3. Le soluzioni prospettate in dottrina
3.1. La tesi che riferisce l’interesse o vantaggio alla condotta colposa
Una prima soluzione interpretativa, prospettata anche prima dell’introduzione dell’art. 25 septies 109, propone di riferire i criteri dell’interesse o del vantaggio non all’evento verificatosi, cioè la morte o la lesione grave del lavoratore, bensì alla condotta colposa di violazione della normativa antinfortunistica 110.
Tale soluzione sembra essere la più «logica» 111, in quanto i criteri dell’interesse e del vantaggio con riferimento ai delitti di omicidio e lesioni colposi non possono che riferirsi «soltanto alle sottostanti inosservanze – che costituiscono il nucleo normativo della condotta colposa della persona fisica appartenente all’ente – alle quali il risultato dannoso è eziologicamente e soggettivamente riconducibile» 112. Infatti, soprattutto con riferimento alle ipotesi di colpa specifica, l'accertamento dell'avvenuta violazione di una regola cautelare consente di ricollegare alla condotta inosservante gli eventi che costituiscono la concretizzazione dello specifico rischio che quella cautela violata mirava a prevenire 113.
Un’ulteriore conferma di tale interpretazione si rinviene sul piano letterale. Lo stesso art. 25 septies d.lgs. n. 231 del 2001 collega la commissione dei delitti di cui agli artt.
108
MASULLO M. N., Colpa penale e precauzione, op. cit., 79. 109
PULITANÒ D., La responsabilità “da reato” degli enti, op. cit., 426, il quale aveva affermato che i criteri dell’interesse e del vantaggio dovessero essere riferiti «non già agli eventi illeciti non voluti, bensì
alla condotta che la persona fisica abbia tenuto nello svolgimento della sua attività per l’ente».
110
In questo senso v. PULITANÒ D., La responsabilità “da reato” degli enti, op. cit., 426; POTETTI D.,
Interesse e vantaggio, op. cit., 2041; SCOLETTA M. M., La responsabilità da reato delle società, op.
cit., 905 e ss.; IELO P., Lesioni gravi, omicidi colposi, op. cit., 60. 111
MASULLO M. N., Colpa penale e precauzione, op. cit., 76 e ss. 112
Come osservato da CASTRONUOVO D., La colpa penale, op. cit., 430; in senso analogo v. MARRA G., Prevenzione mediante organizzazione, op. cit., 195, l’autore osserva che «nei delitti colposi è il
contrasto della condotta con la regola di prudenza doverosa a segnare la meritevolezza di pena del fatto di reato. Perché, come insegna la teoria del reato, è la specifica imperizia a definire la tipicità dell’evento. Se questo è vero, il punto di riferimento della verifica logico – giuridica non può che essere, dunque, la condotta negligente ».
113
168 589 e 590 c.p. «alla violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro», portando così alla «(ri)unificazione logico – temporale tra l’interesse dell’ente, in termini di complessiva strategia economico – produttiva, e le modalità di realizzazione della condotta colposa individuale» 114.
Inoltre, risulterebbe davvero difficile, se non impossibile, ritenere che l’evento naturalistico del danno alla vita o all’integrità del lavoratore si sia realizzato nell’interesse o vantaggio dell’ente, costituendo invece l’evento uno svantaggio per l’impresa, sia sotto il profilo patrimoniale che non patrimoniale 115.
La condotta della persona fisica, invece, ben potrebbe essere compiuta nell’interesse o, alternativamente, nel vantaggio dell’ente, qualora la societas abbia avuto di mira o abbia ricavato dalla mancata predisposizione delle misure antinfortunistiche un risparmio di costi ovvero un risparmio dei tempi operativi 116.
Tale interpretazione che riferisce i criteri dell’interesse o vantaggio alla condotta inosservante è stata, tuttavia, oggetto di numerose critiche, in quanto ritenuta difficilmente compatibile con principi di rango costituzionale 117.
114
MASULLO M. N., Colpa penale e precauzione, op. cit., 78. 115
APARO M., I reati presupposto, op. cit., 437, la quale osserva che «giammai il fatto in sé della morte
o delle lesioni occorse ad un lavoratore possa tradursi in un vantaggio o esprimere l’interesse dell’ente. Al contrario, si tratta di una serie di fatti che comportano una serie di costi aggiuntivi per l’azienda, sia in termini monetari, per le spese per l’istruzione dei nuovi addetti, sia in termini sociali, per la perdita di immagine verso il mercato, per il peggioramento delle relazioni industriali, nonché per la creazione di “un ambiente lavorativo diffidente e di rappresentanze sindacali ostili”».
