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Il requisito dell’interesse: concezione soggettiva psicologica e concezione

2. I criteri d’imputazione dell’interesse o vantaggio: la problematica compatibilità con

2.1. Il requisito dell’interesse: concezione soggettiva psicologica e concezione

La prima questione ermeneutica, dibattuta in dottrina e giurisprudenza, riguarda la valenza che deve riconoscersi al criterio dell’interesse. In particolare, ci si chiede se tale parametro debba interpretarsi in senso soggettivo, e quindi come criterio di collegamento con la sfera psicologica dell’autore del reato, ovvero in senso obiettivo, in quanto criterio che si oggettiva nella condotta del reo.

Secondo l’interpretazione di tipo finalistico – psicologica, l’interesse deve essere interpretato «come un qualcosa che attiene alla sfera psicologica dell’autore del fatto – come una finalità che anima e sostiene il suo comportamento illecito, o anche soltanto come una mera consapevolezza di agire, almeno in parte, nell’interesse dell’ente e dunque in vista del possibile conseguimento di un vantaggio da parte sua» 48.

Una conferma di tale interpretazione si troverebbe proprio nella Relazione di accompagnamento, che qualifica espressamente l’interesse come un criterio che caratterizza in senso marcatamente soggettivo la condotta della persona fisica 49.

In tale prospettiva, ogniqualvolta si accerti che l’autore del reato abbia soggettivamente agito per una finalità coincidente con un interesse della societas, quest’ultima dovrà ritenersi responsabile per l’illecito amministrativo corrispondente, ovviamente sempre che ricorrano anche gli altri presupposti per l’ascrizione della responsabilità 50.

Tale ipotesi si espone, tuttavia, a numerose critiche.

48

DE SIMONE G., La responsabilità da reato degli enti, op. cit., 36. 49

Relazione al d.lgs. n. 231 del 2001, §3.2. 50

151 Innanzitutto, si osserva che aderire a tale interpretazione conferirebbe rilevanza ad atteggiamenti psicologici dell’autore del reato, in quanto l’interesse si sostanzierebbe in una sorta di dolo specifico della persona fisica 51, con la conseguenza che la responsabilità dell’ente potrebbe risultare radicata su soggettive interpretazioni o rappresentazioni, eventualmente erronee, dell’agente 52.

Relegare il criterio dell’interesse alla sfera soggettiva dell’autore materiale renderebbe, inoltre, tale criterio incompatibile con l’ipotesi di colpa incosciente, poiché in questo caso manca per definizione un’intenzione finalistica dell’azione del soggetto individuale, il quale ignora infatti di agire in violazione di norma cautelari 53.

In secondo luogo, la teoria finalistico – soggettiva potrebbe portare ad una interpretatio abrogans dell’art. 8, comma 1, lett. a d.lgs. n. 231 del 2001: sarebbe, infatti, difficile, se non impossibile, ravvisare una responsabilità “da reato” dell’ente nel caso in cui l’autore del reato non sia stato identificato, non potendosi provvedere in tale evenienza all’accertamento psicologico dell’autore materiale del reato 54.

Per questi motivi, parte della dottrina 55 ritiene di interpretare l’interesse in senso oggettivo, «come proiezione finalistica della condotta, riconoscibilmente connessa alla

51

CERQUA L. D., La responsabilità da reato degli enti. Modelli di organizzazione, gestione, controllo e

strategie per non incorrere nelle sanzioni, HALLEY Editrice, 2006, 15, secondo cui «all’interesse non può essere attribuito un significato oggettivo, quasi si trattasse di una sorta di dolo specifico»; DE

SIMONE G., La responsabilità, op. cit., 37, l’autore osserva che aderire alla tesi soggettiva dell’interesse porterebbe ad ampliare l’oggetto del dolo della persona fisica, facendoci rientrare un elemento che non è richiesto ai fini della tipicità dolosa del fatto di reato: infatti, «l’oggetto del dolo richiesto ai fini della

configurabilità dell’”illecito amministrativo” dovrebbe ricomprendere anche la consapevolezza di agire nell’interesse dell’ente ed avere, quindi, una portata più ampia di quella del dolo del reato-presupposto: nell’economia della fattispecie a struttura complessa su cui si fonda la responsabilità della societas, esso costituirebbe una sorta di dolo specifico, in quanto non sarebbe necessario, come già detto, che quell’interesse si traduca poi in un vantaggio concreto. Qui, in verità, non sarebbe neppure richiesta l’intenzione di perseguire un interesse dell’ente, ma sarebbe sufficiente la rappresentazione in termini di possibilità del conseguimento di un vantaggio».

