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2. I criteri d’imputazione dell’interesse o vantaggio: la problematica compatibilità con

2.2. La tesi dualistica

Un secondo orientamento euristico privilegia un interpretazione dualistica dei criteri dell’interesse e vantaggio, presupposti alternativi, dotati di una propria autonomia e di

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In questo senso v. BASSI A. – EPIDENDIO T. E., Enti e responsabilità da reato, op. cit., 164 e ss., secondo cui l’art. 25 ter d.lgs. n. 231 del 2001 è una norma speciale, in quanto riferita ad un determinato tipo di illecito (quello dipendente da reato societario) e inoltre la norma, a differenza dell’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001, non risulta collocata nella sezione I del capo I del decreto legislativo, dedicato ai principi generali e ai criteri di attribuzione della responsabilità “amministrativa”. Gli autori ritengono, inoltre, che la mancata indicazione del requisito del vantaggio abbia un impatto minimo sulla norma: innanzitutto, si tratta di illeciti (quelli dipendenti da reato societario) per cui non è prevista la sanzione interdittiva, una circostanza che sembra in linea con quanto stabilito in via generale dall’art. 12, comma 1 d.lgs. n. 231 del 2001, che ritiene inapplicabile la sanzione interdittiva nei casi in cui l’ente non abbia ricavato vantaggio o abbia ricavato un vantaggio minimo; in secondo luogo, il vantaggio avrebbe comunque rilevanza perché, in caso di sua assenza o di un vantaggio minimo, avrà comunque l’effetto di ridurre la sanzione pecuniaria, secondo quanto stabilito dall’art. 12, comma 1 d.lgs. n. 231 del 2001; DI GIOVINE O.,

Lineamenti, op. cit., 73, secondo l’autrice la scelta di derogare alla regola dell’alternatività «è probabilmente dipesa dall’ossequio al dato della delega e forse anche dal fatto che nella gran parte di quelle fattispecie (ma non in tutte) è presente, quale elemento costitutivo, l’evento di danno per la società, il che esclude aprioristicamente la possibilità che il reato ridondi a vantaggio della stessa».

84

In questo senso v. COCCO G., L’illecito degli enti, op. cit., 90 e ss.; DE VERO G., La responsabilità

penale delle persone giuridiche, op. cit., 291; DE SIMONE G., La responsabilità, op. cit., 35.

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161 un rispettivo ambito applicativo 86. Tali parametri svolgerebbero ruoli differenti, valorizzando due distinti profili di accertamento del collegamento tra il reato commesso dal soggetto individuale e l’ente collettivo 87: l’interesse connota, infatti, la condotta delittuosa della persona fisica sotto un profilo soggettivo – finalistico, da apprezzarsi ex ante 88; viceversa, il vantaggio rinvia ad un apprezzamento oggettivo da valutare ex post, successivamente al verificarsi dell’evento – reato 89.

Sul piano letterale, tale ipotesi sembrerebbe confermata dal congiunzione disgiuntiva “o”, che sottolineerebbe, appunto, il carattere alternativo dei due criteri 90. D'altronde, che non si tratta di un'endiadi, è dimostrato dal fatto che quando ha voluto, il legislatore ha espressamente contemplato uno solo dei requisiti: l’art. 25 ter, comma 1 d.lgs. n. 231 del 2001, inserito dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, prevede per la responsabilità amministrativa da reati societari previsti dal codice civile il solo requisito dell’interesse dell’ente 91.

86

VIGNOLI F., Societas puniri non potest: profili critici di un’autonoma responsabilità dell’ente

collettivo, in Diritto penale e processo, 2004, 909, in cui si afferma che «Lo sforzo di ampliamento della responsabilità emerge con evidenza dal ricorso all’endiadi “ interesse e vantaggio”, termini che non costituiscono un’inutile ridondanza, ma vengono a designare concetti differenti».

87

DE MAGLIE C., L’etica e il mercato, op. cit., 332, in cui si sottolinea che «la prova dell’esistenza di

un collegamento rilevante tra individuo e persona giuridica consente […] di identificare l’organizzazione come assoluta protagonista di tutte le vicende che caratterizzano la vita sociale ed economica dell’impresa e quindi anche come fonte di rischio di reato».

88

Cass. pen., sez. V, 26/04/2012, n. 40380, Sensi, in Guida al diritto, 2012, 46, 94, in cui si afferma che «la nozione di interesse esprime la proiezione soggettiva dell'autore (non coincidente, peraltro, con

quella di "dolo specifico", profilo psicologico logicamente non imputabile all'ente), e rappresenta una connotazione accertabile con analisi "ex ante". È indefettibile onere del giudice motivare al riguardo puntualmente, vuoi perché l'interesse dell'ente condiziona l'addebito a carico del medesimo, vuoi perché, al contrario, l'assenza dell'interesse rappresenta un limite negativo della fattispecie».

