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La tesi che ravvisa l’interesse dell’ente se la condotta colposa è realizzata da

3. Le soluzioni prospettate in dottrina

3.3. La tesi che ravvisa l’interesse dell’ente se la condotta colposa è realizzata da

Un’altra tesi, non troppo dissimile dalla precedente, afferma che l’interesse dell’ente sia configurabile tutte quelle volte in cui si possa ritenere che l’autore individuale sia il destinatario della norma violata, proprio in virtù della posizione da questi ricoperta nella struttura organizzativa della societas.

Con riferimento ai reati colposi, la norma violata consisterà principalmente in una regola cautelare che concerne direttamente lo svolgimento dell’attività di impresa, svolta da soggetti che rivestono una posizione qualificata nell’ambito dell’organizzazione aziendale: pertanto, «il reato che su tale violazione si fonda deve ritenersi commesso dal soggetto qualificato necessariamente nell’interesse dell’ente e quindi non a titolo personale, poiché la norma è rivolta a tale soggetto proprio in quanto soggetto rivestito di una qualifica all’interno dell’ente» 141.

Una tale interpretazione discende dalla lettura congiunta dei comma 1 e 2 dell’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001. Infatti, tale disposizione al comma 1 circoscrive la responsabilità della societas nei soli casi in cui il reato presupposto sia commesso nell’interesse o vantaggio dell’ente da parte di un soggetto qualificato. Al comma 2, invece, il legislatore ha voluto escludere la responsabilità dell’ente quando il reato presupposto è stato commesso dal soggetto che, pur rivestendo una posizione qualificata nell’ambito

criterio (art. 121, comma 1, lett. b), ulteriore e diverso da quello dell’agire “per conto o comunque nell’interesse specifico” della persona giuridica, che è riservato alla categoria dei delitti dolosi (art. 121, comma 1, lett. a)».

140

AMARELLI G., I criteri oggettivi, op. cit., 107; PICILLO A., L’infortunio sul lavoro, op. cit., 12. 141

EPIDENDIO T. E. – PIFFER G., Criteri d’imputazione, op. cit., 19. Nello stesso senso v. PICILLO A., L’infortunio sul lavoro, op. cit., 18, il quale osserva che «Ai fini dell’’imputazione rileva, infatti, la

posizione rivestita dall’agente nell’ambito dell’organizzazione: la mera circostanza che il fatto (anche colposo) sia commesso da una persona fisica qualificata, nello svolgimento delle attività istituzionali dell’ente di appartenenza, è condizione necessaria e sufficiente ai fini dell’operatività del criterio dell’interesse».

176 della struttura organizzativa, abbia però agito nell’interesse proprio od esclusivo di terzi

142

.

Tale interpretazione risulta, inoltre, coerente con l’intentio legis dichiarata nella Relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 231 del 2001. Nel chiarire la ratio dei criteri oggettivi d’ascrizione della responsabilità dell’ente, il legislatore dopo aver precisato che «la teoria della c.d. immedesimazione organica consente di superare le critiche che un tempo ruotavano attorno alla violazione del principio di personalità della responsabilità penale, ancora nella sua accezione "minima" di divieto di responsabilità per fatto altrui» 143, afferma che la formula “interesse o vantaggio” costituisce appunto l’espressione normativa del rapporto di immedesimazione organica 144.

Secondo i sostenitori di tale tesi, il reato potrà, quindi, dirsi commesso nell’interesse dell’ente se, oltre ad essere coerente con gli obiettivi istituzionali della societas, è stato realizzato nei limiti dell’esercizio del mandato conferito dall’impresa stessa 145. Una volta accertata la correlazione tra la regola cautelare violata e l’attività dell’ente, confermata dall’esistenza di una posizione di garanzia, sarà difficile ritenere che l’agente, il quale ha violato colposamente la cautela, abbia agito nell’interesse esclusivo o di un terzo. Infatti, l’autore individuale, o meglio il garante, ha agito all’interno del mandato ricevuto dall’ente, tenendo però una condotta difforme da quella

142

ARENA M. – CASSANO G., La giurisprudenza sul d.lg. n. 231/2001. Reati e Modelli organizzativi.

Con 125 risposte a quesiti, Neldiritto Editore, 2010, 59.

143

Relazione al d.lgs. n. 231 del 2001, § 3.2. 144

In questo senso v. RIVERDITI M., “Interesse o vantaggio” dell’ente e reati (colposi) in materia di

sicurezza sul lavoro: cronistoria e prospettive di una difficile convivenza, in Archivio penale, 2011, fasc.