116
In questo senso v. CIPOLLA P., Il d.lg. n. 231 del 2001 nella prassi giurisprudenziale, op. cit., 1473; SCOLETTA M. M., La responsabilità da reato delle società, op. cit., 907; POTETTI D., Interesse e
vantaggio, op. cit., 2041, il quale osserva che «L'esempio di un interesse compatibile con la condotta (nel delitto colposo di evento) è ovvio: si pensi al soggetto che agisce per l'impresa il quale, per risparmiare sui costi o per accelerare il lavoro (e quindi aumentare i profitti; criterio dell'interesse ex ante), riduca od elimini talune cautele infortunistiche, ottenendone un'effettiva diminuzione dei costi o un aumento dei profitti (criterio del vantaggio ex post)».
117
AMARELLI G., I criteri oggettivi, op. cit., 115, l’autore sottolinea che se si dovesse ritenere che «la
nuova forma di responsabilità degli enti introdotta con il decreto n. 231/2001 abbia natura giuridica penale e non meramente amministrativa o ibrida, e si ritengono vincolanti in questa materia tutti i fondamentali principi penalistici di matrice costituzionale e, dunque, anche il principio di legalità in tutte le sue molteplici declinazioni della riserva di legge, della determinatezza e tassatività e del divieto di analogia, questa interpretazione ‘mediata’ dell’art. 5, d.lgs. n. 231/2001 sembra profilarsi come difficilmente compatibile con la nostra Carta fondamentale»; DOVERE S., Osservazioni in tema di attribuzione all’ente collettivo, op. cit., 316 e ss., l’autore ritiene che il riferire i criteri oggetti
d’imputazione alla condotta colposa implicherebbe una violazione dei principi costituzionali (art.. 97 e 23 Cost., interpretati alla luce della ratio del principio di legalità di cui all’art. 25, comma 2 Cost.) anche nel caso in cui la responsabilità dell’ente fosse considerata di natura amministrativa, sul presupposto che anche i criteri che governano l’applicazione di sanzioni amministrative, e dunque i comportamenti a cui conseguono tali sanzioni, devono essere prefissati e definiti in base alla legge.
169 Innanzitutto, si è osservato che riferire i criteri dell’interesse o del vantaggio alla condotta comporterebbe una violazione del principio di legalità sancito dall’art. 25, comma 2 Cost.
L’ente verrebbe, infatti, ritenuto responsabile ogniqualvolta l’agente abbia violato una norma prevenzionistica, e non per avere cagionato l’evento lesivo di cui agli artt. 589 e 590 c.p. Tale interpretazione si porrebbe in contrasto con il dato letterale dell’art. 25 septies d.lgs. n. 231 del 2001, il quale fa riferimento ai delitti di omicidio e lesioni colpose aggravate e non alla violazione delle regole cautelari in cui si concreta la condotta 118.
In aggiunta, l’art. 5, comma 1 d.lgs. n. 231 del 2001 richiede inequivocabilmente che sia il reato, e non la condotta inosservante, ad essere commesso nell’interesse o a vantaggio della societas 119. I criteri d’ascrizione della responsabilità all’ente verrebbero così valorizzati differentemente a seconda che il reato presupposto sia doloso o colposo: nella prima ipotesi andrebbero riferiti al reato, nella seconda alla condotta 120.
La struttura della fattispecie di cui all’art. 25 septies risulterebbe, inoltre, modificata radicalmente, in quanto verrebbe trasformata da reato di evento a reato di pura condotta connotato da una condizione obiettiva di punibilità estrinseca. In questo modo, vi sarebbe una violazione dei principi di legalità e colpevolezza 121: l’evento finirebbe,
118
SCORDAMAGLIA I., Il diritto penale della sicurezza del lavoro tra i principi di prevenzione e di
precauzione, in www.penalecontemporaneo.it, 23 Novembre 2012, 16 e ss.
