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La legge delega n 123 del 2007 e il decreto legislativo n 81 del 2008

8. L’Organismo di Vigilanza

1.2. La legge delega n 123 del 2007 e il decreto legislativo n 81 del 2008

La svolta normativa in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro è stata rappresentata dalla legge delega n. 123 del 2007 20. Tale legge ha introdotto, affiancandola alla responsabilità civile e penale del datore di lavoro, una responsabilità diretta della societas per reati in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro.

La legge n. 123 del 2007 risultava altamente innovativa: da un lato, la legge ha allargato il novero dei destinatari delle fattispecie incriminatrici a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, affiancando l’ente alla persona fisica, la cui individuazione in seno alla complessa organizzazione aziendale risultava spesso difficile 21; dall’altro, ha previsto per la prima volta una responsabilità dell’ente anche per fattispecie incriminatrici punite a titolo di colpa, comprendendo la “parte speciale” del d.lgs. n. 231 del 2001 prima della riforma solo fattispecie dolose.

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Si tratta del Doc. XXII - bis, n. 5, Senato della Repubblica, XIV Legislatura (relatore O. Tofani). In particolare viene sottolineato che «tra le problematiche della prevenzione una di particolare rilevanza

concerne l’informazione e la formazione. Anche in questo campo, come in altri, l’applicazione del decreto legislativo n. 626 appare spesso di tipo “formalistico” e non sufficiente ad assicurare una reale integrazione tra l’attività dell’impresa, il processo lavorativo e la prevenzione della sicurezza».

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L’iter parlamentare di approvazione della legge ha avuto tempi brevissimi: il testo è stato approvato dal Senato il 27 giugno 2007 e, dopo l’approvazione da parte della Camera, è diventato legge 3 agosto 2007 n. 123.

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La difficoltà di individuazione dell’autore materiale nei reati colposi d’evento è ben evidenziata da PALIERO C.E., La società punita: del come, del perché e del per cosa, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2008, 1525, il quale afferma che il peculiare Modello ascrittivo della responsabilità degli enti «troverebbe la

sua ragion d’essere in relazione a fatti colposi (soprattutto a reati colposi d’evento) rispetto ai quali i singoli frammenti di condotta sono materialmente posti in essere da soggetti diversi, e può essere tutt’altro che sorprendente acquisire la prova di una complessiva “colpa di organizzazione”, anche nella materiale assenza di prova sui singoli lacerti di responsabilità individuale rappresentate dalle condotte dei singoli». CORSO S.M., Lavoro e responsabilità di impresa, op. cit., 330, l’autore afferma che la

complessità dell’organizzazione aziendale non può più costituire un alibi, bensì «può essere un valore

aggiunto, per il configurarsi di plurime posizioni di garanzia attribuite a soggetti diversamente qualificati e dai quali è legittimo aspettarsi, in relazione alle specifiche mansioni, comportamenti in linea con la “cultura della sicurezza” pretesa dall’ente».

52 La legge n. 123 del 2007 conteneva sia la “delega al governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro” (art. 1), sia norme di immediata applicazione.

Tra le norme di immediata attuazione vi era l’art. 2, che prevedeva, tra l’altro, un obbligo, da parte del pubblico ministero che esercita l’azione penale per i reato di omicidio o lesioni colpose gravi o gravissime da violazione di normativa antinfortunistica, di darne notizia all’INAIL «ai fini dell’eventuale costituzione di parte civile e dell’azione di regresso». Si è così garantita una celere conoscenza da parte dell’INAIL della pendenza del processo a carico della persona fisica e si favoriva, inoltre, la costituzione di parte civile dell’INAIL, ai fini del risarcimento di quanto l’ente ha erogato a favore della vittima e/o dei suoi prossimi congiunti 22.