89

BERNASCONI A. – PRESUTTI A., Manuale della responsabilità degli enti, op. cit., 62 e ss. 90

DI GIOVINE O., Lineamenti, op. cit., 71. In senso contrario v. DE VERO G., La responsabilità, op. cit., 161, secondo cui «la congiunzione “o”, che collega i due termini, non svolge una funzione

grammaticale radicalmente disgiuntiva; essa – da intendere come “ovvero” – esprime piuttosto una valenza specificativa, segnalando appunto che la nozione di “interesse”, di per sé declinabile “in senso marcatamente soggettivo”, deve invece assumere quella fisionomia oggettiva che è a sua volta insita nella nozione di “vantaggio”»; AMATO G., Finalità, applicazioni e prospettive della responsabilità amministrativa degli enti, in Cass. pen., fasc.1, 2007, 357, l’autore osserva che «è estremamente importante l'utilizzo della disgiuntiva "o". È evidente che trattasi di concetti giuridicamente diversi, potendosi e dovendosi distinguere un interesse dell'ente ad una locupletazione prefigurata, ma magari non realizzata, da un vantaggio obiettivamente conseguito in conseguenza dell'illecito. Come risulta evidente, anche alla luce dei lavori preparatori, a differenza del vantaggio, che va verificato ex post, l'interesse va apprezzato ex ante. Ne consegue l'inutilità di eventuali accertamenti tecnici tesi a dimostrare la antieconomicità rivelatasi a posteriori dell'operazione economica sottostante posta in essere "nell'interesse" dell'ente: è vero che potrebbe mancare il vantaggio, ma sarebbe sufficiente che la condotta sia stata posta in essere nell'interesse dell'ente, nella prospettiva del vantaggio che ne sarebbe potuto derivare».

91

CIPOLLA P., Il d.lg. n. 231 del 2001 nella prassi giurisprudenziale, a dieci anni dall’entrata in vigore, in Giur. merito, fasc.6, 2011, 1473.

162 Questa tesi sarebbe corroborata, poi, da un argomento storico: la lettura autonomistica dei due criteri si evince, infatti, nella Relazione di accompagnamento del d.lgs. n. 231 del 2001, nella parte in cui si afferma che «il richiamo all’interesse dell’ente caratterizza in senso marcatamente soggettivo la condotta delittuosa della persona fisica e […] “si accontenta” di una verifica ex ante», viceversa il vantaggio «può essere tratto dall’ente anche quando la persona fisica non abbia agito nel suo interesse» e, inoltre, «richiede sempre una verifica ex post» 92. Dall’analisi di tale disposizione emerge chiaramente l’intenzione del legislatore di considerare i due parametri come due concetti distinti e separati.

Anche un’interpretazione sistematica soccorre a favore della tesi dell’interpretazione disgiuntiva dei due criteri di imputazione. L’art. 12, comma 1, lett. a d.lgs. n. 231 del 2001 prevede una riduzione della sanzione pecuniaria qualora, da un lato, l’autore individuale abbia commesso il reato «nel prevalente interesse proprio o di terzi» e, dall’altro lato, l’ente non ne abbia ricavato vantaggio o ne abbia ricavato un vantaggio minimo. Ai fini dell’applicazione dell’attenuante in parola, è necessario che siano soddisfatti cumulativamente i due requisiti indicati, i quali valorizzano diversamente i due criteri dell’interesse e del vantaggio 93. Quest’ultimo sembra, infatti, riguardare la concreta acquisizione di un’utilità per l’ente, che ai fini dell’attenuate di cui all’art. 12, comma 1, lett. a d.lgs. n. 231 del 2001 potrà essere parzialmente “ricavata” o definitivamente non conseguita. Il vantaggio fa, pertanto, riferimento al risultato effettivamente raggiunto, il quale può rilevare sia se positivo che negativo. L’interesse, invece, fa riferimento alla finalizzazione della condotta illecita a quella utilità, senza che sia necessario il suo effettivo conseguimento. Ora, la riduzione della sanzione pecuniaria presuppone che una sanzione venga comunque applicata e che, quindi, l’illecito dipendente da reato possa considerarsi consumato. In questa prospettiva, i