119
DE SIMONE G., La responsabilità da reato degli enti, op. cit., 45; GARGANI A., Delitti colposi, op. cit., 1948, il quale osserva che in questo modo «il criterio di imputazione oggettivo viene riferito a
violazioni di norme precauzionali, ossia a fatti (non necessariamente rilevanti di per sé sul piano penale e soprattutto) non previsti dalla legge come illeciti fondanti la responsabilità dell’ente».
120
D’ARCANGELO F., La responsabilità da reato, op. cit., 77 e ss. 121
In questo senso v. AMATI E., La responsabilità degli enti, op. cit., 44 e ss.; VITARELLI T., Infortuni
sul lavoro, op. cit., 701, osserva che l’evento «verrebbe ascritto all'ente su base tendenzialmente oggettiva, con palese vanificazione dei criteri soggettivi di imputazione, fondati sulla colpevolezza dell'ente, sia pure intesa in senso tecnocratico»; AMARELLI G., I criteri oggettivi di ascrizione, op. cit.,
116; DOVERE S., Osservazioni in tema di attribuzione all’ente collettivo, op. cit., 334, l’autore contesta che una simile lettura condurrebbe ad una modifica surrettizia delle fattispecie presupposto con la conseguente compressione del principio di legalità: nei reati colposi di evento è lo stesso evento, e non la condotta, a dover essere associato all’ente: «se la violazione cautelare non integra di per sé reato l’ente
viene chiamato a rispondere per una condotta che gli appartiene, ma che non costituisce illecito penale; se a quella violazione consegue un’autonoma sanzione penale, l’ente è chiamato a rispondere in realtà per un reato diverso da quelli previsti dall’art. 25 septies». In senso contrario v. POTETTI D., Interesse e vantaggio, op. cit., 2042, l’autore afferma infatti che «l'art. 25-septies cit. non prevede (ovviamente) una figura tipica di reato (e nemmeno un'autonoma figura di illecito), la cui struttura possa risultare stravolta. Qui si tratta, invece, della distinta (e logicamente successiva) questione dell'attribuzione all'ente di una responsabilità conseguente ad un reato (omicidio o lesioni colposi, logicamente precedenti) la cui struttura quindi non viene in alcun modo incisa dai criteri di imputazione di quel reato all'ente».
170 infatti, per essere imputato automaticamente ed oggettivamente all’ente ogni volta che nella condotta del reo inosservante delle norme precauzionali sia ravvisabile un interesse o vantaggio dell’ente, in termini di risparmio di spesa o dei tempi operativi, e quindi in tutti quei casi in cui il reato sia stato commesso nello svolgimento di attività lecite dell’ente 122.
Una tale interpretazione risulta essere un’analogia in malam partem, perché rischia di dilatare notevolmente l’area di responsabilità della persona giuridica: una volta verificatosi un evento colposo nello svolgimento dell’attività dell’ente, questo verrà ritenuto sempre responsabile ogni volta che si riscontri ex post la mancata adozione o la inefficace attuazione del Modello, e quindi esclusivamente in ragione di un deficit organizzativo 123.
Infine, si osserva che la societas sarebbe sanzionata sulla base della mera ricaduta a suo vantaggio degli effetti di un fatto illecito non voluto, con la conseguente violazione del principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27, comma 1 Cost., inteso nell’accezione ampia di principio di responsabilità penale per un fatto proprio consapevole 124.
A tali critiche si risponde che, invero, la soluzione ermeneutica che riferisce l’interesse o il vantaggio alla condotta non costituirebbe una violazione del principio di legalità, in quanto sarebbe supportata proprio sul piano letterale: il riferimento dei criteri d’imputazione obiettiva alla condotta del reo si evincerebbe, infatti, dalla lettura
122
ZANALDA G., La responsabilità degli enti per gli infortuni sul lavoro, prevista dalla legge 3 agosto
2007, n. 123, in Resp. amm. soc. e enti, 2007, fasc. 4, 100, l’autore osserva che sia impensabile il ruolo
dell’evento del reato in queste fattispecie, perché altrimenti si finisce per ravvisare l’interesse o il vantaggio «in re ipsa ovvero nello stesso ciclo produttivo in cui si è realizzata la condotta casualmente
connessa all’infortunio, con conseguente sussistenza automatica dei presupposti della responsabilità amministrativa dell’ente». In senso analogo v. DOVERE S., La responsabilità da reato dell’ente, op. cit.,
112 e ss., l’autore osserva che così come è residuale l’ipotesi che l’evento lesivo si sia verificato per una condotta c.d. abnorme del lavoratore, eventualità che romperebbe il nesso con la violazione della regola cautelare del preposto o del datore di lavoro, così si annuncia marginale l’ipotesi che questa violazione non dia luogo a responsabilità dell’ente.