Immediatamente applicabili erano, inoltre, l’art. 3 che apportava modifiche al d.lgs. n. 626 del 1994, l’art. 4 in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e l’art. 5 sulle modalità esplicative dell’attività ispettiva degli ispettori del lavoro 23, i quali potevano adesso adottare un provvedimento di sospensione dell’attività lavorativa per le imprese che avessero violato le norme di sicurezza. La sospensione preludeva all’interdizione a contrattare con le pubbliche amministrazioni e a partecipare alle gare pubbliche, e poteva venire revocata dal personale ispettivo solo quando si fosse regolarizzata l’assunzione dei lavoratori irregolari o quando fosse stato accertato il ripristino delle condizioni di salubrità ambientale.

Infine, risultava immediatamente applicabile l’art. 9 l. n. 123 del 2007 il quale, come anticipato, ha inserito l’art. 25 septies nel catalogo dei reati-presupposto della “responsabilità amministrativa” dell’ente, presente nel Capo I, Sezione III del d.lgs. n. 231 del 2001, prevedendo una responsabilità dell’ente per reati colposi di lesioni gravi o

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La norma tuttavia non legittima la costituzione di parte civile dell’INAIL direttamente nel processo a carico dell’ente. In tale contesto, infatti, non è consentita la costituzione di parte civile: «non è

contrastante con la normativa comunitaria il diniego di ammissibilità della costituzione di parte civile direttamente contro l’ente, essendovi ampia possibilità di esercizio dell’azione civile in sede civile e nel processo a carico della persona fisica apicale o non apicale imputata, né si profila un contrasto con la normativa costituzionale per violazione del diritto di agire e di difendersi dalla vittima in quanto vi sono sufficienti altre occasioni e modalità di esercizio della pretesa restitutoria o risarcitoria». Lo stesso art. 2

fornisce un argomento testuale a tale tesi: si fa riferimento all’azione penale nei confronti della persona fisica e non alla “contestazione dell’illecito amministrativo” dell’ente, CORSO S.M., ibidem, 434 e ss. 23

La norma si impegna ad un rafforzamento della prevenzione mediante il potenziamento degli ispettori, dei loro poteri ed un maggior coordinamento dell’attività odi vigilanza. Inoltre, da 29 maggio 2015, “l’impedimento del controllo di sicurezza e di igiene del lavoro” è sanzionato dall’art. 452 septies c.p. (introdotto con la legge n. 68 del 2015).

53 gravissime e di omicidio da violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro e comminando sanzioni pecuniarie e interdittive.

La promulgazione della legge n. 123 del 2007 è stata, tuttavia, accompagnata da accese critiche. La scelta di trapiantare sic et simpliciter fattispecie colpose in un sistema con criteri d’imputazione delineati solo con riferimento a fattispecie dolose è stata ritenuta da molti azzardata ed ha creato numerosi problemi esegetici 24. Inoltre, è stata criticata la grave mancanza di cura tecnica nella formulazione delle disposizioni e l’eccessivo rigore delle sanzioni previste dall’art. 25 septies, un rigore sanzionatorio per certi versi opportuno, ma capace di compromettere l’equilibrio fra sicurezza e iniziativa economica 25.

In conclusione, la legge delega n. 123 del 2007 presentava «più ombre che luci» 26, costituendo un’occasione mancata per semplificare e riformare il vasto quadro normativo in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Nel rispetto del termine di nove mesi imposto dalla legge delega n. 123 del 2007, il legislatore delegato ha deciso, dunque, di emanare il d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81, un Testo unico avente come obiettivo il riassetto e la riforma delle norme in tema di “salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro” tramite una revisione della normativa vigente alla luce dell’inserimento dell’art. 25 septies nella “parte speciale” del d.lgs. n. 231 del 2001.

Il legislatore delegato, a fronte delle numerose critiche alla legge n. 123 del 2007, ha ritenuto opportuno intervenire nella materia e ha introdotto ampie ed incisive modifiche: ha dedicato un’autonoma previsione nella sezione della valutazione dei rischi ai Modelli di organizzazione e controllo, attorno a cui ha costruito il sistema di responsabilità

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I principali dubbi riguardavano innanzitutto alla compatibilità dei reati colposi con i criteri oggettivi d’ascrizione della responsabilità degli enti collettivi, come evidenziato da AMARELLI G., La

responsabilità degli enti e la problematica compatibilità con i reati colposi, in AA. VV., Salute e sicurezza sul lavoro, a cura di G. NATULLO, UTET, 2015, 278, l’autore ha sottolineato che la legge n.

