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La colpevolezza dell’ente è strutturata in chiave di “colpa di organizzazione” 101, una sorta di colpa preventiva derivante dall’avere consentito o agevolato le condizioni per la

95

Relazione al decreto, § 3.2 96

Cass. pen., sez. II, 20 dicembre 2005, Jolly Mediterraneo, in Guida dir., 2006,15,59. 97

Sul punto si rinvia al Capitolo III. 98

D’ANGELO N., Responsabilità penale di enti e persone giuridiche, op. cit., 158. 99

Relazione al d.lgs., ibidem. 100

Come affermato da DI GIOVINE O., Lineamenti, op. cit., 71. 101

Sulla possibilità teorica di articolare la responsabilità soggettiva dell’ente secondo una scala di graduazioni, DI GIOVINE O., Lineamenti, op. cit., 75 e ss.

30 successiva commissione di reati dello stesso tipo di quello realizzato 102. Come si è già detto, il legislatore aderisce ad una concezione normativa della colpevolezza, consentendo, per un verso, di muovere un giudizio di rimproverabilità all’ente, e per altro verso, ad adattare la nuova responsabilità degli enti collettivi ai principi costituzionali in materia penale.

La colpa di organizzazione viene diversamente valorizzata a seconda che si tratti di reati commessi dai soggetti apicali o da soggetti subalterni. Nel primo caso, la complessa fattispecie dell’art. 6 impone a carico dell’ente collettivo, e non dell’accusa 103, di fornire la prova di una serie di requisiti, cumulativamente rilevanti, al fine di sottrarsi alla sanzione. In particolare, l’ente non è responsabile se prova 104 che l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, Modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; che il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei Modelli, di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; che le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i Modelli di organizzazione e di gestione; che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'Organismo di Vigilanza.

Ai fini dell’esonero della responsabilità è, dunque, necessario che l’ente si sia dotato, prima della commissione del fatto, dei compliance programs 105, ispirati alla tradizione statunitense 106. È inoltre fondamentale che, oltre all’adozione del Modello

102

PIERGALLINI C. - PALIERO C.E., La colpa di organizzazione, in Resp. amm. soc. enti, 2006,169. 103

Cass. Sez. VI, 9 luglio – 17 settembre 2009 n. 36083, Mussoni, in Ced Cass., rv. 244256, «Per non

rispondere per quanto ha commesso il suo rappresentante, l’ente deve provare di aver adottato le misure necessarie ad impedire la commissione di reati del tipo di quello realizzato. Originano da questi assunti le inversioni dell’onere della prova e le previsioni probatorie di cui al citato d.lgs., art. 6 e, specificamente, la necessità che l’ente fornisca innanzitutto la prova che l’organo dirigente abbia adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, Modelli di organizzazione e di gestione idonei a tal fine». In senso contrario: Cass. Sez. VI, 18 febbraio – 16 luglio 2010 n. 27735, Brill

Rover, in Cass. pen., 2011, 1876, «Nessuna inversione dell’onere della prova è, pertanto, ravvisabile

nella disciplina che regola la responsabilità da reato dell’ente, gravando comunque sull’accusa l’onere di dimostrare la commissione del reato da parte di persona che rivesta una delle qualità di cui all’art. 5 d.lgs. n. 231 e la carente regolamentazione interna dell’ente. Quest’ultimo ha ampia facoltà di fornire prova liberatoria».

104

Ha parlato di probatio diabolica: BERNASCONI A. – PRESUTTI A., Manuale della responsabilità

degli enti, op. cit., 171.

105

Per approfondire le analogie e le differenze tra disciplina italiana e disciplina americana: DI GIOVINE O., Lineamenti, cit., 85 ss.

106

FLICK G. M., Le prospettive di modifica del d.lgs. n. 231/2001, in materia di responsabilità

amministrativa degli enti: un rimedio peggiore del male?, in Cass. pen., fasc.11, 2010, 4032 e ss.,

l’autore sottolinea che «il meccanismo è andato oltre la stessa esperienza statunitense dei c.d. compliance programs – che pure servì da esempio per la sua costruzione – stante il riconoscimento all'adozione dei

31 organizzativo di gestione e controllo, venga altresì verificata la sua efficace attuazione da parte di un Organismo di Vigilanza interno alla società.