123
APARO M., I reati presupposto, op. cit., 438, l’autrice aggiunge che in questo modo, inoltre, «si corre
il rischio di ritenere inidoneo ogni comportamento che non sia riuscito a evitare un evento dannoso con un giudizio a posteriori e di obbligare, di conseguenza, l’ente a dover fornire una probatio diabolica»;
AMARELLI G., I criteri oggettivi di ascrizione, op. cit., 116; DE SIMONE G., La responsabilità da
reato degli enti, op. cit., 44.
124
171 congiunta degli artt. 5 comma 1, 5 comma 2 e 12 comma 1 del d.lgs. n. 231 del 2001, in cui vi è un richiamo rispettivamente al «reato», al «fatto» o all' «azione» 125.
Altri autori osservano, invece, che tale interpretazione sia necessitata dal principio di conservazione dei beni giuridici: infatti, si può ricorrere all'interpretazione letterale di una disposizione solo quando questa sia sufficiente ad individuare, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva (v. art. 12, comma 1, disp. prel.). Invece, quando la lettera della disposizione risulti ambigua, non solo l'interprete può, ma anzi deve ricorrere al criterio dell'intenzione del legislatore quale criterio ermeneutico sussidiario 126, il quale può assumere addirittura rilievo prevalente rispetto all'interpretazione letterale nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione letterale della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo 127. Pertanto, considerando che l’art. 25 septies risulti incompatibile con l’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001 e che il legislatore abbia voluto estendere la responsabilità dell’ente anche ai reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p. commessi con violazione della normativa antinfortunistica, bisogna ritenere che i criteri dell’interesse e del vantaggio vadano riferiti alla condotta e non all’evento naturalistico 128.
Ancora, a sostegno di tale tesi euristica, si osserva come nell’ordinamento penale, anche con riferimento a fattispecie di evento, vi siano effetti giuridici valutati o ascritti proprio in relazione alla condotta del reato 129.
125
CIPOLLA P., Il d.lg. n. 231 del 2001 nella prassi giurisprudenziale, op. cit., 1473, l’autore richiama le osservazioni del procuratore Guariniello nella requisitoria in un processo per reati colposi commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza del lavoro, riportato in BURLA P., CIERI E., MACCANI I., La responsabilità da reato dello società, Il Sole 24 Ore, 2009, 68, nota n. 1.
126
In questo senso v. Cassazione civile, sez. lav., 26/01/2012, (ud. 21/12/2011, dep.26/01/2012), n. 1111, in C.E.D. Cass., n. 620714, in cui si afferma che «Secondo la giurisprudenza di questa Corte è
fondamentale canone di ermeneutica, sancito dall'art. 12 preleggi, che la norma giuridica deve essere interpretata, innanzi tutto e principalmente, dal punto di vista letterale, non potendosi al testo "attribuire altro senso se non quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse", pertanto, nell'ipotesi in cui l'interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l'interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, merce l'esame complessivo del testo, della mens legis, specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma, così come inequivocabilmente espressa dal legislatore; soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l'elemento letterale e l'intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, cosicché il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all'equivocità del testo da interpretare».
127
Cassazione civile, sez. I, 06/04/2001, n. 5128, in C.E.D. Cass., n. 545665. 128
POTETTI D., Interesse e vantaggio, op. cit., 2041 e ss. 129
SCOLETTA M. M., La responsabilità da reato delle società, op. cit., 907, l’autore fa riferimento ad effetti giuridici quali, ad esempio, la determinazione del tempus e del locus commissi delicti, la legittima
172 Si sostiene, inoltre, che tale interpretazione non violi il principio di personalità della responsabilità penale poiché l’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001 tipizza esclusivamente il nesso di ascrizione del fatto all’ente, spettando invece ai criteri soggettivi di cui agli artt. 6 e 7 d.lgs. n. 231 del 2001 fondare la personalità dell’illecito, in base al meccanismo della “colpa di organizzazione” 130.