123 del 2007 «ha completamente tralasciato un dettaglio tutt’altro che insignificante, vale a dire che i

reati presupposto della responsabilità delle persone giuridiche in quest’occasione avevano natura colposa, anziché dolosa, e si rendeva, quindi, uno sforzo legislativo ulteriore per procedere all’adeguamento di tali differenti tipologie di fattispecie ai criteri d’imputazione oggettivi tipizzati in via generale ed astratta nell’art. 5, comma 1 del d.lgs. n. 231/2001».

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MUSCATIELLO V. B., La nuova tutela penale della sicurezza sul lavoro, in Riv. dir. pen. e proc., 2008, 1450, l’autore evidenzia come la realtà imprenditoriale sia frustata da «un capillare e più severo

presidio punitivo rispetto a eventi dolorosi, i quali non possono certamente spiegarsi in termini di fatalità, ma neppure del tutto scongiurati in inattuabili contesti di elisione del rischio».

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DEIDDA B., Il Testo Unico per la sicurezza e la salute dei lavoratori: molto rumore per (quasi)

54 dell’ente in materia di salute e sicurezza del lavoro; è inoltre intervenuto per attenuare la rilevante rigidità dell’apparato sanzionatorio dell’art. 25 septies, lasciando tuttavia immutati i criteri oggettivi d’ascrizione della responsabilità dell’ente.

Il Testo unico si rivolge sia al datore di lavoro che all’ente, chiedendo ad entrambi un comportamento conforme, diretto alla costruzione di un efficace ed articolato sistema di prevenzione degli infortuni sul lavoro. L’evoluzione normativa è espressione dell’idea di una «prevenzione mediante organizzazione» 27, in cui la politica di contenimento del rischio di infortuni e malattie professionali viene svolta mediante una gestione sistemica, procedimentalizzata, e partecipata dell’attività prevenzionistica, allo scopo di incentivare una moralizzazione spontanea dell’impresa 28.

Infine, il d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106, recante “Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”, ha successivamente apportato numerose e minuziose modifiche, senza tuttavia intaccare l’impianto della riforma del 2007-2008 29.

2. Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro: l’art. 25 septies d.lgs. n. 231 del 2001

Tra le novità introdotte dalla legge delega n. 123 del 2007, particolare rilievo riveste l’introduzione dei reati di omicidio colposo e lesioni gravi o gravissime dipendenti dalla violazione di norme antinfortunistiche (art. 25 septies d.lgs. n. 231 del 2001) nel catalogo dei reati-presupposto della responsabilità da reato della societas, contenuto nella “parte speciale” del d.lgs. n. 231 del 2001.

I delitti contemplati dagli artt. 589 e 590 c.p. sono caratterizzati dall’aggravante della negligente inosservanza delle norme antinfortunistiche 30. L’individuazione degli

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Per un approfondimento sul tema: MARRA G., Prevenzione mediante organizzazione e diritto penale:

tre studi sulla tutela della sicurezza sul lavoro, Giappichelli, 2009.

28

MONGILLO V., Il dovere di adeguata organizzazione, op. cit, 20. 29

È stato infatti definito un decreto “poco correttivo” da PULITANÒ D., Sicurezza del lavoro: le novità

di un decreto poco correttivo, in Riv. dir. pen. e proc., 2010, 102.

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Si riporta il testo degli artt. 589 e 590 c.p.: l’art. 589 c.p., “Omicidio colposo”, come modificato dalla legge n. 41 del 2016, afferma che «1. Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con

la reclusione da sei mesi a cinque anni.

2. Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.

55 obblighi di protezione dei lavoratori, tuttavia, non è sempre agevole: oltre al decreto n. 81 del 2008 e agli altri specifici atti normativi in materia, la giurisprudenza della Cassazione 31 ha precisato che tra le norme antinfortunistiche di cui agli artt. 589, comma 2, e 590, comma 3, c.p., rientra anche l’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori. La sentenza della Corte Costituzionale n. 312 del 18 luglio 1996 32 ha ulteriormente specificato il generale obbligo di tutela di cui all’art. 2087 c.c. precisando che il datore di lavoro è tenuto ad apprestare le «misure concretamente attuabili», cioè «quelle che, nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni, corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti, sicché penalmente censurata sia soltanto la deviazione dei comportamenti dell'imprenditore dagli "standards" di sicurezza propri, in concreto ed al momento, delle diverse attività produttive».