92

Relazione al d.lgs. n. 231 del 2001, §3.2. 93

In questo senso v. DE VERO G., La responsabilità penale delle persone giuridiche, op. cit., 158; BERNASCONI A. – PRESUTTI A., Manuale della responsabilità degli enti, op. cit., 62; ASTROLOGO A., 'Interesse' e 'vantaggio' quali criteri di attribuzione della responsabilità dell'ente nel d.lgs. 231/2001, in Ind. pen., 2003, 656 e ss., in cui si afferma che l’art. 12, comma 1, lett. a d.lgs. n. 231 del 2001 configura «una situazione in cui sussistono contestualmente entrambi i presupposti: l’interesse

dell’autore materiale dell’illecito o di un terzo soggetto e il vantaggio minimo che l’ente ha ricavato dal reato». In giurisprudenza: Tribunale Milano, 20/12/2004, in Dir. e prat. soc., 2005, 6, 69, in cui si

afferma che «perché possa configurarsi la responsabilità dell'ente discendente da reato è necessario,

come si desume da una lettura sistematica degli art. 5 e 12 del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, che il reato presupposto sia stato commesso nell'interesse o a vantaggio dell'ente, trattandosi di criteri ascrittivi di responsabilità di carattere alternativo».

163 requisiti dell’interesse e del vantaggio contribuiscono alternativamente a costituire l’illecito, in quanto l’interesse costituisce il requisito minimo ai fini dell’integrazione dell’illecito dipendente da reato, mentre il vantaggio rappresenta un requisito ulteriore e non essenziale, seppure rilevante per diversi fini 94.

A ragionare diversamente, si giungerebbe ad esiti inaccettabili: ci troveremmo, infatti, davanti ad una interpretatio abrogans di uno dei due presupposti oggettivi di ascrizione della responsabilità all’ente, previsti nella parte generale del decreto n. 231 del 2001 95. Non sembra convincere, poi, la critica mossa dai sostenitori della tesi monistica, i quali fanno leva sull'interpretazione congiunta del primo e del secondo comma dell’art. 5 per affermare la natura unitaria della formula dell'interesse o vantaggio: l’art. 5, comma 2 d.lgs. n. 231 del 2001 prevede, infatti, che il reato non sia ascrivibile all’ente se la persona fisica «ha agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi», anche se nel caso concreto si accerti che la commissione del reato abbia prodotto a beneficio dell’ente un vantaggio 96. In realtà, ad un’analisi più attenta, proprio l’art. 5, comma 2 d.lgs. n. 231 del 2001 confermerebbe la natura alternativa dei due criteri. La commissione del reato nell’interesse esclusivo della persona fisica costituisce, infatti, un caso del tutto

94

BASSI A. – EPIDENDIO T. E., Enti e responsabilità da reato, op. cit., 163 e ss.; nello stesso senso v. CERQUA L. D., La responsabilità da reato degli enti, op. cit., 13 e ss. In giurisprudenza v. Tribunale di Milano, Ordinanza 20 settembre 2004, Giudice Secchi in Guida al diritto, 2004 n. 47, in cui si afferma che dal tenore letterale delle disposizioni del d.lgs. n. 231 del 2001 è possibile desumere come «i due

sintagmi non siano usati come sinonimi e che il secondo termine faccia riferimento alla concreta acquisizione di un’utilità economica, mentre l’interesse implica solo la finalizzazione del reato a quell’utilità senza richiedere peraltro che questa venga effettivamente conseguita: se l’utilità economica non si consegue o si consegue solo in parte, sussisterà un’attenuante e la sanzione nei confronti dell’ente potrà essere ridotta».

95

ASTROLOGO A., Brevi note sull’interesse e il vantaggio nel d.lgs. 231/2001, in La resp. amm. soc. ed

enti, 2006, 192; AMARELLI G., I criteri oggettivi di ascrizione del reato all’ente collettivo, op. cit., 109.

In giurisprudenza v. Tribunale di Milano, Ordinanza 20 settembre 2004, Giudice Secchi in Guida al

diritto, 2004 n. 47, in cui si afferma che secondo il principio ermeneutico per cui «un enunciato normativo va interpretato nel senso in cui abbia un significato piuttosto che in quello in cui non ne abbia nessuno deve ritenersi che i sintagmi “interesse” e “vantaggio” non siano usati come sinonimi»; Cass.

pen. 9 luglio 2009, n. 36083, Mussoni, in cui si afferma che «Anche il principio di conservazione dei

valori giuridici implica che i due termini non siano usati come sinonimi, perché diversamente opinando si assisterebbe ad una interpretatio abrogans di uno dei due presupposti oggettivi di ascrizione della responsabilità al soggetto collettivo previsti dalla normativa in questione».