L’interpretazione che riferisce i criteri oggettivi d’imputazione alla condotta e non all’evento è stata criticata anche con riferimento ad un altro profilo. Si è, infatti, osservato che se si dovesse interpretare l’interesse e il vantaggio in termini di risparmio di spesa o di tempo rimarrebbero privi di sanzione tutti quegli illeciti “a costo zero” o “senza risparmio di tempo produttivo” 131. A tale obiezione, tuttavia, è stato efficacemente replicato che si tratta di ipotesi in realtà meramente teoriche, non essendo in concreto ravvisabile un mancato adeguamento alle norme di sicurezza che non si traduca in un vantaggio per l’ente in termini di risparmio sui costi o sui tempi operativi
132
.
difesa e lo stato di necessità, nonché anche talune circostanze aggravanti come i motivi abietti e futili e il nesso teleologico. In senso analogo v. PELAZZA M., Sicurezza sul lavoro e responsabilità da reato degli
enti, in Corr. merito, fasc. 6, 2010, 659, l’autrice afferma che «non sempre e non necessariamente il legislatore assegna lo stesso significato al termine ‘‘reato’’. In tema, ad esempio, di successione di leggi penali nel tempo, così come regolata dall’art. 2 c.p., nessuno dubita che l’espressione ‘‘reato’’ contenuta in quella norma debba essere intesa, anche nei reati di evento, con riferimento alla condotta e non all’evento. Il tempus commissi delicti è qui, in conformità alla ratio della norma, univocamente identificabile nel momento in cui il soggetto viola la legge penale, ponendo in essere la condotta penalmente sanzionata, ancorché le sue conseguenze si manifestino soltanto successivamente».
130
SCOLETTA M. M., La responsabilità da reato delle società, op. cit., 908 e ss. 131
In questo senso v. ALDOVRANDI P., La responsabilità amministrativa degli enti, op. cit., 574; ASTROLOGO A., I reati presupposto, in AA. VV., Diritto penale delle società - Tomo I e II, a cura di G. CANZIO – L. D. CERQUA - L. LUPARIA, Cedam, 2014, 1010, l’autrice ritiene che un’interpretazione soggettivo – finalistica dell’interesse si porrebbe in frizione con la struttura colposa dei delitti di omicidio e lesioni colpose; MANCINI C., L’introduzione dell’art. 25 septies, op. cit., 52, secondo cui una tale situazione potrebbe verificarsi nel caso di adozione di un Modello astrattamente efficace dove però l’Organismo di Vigilanza non adempia alle proprie funzioni.
132
CASTRONUOVO D., La responsabilità degli enti collettivi per omicidi e lesioni alla luce del d.lgs. n.
81/2008, in La prevenzione dei rischi e la tutela della salute in azienda, a cura di F. BASENGHI - L. E.
GOLZIO – A. ZINI, IPSOA-INDICITALIA, 2009, 328 e ss., l’autore afferma, infatti, che «non sembrano
invece condivisibili le ulteriori preoccupazioni interpretative espresse da una parte della dottrina, che, in relazione ai reati colposi, rimane scettica circa la possibilità di intendere il criterio dell’interesse o vantaggio come riferito alla condotta della persona fisica, in quanto ciò comporterebbe, si teme, una ingiustificata impunità per le ipotesi in cui i vertici dell’ente abbiano omesso l’adeguamento alle norme sulla sicurezza per mera trascuratezza (quindi in assenza del perseguimento di un interesse), senza che ciò si traduca, inoltre, in un effettivo risparmio di spesa per l’ente (quindi, in assenza di un concreto vantaggio). […] è noto come la fenomenologia della colpa – specialmente, anche se non solo, nei settori economico – produttivi – si atteggi in maniera tale che le inosservanze cautelari inosservanti siano sovente realizzate perseguendo politiche d’impresa: non di rado, quindi, la violazione che dà contenuto normativo all’elemento colpa di un reato di evento sarà non solo consapevole, ma addirittura volontaria. In tali ipotesi, in presenza di un profilo cognitivo ed eventualmente di una finalità (non lesiva, ma di tipo economico) con riferimento alla trasgressione di misure preventive, la condotta individuale ben potrebbe
173 In definitiva, la tesi che propone di riferire il criterio dell'interesse o vantaggio alla condotta inosservante non è riuscita a mitigare la posizione di coloro che criticano questa ricostruzione, i quali hanno prospettato soluzioni alternative per cercare di ovviare ai vizi di tale tesi.