52

PULITANÒ D., La responsabilità, op. cit., 425. 53

DE VERO G., La responsabilità, op. cit., 160. 54

In questo senso v. PICILLO A., L’infortunio sul lavoro, op. cit., 11, l’autore sostiene che la teoria soggettiva «contraddice l’autonomia del sistema 231: sarebbe impossibile, in ottica soggettiva, ravvisare

la responsabilità dell’ente nel caso in cui rimanga ignota l’identità del reo»; DE VERO G., La responsabilità, op. cit., 160, secondo cui «la pretesa necessità di riscontrare una specifica finalità in senso marcatamente psicologico in capo all’autore individuale entrerebbe in totale rotta di collisione con quanto chiaramente enunciato nel comma 1 lett. a) [dell’art. 8 d.lgs. n. 231 del 2001] , nel senso che la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato: come è possibile compiere un accertamento di tipo psicologico, di per sé notoriamente difficoltoso, quando addirittura manca la persona sulla quale tale accertamento dovrebbe essere condotto?».

55

Interpretano in senso oggettivo il requisito dell’interesse, tra gli altri, DE VERO G., La responsabilità, op. cit., 160 e ss.; CERQUA L. D., La responsabilità da reato, op. cit., 15; COCCO G., L’illecito degli

152 condotta medesima» 56, prescindendo dall’accertamento di un preciso momento finalistico in capo al soggetto individuale e concentrando l’attenzione esclusivamente su elementi esterni suscettibili di una verifica oggettiva 57.

Si ritiene, inoltre, che il requisito dell’interesse sia concreto, e quindi legato da un rapporto con l’ente non meramente astratto ed ipotetico, ed attuale, in quanto oggettivamente esistente e riconoscibile nel momento in cui è stato compiuto il fatto, non potendo essere, pertanto, futuro ed incerto.

I caratteri essenziali dell’interesse, oggettività, concretezza ed attualità, discendono da un’interpretazione costituzionalmente orientata: ragionare diversamente farebbe ritenere sussistente la responsabilità dell’ente non per un “fatto”, bensì per una mera congettura sul suo possibile verificarsi. Inoltre, nel caso in cui il fatto ipotizzato si sia effettivamente verificato, si punirebbe la societas per un fatto che al momento del sua commissione non costituiva un illecito ai sensi della normativa in vigore, non essendo stato commesso nell’interesse dell’ente 58.

Secondo i sostenitori di tale interpretazione, il requisito dell’interesse rappresenta l’idoneità della condotta dell’autore individuale a produrre un beneficio per l’ente 59. Ai fini del suo accertamento ex ante, pertanto, il giudice potrebbe adoperare come criteri di valutazione i requisiti oggettivi della fattispecie tentata (art. 56 c.p.), cioè l’idoneità e la

56

Come sostenuto da DE SIMONE G., La responsabilità, op. cit., 36. 57

BASSI A. – EPIDENDIO T. E., Enti e responsabilità da reato. Accertamento, sanzioni e misure

cautelari, Giuffrè, 2006, 169, l’autore ritiene che «quand’anche poi risultasse dimostrato che la persona fisica si fosse attivata nella convenzione psicologica (sua propria ed interna, ma non oggettivata da alcun elemento esterno) di favorire l’ente, ove tale convinzione non si fosse sostanziata in elementi concreti e attuali che consentano di oggettivamente ravvisare un interesse o vantaggio dell’ente, mancherebbero i predetti requisiti (di concretezza e attualità) dell’interesse o vantaggio, che soli potrebbero fondare la responsabilità dell’ente».