96

DE VERO G., La responsabilità, op. cit., 158 e ss., l’autore afferma che dall’analisi dell’art. 5, comma 2 d.lgs. n. 231 del 2001 si evince che l’«interesse, quale che sia la sua misura, rappresenta il canale di

collegamento realmente indefettibile tra il reato commesso e la persona giuridica, mentre il vantaggio, pur essendo concettualmente ed empiricamente distinto dal primo, giuoca un ruolo sostanzialmente comprimario, ove riscontrabile, e comunque non realmente alternativo. Non coglie dunque nel segno la relazione illustrativa, quando, nel riconoscere che nel caso prospettato dall’art. 5 comma non gioverebbe al giudice verificare l’eventuale vantaggio tratto dall’ente, afferma trattasi di una semplice “deroga” ai criteri di collegamento stabiliti nel comma 1: la mancata rilevanza, di per sé, del vantaggio conseguito dall’ente, quando sia assente l’interesse, è piuttosto la conferma che il primo non esprime una valenza distinta e alternativa quale criterio d’imputazione e resta in ogni caso assorbito dal secondo».

164 eccezionale di rottura del rapporto di immedesimazione organica, e dunque il legislatore ha ritenuto opportuno, alla luce del rispetto del divieto di responsabilità per fatto altrui, derogare alla regola generale e ritenere inutilizzabile in via sussidiaria il criterio alternativo del vantaggio 97.

D’altronde, dal combinato disposto del comma 1 e del comma 2 dell’articolo 5 d.lgs. n. 231 del 2001 si evince che un interesse misto, cioè contestualmente proprio dell’ente e della persona fisica, non è di per sé sufficiente ad esimere la societas da responsabilità, dovendosi attribuire valore esimente alla sola attività dell’autore individuale esercitata nell’interesse esclusivo proprio o di un terzo 98. L’art. 5, comma 2 d.lgs. n. 231 del 2001 fissa, pertanto, il limite negativo affinché si possa ritenere sussistente l’interesse dell’ente, il quale ai fini dell’integrazione dell’illecito non può essere connotato dall’esclusività 99.

Non sembra, inoltre, decisivo il rilievo per cui aderire alla tesi dualistica comporterebbe una dilatazione eccessiva dell’ambito di operatività del d.lgs. n. 231 del 2001, in quanto il requisito del vantaggio sarebbe di per sé privo di adeguata capacità selettiva e quindi, se valutato autonomamente 100, potrebbe far ritenere penalmente rilevanti tutte quelle condotte degli autori individuali che abbiano comportato per l’ente un vantaggio, anche fortuito, sia patrimoniale che non patrimoniale 101. Invero, l’ascrizione della

97

AMARELLI G., I criteri oggettivi di ascrizione del reato all’ente collettivo, op. cit., 109. Tale interpretazione risulterebbe confermata anche dalla Relazione al d.lgs. n. 231 del 2001, §3.2. In giurisprudenza v. Cassazione penale, sez. V, 28/11/2013, n. 10265, in Rivista dei Dottori Commercialisti, 2015, 1, 169, la cui massima afferma che «ai fini della configurabilità della responsabilità dell'ente, è

sufficiente che venga provato che lo stesso abbia ricavato dal reato un vantaggio, anche quando non è stato possibile determinare l'effettivo interesse vantato "ex ante" alla consumazione dell'illecito e purché non sia contestualmente accertato che quest'ultimo sia stato commesso nell'esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi».

98

CERQUA L. D., La responsabilità da reato degli enti, op. cit., 14; ASTROLOGO A., Brevi note

sull’interesse e il vantaggio, op. cit., 194, la quale aggiunge che «la rilevanza dell’interesse misto si ricava anche dall’articolo 12 d.lgs. 231/2001; tale disposizione prevede, invero, che nell’ipotesi in cui vi sia un prevalente interesse della persona fisica e uno residuale dell’ente, se quest’ultimo non ha ricavato alcun vantaggio o ha ricavato un vantaggio minimo permane la responsabilità dello stesso, salvo una cospicua riduzione della sanzione pecuniaria».

99

BASSI A. – EPIDENDIO T. E., Enti e responsabilità da reato, op. cit., 167, gli autori osservano che, dall’analisi dell’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001, «ai fini della responsabilità dell’ente, il reato possa essere

destinato a soddisfare contestualmente l’interesse di diversi soggetti (siano essi persone fisiche o altri enti), purché tra questi soggetti vi sia anche l’ente nel quale chi ha commesso il reato riveste una posizione rilevante ai sensi della normativa indicata».

