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2. IL CROWDSOURCING

2.2. Le forme di crowdsourcing

2.2.2. Crowd wisdom

La prima delle forme di crowdsourcing elencate si fonda totalmente sulla crowd wisdom, condividendone appieno i relativi principi, tanto da identificarsi essenzialmente con essa. La scelta di ricorrere a questa tipologia discende quindi dalla volontà di sfruttare le conoscenze di un gran numero di persone, riconoscendo l’ipotesi egualitaria espressa da Howe (2010), per cui ogni individuo possiede una qualche conoscenza o un qualche talento che è di valore per un qualche altro individuo. L’obiettivo del crowdsourcing è quindi quello di connettere chi detiene una conoscenza con chi la reputa utile e, dal momento che tutti possono fornire un qualche valido contributo a livello conoscitivo grazie alla propria informazione privata, di estendere quanto più è possibile questa rete di

collegamenti.

Un concetto fondamentale che sostiene la ricerca del coinvolgimento di una moltitudine di soggetti nei processi decisionali è quello formulato dal “Teorema della diversità che batte il talento” (“Diversity Trumps Ability Theorem”), introdotto nel libro di Scott E. Page36 The Difference. How the Power of Diversity Creates Better Groups, Firms, Schools and Societies (2007), che propone un’analisi di tipo logico/matematico dell’intelligenza collettiva. Page (2007) afferma che, date determinate circostanze, le soluzioni elaborate da un gruppo di persone scelte in maniera casuale sono migliori rispetto a quelle prodotte da un insieme di soggetti selezionati in qualità di migliori solutori37. Questo teorema, confermato da molti studi accademici, si fonda sulla constatazione che i soggetti di talento, specializzati in un determinato campo, costituiscono un gruppo omogeneo, poiché, nella maggior parte dei casi, hanno seguito uno stesso percorso di formazione, anche frequentando le stesse scuole e gli stessi istituti, e di conseguenza tendono ad avere punti di vista analoghi e ad applicare processi e modalità di soluzione dei problemi simili, se non identici. La conoscenza specializzata è migliore della conoscenza generica, ma solamente nel suo specifico ambito di riferimento e, inoltre, la risoluzione della maggior parte dei problemi, in particolare di quelli complessi, implica l’appello a competenze appartenenti a diverse sfere del sapere. Pertanto, gli esperti risultano migliori del crowd, ma in meno contesti, e quest’ultimo ottiene generalmente dei risultati più efficaci nei processi di problem solving, potendo contare su un’ampia varietà di euristiche e tecniche di soluzione.

Il teorema di Page afferma l’essenza propria dell’intelligenza collettiva, ossia la convinzione che l’azione congiunta di un insieme di persone tra loro diverse possa portare ad una decisione migliore rispetto a quella che potrebbe assumere un qualsiasi individuo preso singolarmente. A questo principio si collega direttamente un altro aspetto significativo che si riscontra nelle attività di risoluzione dei problemi, ovvero l’elevata probabilità che le soluzioni emergano dai soggetti più inaspettati. Secondo Lakhani et al. (2007), questo esito contro-intuitivo deriva dalla capacità degli attori intellettualmente distanti dal campo di competenze che si tenderebbe ad applicare ad un determinato problema di interpretare la questione in modo nuovo, secondo diverse prospettive, e di applicare soluzioni a loro note ma insolite in quel dominio di conoscenza. Il cosiddetto breakthrough thinking emerge quasi sempre nei soggetti che non hanno avuto precedenti esperienze nell’ambito in cui si inserisce il problema, proprio perché sono privi di condizionamenti e congetture sulle tecniche considerate tradizionalmente adatte per l’approccio risolutivo. Applicando la teoria della diversità, il crowdsourcing favorisce questo risultato, poiché coinvolge un insieme di persone dotate di

36 Scott E. Page (nato nel 1963), sociologo americano e professore universitario di Sistemi Complessi, Scienze Politiche ed Economia presso l’Università del Michigan (a Ann Arbor) dal 2000.

37Secondo l’enunciazione esatta del “Diversity Trumps Ability Theorem” “a randomly selected collection of problem

competenze in campi diversi e che pertanto analizzano la situazione da affrontare secondo prospettive alternative e spesso inusuali.