58

EPIDENDIO T., Art. 5, in Responsabilità "penale" delle persone giuridiche, a cura di A. GIARDA, G. SPANGHER - E. M. MANCUSO - G. VARRASO, IPSOA, 2007, 46, l’autore aggiunge che se non si dovessero ritenere sussistenti i criteri dell’oggettività, della concretezza e dell’attualità «ci si porrebbe in

palese contrasto con il principio di legalità codificato al precedente art. 2 del decreto legislativo, con conseguente irrazionalità di disciplina censurabile anche in punto di legittimità costituzionale; simile conclusione risulta da evitare in forza del principio dell’interpretazione utile, secondo cui gli enunciati vanno interpretati nel senso in cui possano produrre effetti piuttosto che in quello in cui non lo producano (anche per effetto di dichiarazione di incostituzionalità)».

59

PICILLO A., L’infortunio sul lavoro, op. cit., 11, secondo cui sembra più convincente «la tesi che

ricostruisce l’interesse in chiave oggettiva, come proiezione della condotta idonea a produrre un benefit per l’ente»; CERQUA L. D., La responsabilità da reato, op. cit., 15, secondo cui l’interesse riguarda «il tipo di attività che viene svolta e deve essere valutato con riferimento alla idoneità della condotta illecito a produrre un beneficio per l’ente, mentre a nulla rilevano le interpretazioni o le rappresentazioni dell’agente»; DE SIMONE G., La responsabilità, op. cit., 36, che richiama anche la “finalità dell’azione”

nell’accezione scolpita da C. PEDRAZZI, Il fine dell’azione delittuosa, in Riv. it. dir. pen., 1950, 259 e ss., che faceva riferimento alla «potenza insita [nell’azione] di produrre, in determinate circostanze,

153 non equivocità. A loro volta, tali requisiti dovranno essere valutati alla luce di un referente concettuale, che può essere individuato nel vantaggio effettivamente conseguito o nell’intenzione di conseguire tale vantaggio, il quale potrà dunque confermare sul piano processuale la sussistenza del nesso ascrittivo 60.

L'interesse in senso oggettivo troverebbe la propria legittimazione sul piano sistematico: si richiama, innanzitutto, l'art. 6, comma 5, d.lgs. n. 231 del 2001, che prevede la confisca di quanto l'ente abbia ottenuto dal reato, anche nel caso in cui venga esclusa la sua responsabilità, in quanto la societas ha predisposto un idoneo Modello organizzativo, che è stato fraudolentemente eluso dall’agente. Si richiama, poi, l'art. 8 d.lgs. n. 231 del 2001, che sancisce l'autonomia della responsabilità dell'ente: in particolare, si stabilisce che l’ente risponde del reato anche quando la persona fisica che

60

DE SIMONE G., La responsabilità, op. cit., 36, l’autore, a proposito, rileva che potrebbe costituire un problema il fatto «che, accanto a fattispecie più pregnanti, da cui meglio traspare la proiezione

finalistica della condotta – si pensi a un grave fatto di corruzione di un pubblico ufficiale, posto in essere dall’amministratore delegato di una società allo scopo di far ottenere alla stessa l’aggiudicazione di una gara d’appalto d’importo assai rilevante – altre ve ne sono che, per il modo in cui sono state tipizzate, rendono ben più difficoltosa l’individuazione di una tale proiezione finalistica. Si pensi alle false comunicazioni sociali, di cui, com’è noto, l’ente può essere chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 25- ter d.lgs. 231». L’autore ritiene che in questi casi sia necessario ricostruire la reale intenzione del soggetto

agente, per poi valutare, in relazione alla stessa, l’idoneità della sua condotta illecita. In senso analogo v. PICILLO A., L’infortunio sul lavoro, op. cit., 11; DE VERO G., La responsabilità, op. cit., 161, l’autore ritiene che «il connotato unitario, semanticamente radicato nella nozione di agire “nell’interesse”,

consiste nel fatto che il canale di collegamento deve poter essere individuato ex ante, al momento in cui l’illecito penale viene commesso, senza che possano assumere valore autonomo o addirittura alternativo le contingenti successive vicende; la specifica coloritura apportata dalla nozione di agire “a vantaggio” consiste a sua volta nel segnalare appunto la natura squisitamente oggettiva di tale valutazione ex ante»;