100

L’alternanza dei due presupposti comporta che l’accusa possa indifferentemente dare la prova dell’uno o dell’altro, salvo ipotesi eccezionali della disciplina di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001 in cui la prova dei due requisiti è prevista in via cumulativa.

101

In questo senso SELVAGGI N., L'interesse dell'ente collettivo, op. cit., 28, secondo cui seguendo la tesi dualista e quindi attribuendo una precisa funzione d’imputazione anche al requisito del vantaggio vi

165 responsabilità alla societas che sia basata unicamente sul criterio oggettivo d’imputazione è un’ipotesi alquanto remota, dovendo l’accertamento del giudice sicuramente coinvolgere l’analisi sull’effettiva sussistenza dell’interesse o vantaggio dell’ente, ma dovendo, in un secondo momento, investire anche l’analisi dei criteri soggettivi d’ascrizione, e quindi verificare se in concreto vi sia stata una lacuna organizzativa da parte dell’ente 102. Infatti, il criterio soggettivo della cd. colpa di organizzazione (artt. 6, 7 d.lgs. n. 231 del 2001) seleziona i fatti penalmente rilevanti imputabili all’ente e consente di mantenere inviolato il principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost. 103. Dunque, non potrebbe mai comportare una responsabilità dell’ente un eventuale beneficio di carattere fortuito che non sia riconducibile ad una “colpa di organizzazione” dell'ente 104.

A favore della natura alternativa dei due criteri sembrerebbe orientata anche la giurisprudenza di legittimità. In particolare, ad avviso della Sezione II della Suprema Corte «non sembra […] da condividere la definizione di endiadi attribuita da parte della dottrina alla locuzione: che diluirebbe, così, in più parole un concetto unitario. A prescindere dalla sottigliezza grammaticale che tale figura retorica richiederebbe la congiunzione copulativa "e" tra le parole interesse e vantaggio; e non la congiunzione disgiuntiva "o" presente invece nella norma, non può sfuggire che i due vocaboli esprimono concetti giuridicamente diversi: potendosi distinguere un interesse "a monte" della società ad una locupletazione - prefigurata, pur se di fatto, eventualmente, non più realizzata - in conseguenza dell'illecito, rispetto ad un vantaggio obbiettivamente conseguito all'esito del reato, perfino se non espressamente divisato "ex ante" dall'agente» 105.

sarebbe il rischio di dare «riconoscimento ad un fattore di notevole estensione della responsabilità; il

quale nella prospettiva dell’applicazione pratica, potrebbe operare in una serie di situazioni: da quelle più lineari – come l’arricchimento di un ente a seguito del reato non realizzato nell’ambito dell’organizzazione – sino al coinvolgimento del gruppo o comunque della società capogruppo sul presupposto di un vantaggio rilevato a beneficio di una società controllata».

102

AMARELLI G., I criteri oggettivi di ascrizione del reato all’ente collettivo, op. cit., 110, l’aurore sottolinea che «se, quindi, si dovesse accertare che la commissione di un reato da parte di un vertice o un

subordinato di una società abbia prodotto un vantaggio per la stessa, ma non sia originata da alcuna lacuna organizzativa, tale dato non basterà ad impunire il fatto all’ente».

103

PICILLO A., L’infortunio sul lavoro,op. cit., 992. 104

CORIGLIANO G., L’imputazione oggettiva del reato colposo all’ente ed il criterio dell’interesse o

vantaggio – The objective imputation of the culpable crime to the company and the criterion of interest or

advantage, in Cassazione Penale, fasc. 2, 2016, 706. 105

Cass. pen., sez. II, 20/12/2005, n. 3615, Jolly Mediterraneo, in Dir. e prat. soc,. 2006, 8, 60; nello stesso senso Cass., sez. II, 27 marzo 2009, n. 13678, Zaccaria, in C.E.D. Cass., n. 244253, la cui massima

166 Infine, ad analoghe conclusioni è pervenuta nello stesso periodo la giurisprudenza di merito, la quale ha osservato che «la responsabilità a carico dell’ente sorge ogniqualvolta il soggetto legato a vario titolo all’ente ha posto in essere la condotta illecita “nell’interesse o a vantaggio dell’ente” e dunque non soltanto allorché il comportamento illecito abbia determinato un vantaggio, patrimoniale o meno, per l’ente ma anche nell’ipotesi in cui, pur in assenza di tale concreto risultato, il fatto reato trovi ragione nell’interesse dell’ente» 106.

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