La sentenza della Corte costituzionale è stata, tuttavia, fortemente criticata in dottrina

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, poiché imposta l’obbligo di tutela del datore di lavoro in base a ciò che viene usualmente fatto in un certo settore lavorativo ed industriale, piuttosto che su quello che 3. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici»; l’art. 590 c.p. “Lesioni

personali colpose”, come modificato dalla legge n. 41 del 2016, afferma che «1. Chiunque cagiona ad

altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.

2. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239.

3. Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni.

4. Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque.

5. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale».

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La Cassazione ha ritenuto che l’art. 2087 c.c. «come tutte le clausole generali, ha una funzione di

adeguamento permanente dell’ordinamento alla sottostante realtà socio-economica» e, pertanto, «vale a supplire alle lacune di una normativa che non può prevedere ogni fattore di rischio, ed ha una funzione sussidiaria rispetto a quest’ultima di adeguamento di essa al caso concreto», Cass., sezione lavoro, 06-

09-1988, n. 5048, Foro it.,1988, parte I, col. 2849. 32

Corte Costituzionale, 25/07/1996, n. 312, in Riv. it. dir. lav. 1997, II, 15, 33

PULITANÒ D., Igiene e sicurezza del lavoro (tutela penale), in Dig. disc. pen., vol. I, Aggiornamento, 2000, 397, l’autore afferma «il metro normativo dell’imprenditore» non può consistere nel mero adeguarsi a quelle stesse «prassi imprenditoriali che la legge ha il compito di conformare alle esigenze di

56 avrebbe fatto un uomo accorto e ragionevole 34. È stata, inoltre, scarsamente recepita dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha drasticamente ridimensionato l’interpretazione della norma, riconducendo l’obbligo del datore di lavoro alla massima sicurezza tecnicamente possibile 35.

Con l’estensione della responsabilità dell’ente ai reati di omicidio e lesioni aggravate colposi derivanti dalla violazione della normativa antinfortunistica, il dipendente della societas, apicale o non apicale, non rileva più esclusivamente come possibile autore di un reato-presupposto, bensì viene anche tutelato come vittima dell’illecito penale. L’ente deve quindi organizzare la propria struttura aziendale non solo per prevenire i reati-presupposto commessi da sottoposti o apicali, ma deve attivarsi per prevenire un reato a danno del dipendente o di chiunque collabori nell’ambiente di lavoro.

Si tratta di una responsabilità dell’ente per «colpa di organizzazione pura» 36, relativa ad un reato commesso direttamente dall’ente e non più per il tramite di soggetti individuali. I reati commessi in violazione della normativa in materia della salute e della sicurezza sul lavoro ex art. 25 septies rientrerebbero quindi, facendo riferimento alla tripartizione classificatoria degli illeciti d’impresa 37, nella categoria dell’illegale

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MARINUCCI G., Innovazioni tecnologiche e scoperte scientifiche: costi e tempi di adeguamento delle

regole di diligenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, 47, l’autore sostiene che la «diligenza esigibile si ricava non da quello che si usa fare nello svolgimento di questa o quella attività, bensì da quello che si poteva pretendere, anche in termini di sopportazioni di costi economici, fino alla rinuncia dell’attività, dall’homo eiusdem condicionis et professionis» e dunque dal Modello di uomo ragionevole nello

svolgimento del tipo di attività e nelle circostanze in cui ha operato l’agente concreto. 35