PULITANÒ D., Responsabilità amministrativa, op. cit., 958, il quale afferma che «se l’ente ha ottenuto

un qualche vantaggio, il fatto non potrà essere considerato nell’esclusivo interesse di altri». In questa

prospettiva, l’accertamento di un vantaggio avrebbe sostanzialmente il valore di una presunzione assoluta (dell’interesse oggettivo dell’ente), in quanto a fronte di esso difficilmente potrà dirsi sussistente l’interesse esclusivo dell’autore o di terzi, cioè la esclusiva direzionalità del reato a perseguire obiettivi extrasociali. In giurisprudenza, aderisce a tale interpretazione Trib. Trani, sez. distaccata di Molfetta, 11 gennaio 2010, Truck Center, in Le Società, 2010, 1116 e ss., che, dopo aver sostenuto il carattere alternativo dei due concetti, precisa che «La lettura del secondo comma lascia però comprendere che, pur

in presenza di un vantaggio, l’ente non possa rispondere in assenza di un reato commesso anche nel suo interesse. Per non lasciare al testo dell’art. 5 una portata criptica, si deve ritenere che il vantaggio possa essere valorizzato, sul piano processuale, precisamente nella formazione della prova della responsabilità dell’ente, quale elemento apprezzabile ex post ma dimostrativo del suo interesse ex ante e che esso sia destinato a perdere vigore probatorio in presenza della prova positiva di un interesse esclusivo proprio o di terzi presente nella condotta tenuta da parte delle persone indicate nel primo comma». In senso

contrario v. SCOLETTA M. M., La responsabilità da reato delle società, op. cit., 904, il quale ritiene che tale interpretazione avrebbe un effetto sostanzialmente abrogativo del requisito del vantaggio, «ridotto a

mero elemento indiziario o probatorio dell’interesse»; AMARELLI G., I criteri oggettivi di ascrizione del reato all’ente collettivo ed i reati in materia di sicurezza sul lavoro. Dalla teorica incompatibilità alla forzata convivenza, in www.penalecontemporaneo.it, 19 aprile 2013, 38, l’autore osserva che in questi

casi «il criterio del vantaggio gioca comunque un ruolo non insignificante nel giudizio di attribuzione del

reato all’ente, anche quando formalmente si ritiene prevalente quello dell’interesse: senza il riferimento ad esso, sarebbe difficile, se non impossibile, poter ravvisare con un giudizio ex ante di tipo prognostico, anche lo stesso interesse».

154 lo ha commesso non è stata identificata o non è imputabile 61. Ebbene, si deve ritenere che l’interesse dovrà necessariamente essere riferito alla condotta, dal momento che l’ente può subire conseguenze sanzionatorie anche quando non sia possibile accertare se l’autore del reato abbia agito per perseguire un interesse collettivo ovvero quando l’agente abbia consapevolmente violato le norme cautelari 62.

Infine, è stata prospettata una terza tesi, che propone di ricostruire la nozione di interesse in chiave “mista”, oggettivo e soggettiva.

Sul piano oggettivo, è necessario accertare che l’interesse sia espressione di una «ragione collettiva», e che quindi la persona fisica abbia agito al fine di perseguire un interesse collettivo, conformandosi alla cultura imprenditoriale ovvero al modus operandi della societas. Sul piano soggettivo si deve, invece, accertare che l’interesse dell’ente sia realizzabile.

Una tale interpretazione consentirebbe l’ascrizione della responsabilità dell’ente solo quando vi sia un reale collegamento tra il reato e l’interesse dell’ente stesso, evitando così presunzioni circa l’effettiva destinazione della condotta del reo 63.

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