Per quanto riguarda l’elusione fraudolenta, questa «non può consistere nella mera violazione delle prescrizioni contenute nel Modello», quanto piuttosto «in una condotta ingannevole, falsificatrice, obliqua, subdola» 107, idonea a ricomprende anche l’ipotesi del c.d. “amministratore infedele”, cioè colui che agisce contro l’interesse dell’ente al suo corretto funzionamento. Tuttavia, l’ente non potrà giovarsi dei profitti economici che abbia comunque tratto dall’operato dell’amministratore infedele: l’ultimo comma dell’art. 6 prevede infatti, quand’anche l’ente abbia dimostrato l’estraneità al reato, la confisca del profitto tratto da quest’ultimo, anche nella forma per equivalente 108. Gli apicali, per le alte posizioni rivestite nella compagine dell’ente, esprimono e rappresentano la “politica d’impresa” 109, ed è stato ritenuto che, per ciò solo, in presenza dell’agire nell’interesse o a vantaggio dell’ente, sia soddisfatto il requisito soggettivo di responsabilità. Nel caso in cui l’illecito penale sia stato commesso da soggetti in posizione apicale la responsabilità dell’ente sarebbe basata esclusivamente sul principio di immedesimazione 110: la volontà delittuosa di quest’ultimi verrebbe a coincidere con il processo decisionale dell’ente stesso 111. La colpevolezza delineata Modelli della capacità di escludere la responsabilità dell'ente, e non soltanto di attenuarla (sia pur considerevolmente), come in quell'ordinamento».

107

Cass. pen., Sez. V, 18 dicembre 2013, n. 4677, Impregilo, in Dir. pen. e proc., 2014, 1429, in cui si afferma che «la condotta, con la quale gli organi apicali di una società, per commettere uno o più reati,

violano le prescrizioni del Modello organizzativo, predisposto per la prevenzione dei reati rilevanti per la responsabilità amministrativa delle società, deve essere fraudolenta e consistere non nella mera violazione delle predette prescrizioni, ma in un’attività ingannevole, falsificatrice, obliqua, subdola per essere idonea ad esentare la società dalla responsabilità amministrativa imputatale» . La Corte ha inoltre

aggiunto che «non sussiste elusione fraudolenta del Modello organizzativo – presupposto necessario per

l'applicazione dell'esimente – se quest'ultimo non contempla tutte le procedure comportamentali necessarie alla prevenzione del reato contestato».

108

«In questo specifico caso, […] la confisca assume […] semplicemente la fisionomia di uno strumento

volto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato-presupposto, i cui effetti, appunto economici, sono andati a vantaggio dell’ente collettivo, che finirebbe, in caso contrario, per conseguire (sia pure inconsapevolmente) un profitto geneticamente illecito», Cass. Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Cass. pen., 2008, 4544 .

109

DE MAGLIE V., L’etica e il mercato, op. cit., 356 e ss., la colpevolezza che deriva dalla “politica d’impresa” viene collocata dall’autore al rango di massima intensità rispetto alle altre forme che in concreto può assumere la colpevolezza.

110

PIERGALLINI C., Paradigmatica dell’autocontrollo penale (dalla funzione alla struttura del

“Modello organizzativo” ex d.lgs. n. 231/2001, in Cass. pen., 2013, 842 e ss., secondo cui «la responsabilità dell'ente non è colposa (per difetto di organizzazione, cioè), ma autenticamente dolosa, perché la persona fisica, a causa della sua collocazione apicale, costituisce la mano visibile del vertice aziendale, il soggetto, cioè, che incarna all'esterno la strategia messa in atto dagli apici dell'azienda».

111

GIUNTA F., Attività bancaria e responsabilità ex crimine degli enti collettivi, in Riv. trim. dir. pen.

32 dall’art. 6 sarebbe, dunque, «ad un tempo colpevolezza del soggetto apicale autore del reato, e dell’ente che egli impersona» 112.

In coerenza con il principio di immedesimazione, alcuni autori ritengono che l’art. 6 introduca un fatto impeditivo qualificabile come scusante 113, oppure come una causa di non punibilità 114, i cui oneri probatori vengono posti a carico dell’ente. Una soluzione interpretativa che trova risconto nel complesso delle disposizioni del sistema, e in particolare nell’ultimo comma dell’art. 6, ove viene disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche in forma per equivalente, a conferma che la fattispecie di esonero ivi prevista incida sulla sola sanzione e non sulla responsabilità 115 .

A diversa conclusione pervengono, invece, coloro che ravvisano nell’art. 6 un temperamento al rigido principio di immedesimazione: la valorizzazione delle regole di autoregolazione contenute nei Modelli avverrebbe in chiave esimente, prevedendo un più rigoroso regime processuale, tramite il meccanismo dell’inversione dell’onere probatorio 116. La società, dunque, deve decidere se rinunciare all’osservanza delle cautele contenute nei Modelli, con conseguente esposizione al rigido principio di immedesimazione, o adottare tutte quelle regole organizzative idonee a prevenire la commissione di reati da parte dei soggetti apicali 117.

Risulta essere più chiaramente costruito il criterio d’imputazione soggettivo allorché il reato sia stato commesso da un soggetto sottoposto, ipotesi suscettibile di determinare un giudizio di minore riprovazione nei confronti dell’ente collettivo. Laddove il reato sia stato commesso da un apicale, infatti, l’impresa si “immedesima” nel reato stesso, mentre la commissione dell’illecito da parte di un dipendente potrebbe essere

112

Come rilevato da: PULITANÒ D., La responsabilità, op. cit., 4151. 113

DE VERO G., Struttura e natura giuridica dell’illecito, op. cit., 1136,1137; l’autore rileva come le due modalità d’imputazione per apicali e subordinati prevedano una diversa distribuzione dell’onere della prova: nel caso dell’art. 6, l’autore ritiene che la prova dell’adeguata vigilanza si atteggia a vera e propria scusante, rispetto ad una fattispecie di responsabilità già di per sé integrata sulla base del reato commesso dall’apice nell’interesse della società, mentre nel secondo caso (art. 7) l’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza costituisce un elemento positivo essenziale dell’illecito dell’ente collettivo, di cui deve necessariamente fornire prova l’accusa.