2, anno LXIII, 402. 145

In questo senso v. RIVERDITI M., “Interesse o vantaggio”, op. cit., 402 e ss., l’autore afferma che «ciò non significa richiedere che tra i “compiti” assegnati dalla societas ai propri “esponenti” sia

inclusa la realizzazione di attività penalmente rilevanti. Più realisticamente, significa richiedere che la condotta oggetto di rimprovero sia stata posta in essere dal suo autore (persona fisica) nell’ambito del perseguimento dei compiti “istituzionalmente” affidatigli dall’ente». Sul punto v. FALZEA A., La responsabilità, op. cit., 300, il quale aveva evidenziato che «il problema dei limiti statutari di imputazione alla persona giuridica degli atti dei suoi amministratori non può confondersi col diverso problema della imputazione alla persona giuridica degli atti illeciti che commettano gli amministratori. La liceità dello scopo va apprezzata sul piano astratto delle finalità statutarie della persona giuridica mentre la illiceità del comportamento degli amministratori va apprezzato sul piano concreto dei singoli atti di realizzazione dello scopo: uno scopo astrattamente lecito può realizzarsi mediante atti concretamente illeciti. Uno scopo statutario illecito esclude la personalità giuridica, la concreta finalità illecita di un comportamento di attuazione dello scopo societario lecito è perfettamente compatibile con la personalità giuridica».

177 normativamente imposta, consistente in una violazione di una regola cautelare di cui era destinatario per conto dell’ente stesso 146.

Si dovrà, invece, escludere la responsabilità dell’ente, mutuando i principi consolidatesi nella parallela tematica della responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni verificatesi anche a causa della condotta colposa degli stessi lavoratori infortunati 147, nei casi in cui il soggetto qualificato abbia tenuto comportamenti difformi dalle prescrizioni contenute nel Modello organizzativo adottato dall’ente ovvero comportamenti abnormi rispetto alle finalità perseguite dalla societas, tanto da risultare ontologicamente estranee alla posizione di garanzia ricoperta 148.

Tuttavia, è stato osservato che anche in questo caso si verrebbe a configurare un altro criterio oggettivo d’imputazione, notevolmente differente dal criterio normativamente tipizzato 149.

146

RIVERDITI M., “Interesse o vantaggio”, op. cit., 403 e ss.; DI GERONIMO P., Il criterio

d’imputazione oggettiva del reato colposo all’ente: prime applicazioni giurisprudenziali e valorizzazione della teoria organica, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2010, fasc. 3, 168,

secondo cui il criterio d’imputazione oggettivo deve essere necessariamente valutato «spostando

l’attenzione dai concetti di “interesse o vantaggio” al dato obiettivo costituito dalla riconducibilità dell’azione posta in essere dalla persona fisica (in posizione apicale o di sottoposto) alla sfera di operatività dell’ente per conto della quale la condotta viene realizzata».

147

Un orientamento da ultimo confermato da Cass. pen., sez. IV, 11/01/2011, n. 2606, in Guida al diritto 2011, 13, 67, la cui massima afferma che « l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare

alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, potendosi escludere l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento: dovendosi, al riguardo, considerare abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; con la precisazione, però, che non può avere queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli».

148

RIVERDITI M., “Interesse o vantaggio”, op. cit., 404, l’autore sottolinea che tale conclusione «parrebbe avere il pregio di rappresentare un ragionevole punto d’incontro tra la finalità selettiva

perseguita dal criterio oggettivo in esame e la finalità preventiva connaturata al riconoscimento del valore esimente dell’adozione di Modelli organizzativi idonei ed efficaci per il contenimento del rischio – reato connaturato all’attività, lato sensu, d’impresa perseguita dall’ente, giacché, una volta circoscritto l’ambito d’attenzione alle sole condotte oggettivamente riferibili all’agire dell’ente (nel senso chiarito), rimarrebbero escluse dal novero di quelle ascrivibili all’ente solo quelle rispetto alle quali si potrebbe predicare la “imprevedibilità” al momento della costruzione del Modello organizzativo»; PICILLO A., L’infortunio sul lavoro, op. cit., 22, l’autore, pur riconoscendo che l’interesse sia configurabile nei casi in

cui il reato sia stato realizzato da un soggetto qualificato, afferma che tale requisito è «non appare

sufficiente, perché, in materia di reati colposi, va, a nostro avviso, valorizzato soprattutto il criterio del vantaggio, particolarmente in rapporto alle spese per evitare infortuni sul lavoro, perché in genere costituisce il “movente” reale dell’atteggiamento antidoveroso dell’ente e, quindi, legittima l’ascrizione a quest’ultimo anche dei reati colposi previsti dal decreto legislativo 231».

149

In questo senso v. DE SIMONE G., La responsabilità da reato, op. cit., 46, l’autore osserva che si tratta di un criterio che «altre legislazioni hanno in effetti previsto (§ 30 OWiG tedesco federale e § 3,

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