Tuttavia, la capacità di coinvolgere nei processi di problem solving un gruppo effettivamente eterogeneo di individui non è così scontata e per garantire la diversità e sfruttare quindi appieno le potenzialità dell’intelligenza collettiva, devono essere soddisfatte essenzialmente tre condizioni: la partecipazione di soggetti che possiedono realmente caratteristiche, conoscenze e soprattutto opinioni differenti, l’indipendenza di pensiero dei vari attori, la decentralizzazione nell’organizzazione delle attività (Surowiecki, 2005). Infatti, come osserva Howe (2010), si può parlare di wisdom of crowd, nettamente contrapposta al pensiero di gruppo, quando l’unicità persiste in un ampio gruppo di persone e, pertanto, ragionamento ed azione non vengono organizzati gerarchicamente e indirizzati verso una tendenza dominante, ma lasciti liberi nella loro diversità ed autonomia. Nella pratica non è affatto semplice riuscire ad assicurare diversità di opinione, indipendenza e decentramento con la contemporanea aggregazione delle persone per lo svolgimento di una stessa attività di problem solving e, senza dubbio, Internet rappresenta lo strumento che rende più agevole la soddisfazione delle condizioni indicate da Surowiecki (2005), fornendo la possibilità di raggiungere praticamente chiunque e di mantenere i singoli attori isolati davanti agli schermi dei loro computer, seppur collegati tra loro. Pertanto, la rete web costituisce il fattore che nel corso della storia ha maggiormente favorito l’intelligenza collettiva e, di conseguenza, anche il mezzo privilegiato dalla tipologia di crowdsourcing fondata su questa.

Howe (2010) nota come un’azienda che decide di affidarsi alla crowd wisdom per trovare la soluzione ad un suo problema superi la tendenza predominante nel business (e anche nelle reti umane) di rivolgersi a persone e ad altre organizzazioni simili, che, in quanto affini, si conoscono bene e che conseguentemente adottano modalità di analisi ed azione analoghe. Il crowdsourcing si avvale in questo caso della “forza dei legami deboli”, così definita dai sociologi, ossia della maggiore possibilità di progresso fornita da realtà ed attori non conosciuti, che apportano nuove idee e nuovi approcci alla risoluzione, i quali da un lato, grazie alla loro varietà, aumentano le probabilità di individuazione di una soluzione e dall’altro potrebbero anche determinare la scoperta di una linea di azione impensata e che si dimostra superiore alle opzioni tracciate dalle euristiche tradizionali.

Per molto tempo, la principale forma di ricorso alla wisdom of crowd sono state le elezioni politiche, mentre oggi le imprese sfruttano l’intelligenza collettiva nei processi di problem solving, di anticipazione dei risultati futuri e di indirizzamento delle strategie aziendali. In particolare, Howe (2010) indica per il crowdsourcing basato sulla crowd wisdom tre connotazioni ancora più specifiche, ovvero l’applicazione nel mercato delle previsioni (o mercato delle informazioni), il crowdcasting, che consiste nella somministrazione di un problema aziendale ad un network indefinito di potenziali

solutori esterni, e l’idea jam (o idea dump, traducibile come “ressa di idee”), che mira alla raccolta di numerosi spunti ed intuizioni in una logica di brainstorming, senza riferimento ad uno specifico problema da affrontare. Nel caso del mercato delle previsioni, al crowd è assegnato il compito di pronosticare il vincitore di un qualche tipo di competizione oppure il risultato a cui è agganciato un certo contratto “futuro”. Nel crowdcasting, gli attori coinvolti nella rete possono decidere di affrontare l’attività di problem solving in maniera individuale oppure di organizzarsi in gruppi. Infine, l’idea jam prevede solitamente uno sviluppo nel web del crowdsourcing, configurandosi come una sorta di box online di suggerimenti e permettendo a chiunque di proporre delle proprie idee, che possono essere successivamente discusse con altre persone.

In generale, in questa prima forma analizzata di crowdsourcing, si evitano le discussioni, i dibatti e la ricerca di un consenso tra gli attori coinvolti nel processo, in quanto la forza di questo modello risiede nella somma delle diversità, che vengono appunto mantenute lasciando a ciascuno la propria autonomia, pur aggregando i contributi di tutti; si realizzano così tante azioni separate che confluiscono però in un’attività di problem solving collettiva.