114

PULITANÒ D., La responsabilità, op. cit., ritiene che l’art. 6 d.lgs. n. 231 del 2001 sia una causa di esclusione della punibilità dell’ente, limitata alle sanzioni punitive diverse dalla confisca.

115

GUERRINI R., La responsabilità, op. cit., 209; PULITANÒ D., ibidem, 4151. 116

Cosi ad es. ROMANO M., La responsabilità amministrativa degli enti, op. cit., 409, ritiene che non sia sufficiente il rapporto di immedesimazione organica a fondare l’imputazione subiettiva per fatto dei vertici.

117

Infatti «ancorare il rimprovero dell’ente alla mancata adozione ovvero al mancato rispetto di

standard doverosi, significa motivarlo all’osservanza degli stessi e quindi a prevenire la commissione di reati da parte delle persone fisiche che vi fanno capo», Relazione al decreto legislativo, §3.3.

33 espressione di un isolato comportamento criminale di violazione delle regole di prevenzione del reato. Proprio per tale ragione, il legislatore decide di valutare diversamente l’idoneità dei sistemi di prevenzione rispetto a quelli delineati con riferimento ai vertici dell’impresa 118.

L’art. 7 pone a carico dell’accusa l’onere di provare la sussistenza della colpa di organizzazione, che si pone come elemento costitutivo della responsabilità: l’ente viene, infatti, ritenuto responsabile se la realizzazione del fatto è stata resa possibile dall’inosservanza di obblighi di direzione e controllo.

La commissione dell’illecito è, quindi, sintomo dell’esistenza di una patologia nei processi di gestione interna, di un difetto di organizzazione 119, che spesso si rinviene nelle moderne organizzazioni complesse, caratterizzate da un’articolazione di competenze che fanno capo ad una pluralità di centri decisionali 120, ove ardua è l’individuazione della persona fisica, la cui responsabilità possa essere traslata sull’impresa 121. La struttura della fattispecie colposa delineata dall’art. 7, come ha suggerito uno degli artefici della riforma 122, può essere riassunta secondo tre scansioni: a) individuazione del dovere di diligenza generale, costituito dall’osservanza degli obblighi di direzione e vigilanza, b) collegamento della responsabilità dell’ente alla realizzazione di un rischio tipico costituito dalla commissione dei reati specificamente indicati nella “parte speciale” dello Statuto, c) specificazione delle regole di diligenza in un concreto Modello organizzativo adottato dall’ente al fine di prevenire la commissione di reati della specie di quello verificatosi.

Il legislatore fonda la responsabilità su una generale e strutturale colpa di organizzazione, che si atteggia nell’assenza o nella violazione dei protocolli comportamentali doverosi, sottoposta ad un onus probandi che grava sulla pubblica

118

SEVERINO P., "Omogeneizzazione" delle regole e prevenzione dei reati: un cammino auspicato e

possibile, in Corporate criminal liability and compliance programs. First colloquium, Jovene Editore, 431

e ss, l’autrice sottolinea come sia importantissima la differenza tra i criteri d’attribuzione della responsabilità dell’ente stabiliti dall’art. 6 e dall’art. 7 d.lgs. n. 231 del 2001, «dal momento che

determina il ricorso ad livello di regole profondamente diverse a seconda che il reato sia stato commesso dal management o meno».

119

DE MAGLIE C., L’etica e il mercato, op. cit., 365. 120

Relazione al decreto, § 3.5. 121

Sulla struttura della persona giuridica moderna, caratterizzata da una polverizzazione della responsabilità e da una frantumazione delle competenze v. DE MAGLIE C., ibidem, op. cit., 352 e ss. 122

PALIERO C.E., Il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi ”societas delinquere (et puniri) potest”, in Corr. giur, 2001, 845 e ss.

34 accusa, costituendo l’inosservanza dell’obbligo di direzione e vigilanza «elemento positivo essenziale dell’illecito dell’ente collettivo» 123.

Cuore della disciplina delineata dall’art. 7 è, dunque, l’adozione ed efficace attuazione dei Modelli organizzativi: il secondo comma prevede, infatti, che è in ogni caso esclusa l'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l'ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un Modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi. In tale fattispecie, i Modelli organizzativi svolgono una chiara funzione di «regole cautelari di natura procedimentale» 124, punto di riferimento per lo svolgimento dell’attività di vigilanza all’interno della societas, in modo concretamente idoneo ad evitare una culpa in vigilando, e connotando altresì il Modello di colpevolezza di una spiccata funzione preventiva.

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