovo sistema: questi dovranno lavorare assieme a
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livello locale, incoraggiando il coinvolgimento di gruppi di pazienti, professionisti del settore, erogatori di servizi, autorità locali ed altre organizzazioni (NHS).
Figura 2. How the NHS is run. Fonte: http://www.bbc.co.uk/news/health-19674838
Un’altra novità è anche l’introduzione del Public Health England, che è una nuova agenzia responsabile della direzione e della gestione di un’erogazione integrata dei servizi. È articolata in diversi centri presenti in tutti il territorio dell’Inghilterra, ognuno dei quali offre leadership e sostegno nelle tre aree della salute pubblica: protezione, miglioramento e cura, lavorando con le autorità locali e NHS (DoH 2012).
Dal punto di vista degli organi di consultazione, la riforma ha previsto anche la costituzione di un organismo rappresentativo dei cittadini, l’Health Watch che, sostituendo i Local Involvment Networks (LINks), sarà presente all’interno di ogni autorità locale come punto di contatto tra individui, comunità ed organizzazioni di volontariato nell’affrontare questioni o problemi in campo socio-sanitario (BMA
2013). In particolate, questo organo interagirà anche con altre agenzie per la valutazione dei servizi, rendendo trasparenti modalità, tempi e metodi dell’intero processo di cura (Roland 2010; Ham 2010; Walshe 2010).
Allo stesso modo, gli Health and Wellbeing boards costituiscono nuovi corpi all’interno di ciascuna autorità locale, col compito di promuovere l’integrazione tra servizi o di identificare strategie e modalità per soddisfare i bisogni della popolazione. Questi includono rappresentanti delle autorità locali, dell’NHS e dei
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CCGs, i quali, in particolare, dovranno collaborare con Health and Wellbeing boards
per sviluppare i propri piani di committenza (BMA 2013).
Il ruolo delle autorità locali è stato rafforzato. Oggi queste hanno nuove responsabilità e funzioni in materia di sanità pubblica, e conseguentemente nuove forme di finanziamento, assumendo un ruolo strategico nel miglioramento della salute e nelle strategie di riduzione delle diseguaglianze. I comuni, quindi, assumeranno direttamente il budget per la salute pubblica, saranno sostenuti dalla
Public Health England e parteciperanno alla programmazione socio-sanitaria.
Infine, proprio perché è stato introdotto il meccanismo della competizione all’interno di quello che può essere pensato come un mercato dei servizi socio- sanitari, è stata prevista la creazione di un regolatore economico, Monitor, il cui scopo è quello di proteggere e promuovere gli interessi dei pazienti assicurando che il settore sanitario lavori per i loro benefici (Gov UK 2013). Il suo ruolo è, quindi, quello di garantire un ambiente paritario e positivamente competitivo per agenzie private e Terzo Settore per competere per l’erogazione dei servizi.
Figura 3. Overall structure of the new NHS in England. Fonte: http://www.bbc.co.uk/news/health-
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La sanità territoriale sarà, dunque, il nuovo pilastro della sanità inglese, entro un quadro in cui sia gli operatori sanitari che i pazienti avranno un ampio margine di potere e libertà di scelta: i General Practitioner diventeranno gli interlocutori più forti per garantire i diritti del cittadino-utente, individuandone i bisogni e coordinando tutto il percorso terapeutico; disporranno allo scopo dei budget di cura misurandosi, comunque, con le conseguenze degli errori commessi nei confronti dei pazienti (che sono anche i contribuenti che li finanziano); il ruolo dei pazienti costituisce la parte più significativa del rivoluzionario processo di cambiamento: con la frase-slogan “nothing about me without me” la riforma si impegna ad attuare il principio della libertà di scelta dei pazienti del luogo di cura e della condivisione delle scelte assistenziali.
Sebbene sia in continua trasformazione, diverse sono le critiche avanzate nei confronti della riforma. L’associazione dei Medici Britannici, per esempio, nonostante abbia espresso una valutazione positiva sulla volontà del nuovo governo di dare più spazio ai medici nella programmazione e nella gestione dell’assistenza sanitaria, rileva come ingiusta sia una riforma basata su “tagli arbitrari e politiche sconsiderate” e, soprattutto, rischiosa nello stimolare la competizione tra i medici a discapito della collaborazione tra essi nell’interesse del paziente (BMA 2010; Campbell 2010). In particolare, sulla soppressione dei
Primary Care Trusts e sulla formazione dei GP Commissioning Consortia si
concentrano alcune valutazioni negative (Whitehead, Hanratty, Popay 2010) pubblicate sulla rivista The Lancet, nella quale sono identificate almeno due tipi di pericoli. Il primo, minerebbe la possibilità di programmare un’adeguata distribuzione geografica dei servizi per le comunità e le popolazioni locali. Questo rischio è, ovviamente, connesso all’intenzione di far venir meno i Primary Care
Trusts che, come detto, sono responsabili per l’intera popolazione in una definita
area geografica, e non solo per i pazienti che sono iscritti in un determinato servizio. Tale responsabilità, basata sulla popolazione, consente una valutazione a lungo termine dei bisogni, la pianificazione e la committenza dei servizi per rispondere a quei bisogni e la rendicontazione pubblica dell’uso delle risorse per