Tra le pronunce più recenti ove si accoglie il principio della massima sicurezza tecnicamente possibile: Cass., sez. fer., 26.08.2008, n. 45335, in Guida al dir., 2009, 4, 99, in cui si afferma che «Tra i compiti di

prevenzione che fanno capo al datore di lavoro vi è anche quello di dotare il lavoratore di strumenti e macchinari del tutto sicuri, dovendo in proposito ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. Pertanto, non sarebbe sufficiente, per mandare esente da responsabilità il datore di lavoro, che non abbia assolto appieno il suddetto obbligo cautelare, neppure che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico, se il processo tecnologico sia cresciuto in modo tale da suggerire ulteriori e sofisticati presidi per rendere la stessa sempre più sicura»;

più ragionevole e cauta sembra essere la soluzione accolta da Cass. pen., sez. IV, 21.12.2006, n. 41944, in

Cass. pen., 2007, 4264 e ss, secondo la quale «non è possibile pretendere che l’imprenditore proceda ad un’immediata sostituzione delle tecniche precedentemente adottate con quelle più recenti e innovative, dovendosi procedere ad una complessiva valutazione sui tempi, modalità e costi dell’innovazione. A fronte di una condotta comunque positiva dell’imprenditore di adeguarsi alle nuove tecnologie – e purché i sistemi già adottati siano comunque idonei a garantire un livello elevato di sicurezza – le scelte imprenditoriali divengono insindacabili».

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Un’efficace espressione di DE VERO G., La responsabilità, op. cit., 281. 37

PALIERO C.E., La società punita, op. cit., 1529, parla di reati della società come tale (ad es. i reati societari) che «esprimono direttamente la volontà, materializzando un programma d’azione che è proprio

ed esclusivo della società»; di reati strumentali alla politica d’impresa (ad es. la corruzione); e infine di

57 gestione dei rischi di produzione, diretta conseguenza di un Modello organizzativo colposamente deviato 38.

Il testo originario dell’art. 25 septies d.lgs. n. 231 del 2001, così come inserito dall’art. 9 l. n. 123 del 2007, recita: «1. In relazione ai delitti di cui agli artt. 589, 590, terzo comma, del codice penale, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a mille quote; 2. Nel caso di condanna per uno dei delitti di cui al comma 1, si applicano le sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno».

L’art. 9 l. 123 del 2007 ha un contenuto immediatamente precettivo, avendo il legislatore deciso di non attendere i tempi tecnici di una delega, e di dare una risposta immediata alle istanze avanzate dall’opinione pubblica 39, sempre più sdegnata dall’altissima casistica di omicidi e lesioni causati nell’ambito lavorativo.

L’urgenza del provvedimento, che è giunto a «toccare il cuore delle problematiche empirico - criminologiche sottostanti all’accoglimento del principio societas delinquere potest» 40, ha tuttavia avuto come risultato una disposizione suscettibile di numerose critiche.

Sul piano formale, ha destato perplessità le modalità procedurali con cui è stata introdotta la responsabilità dell’ente per i reati di cui agli artt. 589 e 590, comma 3, c.p. La parte relativa alla responsabilità della societas è stata, infatti, sottratta dal perimetro della delega legislativa in materia di sicurezza sul lavoro conferita al Governo e inserita

38

Come rilevato da CORSO S.M., Lavoro e responsabilità di impresa, op. cit., 442. 39

DEIDDA B., Il Testo Unico per la sicurezza e la salute dei lavoratori, op. cit, 97, l’autore osserva come l’opinione pubblica avesse acquisito consapevolezza su «alcuni aspetti che da tempo gli osservatori

più attenti avevano messo in luce: la generalizzata disapplicazione, da parte della stragrande maggioranza delle aziende italiane, delle norme di sicurezza varate addirittura negli anni ’50, l’osservanza solo formale di alcuni fondamentali precetti, i mancati investimenti per la sicurezza da parte delle aziende, persuase che la sicurezza dei lavoratori costituisca un optional e non un preciso impegno strategico dell’organizzazione imprenditoriale».

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GUERRINI R., Le modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in AA. VV., Il nuovo diritto

penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, a cura di F. GIUNTA – D. MICHELETTI, Giuffrè, 2010,

134 e ss., l’autore evidenzia come l’introduzione dell’art. 25 septies «implichi una rilevantissima

dilatazione della casistica giurisprudenziale per responsabilità degli enti, tenendo conto anche del fatto

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