2. IL CROWDSOURCING
2.1. Le origini del crowdsourcing
2.1.5. Rapporto tra open innovation e crowdsourcing
Un altro fenomeno influente sul crowdsourcing è quello dell’open innovation, che infatti – come esposto nel paragrafo precedente (par. 2.1.4.) – rientra tra i principi di base della wikinomics (l’apertura). Nello specifico, l’open innovation emerge dall’estensione dell’approccio collaborativo di un’organizzazione con i consumatori, ed in particolare con i lead user, ad una più ampia varietà di partner, accogliendo inoltre le idee di wisdom of crowd e trasparenza riscontrabili nel modello open source. Il concetto è stato introdotto per la prima volta da Henry Chesbrough35, autore del libro Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology (2003), e si fonda in particolare sulla necessità di un’organizzazione di aprirsi alla cooperazione con attori esterni ai propri confini nelle attività di ricerca e sviluppo, per ottenere risorse tecnologiche e soprattutto conoscitive, riprendendo i punti-cardine dell’approccio dei network collaborativi – trattato nel capitolo precedente (par. 1.4.2.) a proposito delle relazioni interorganizzative, ma naturalmente riferito a tutte le possibili relazioni dell’impresa con soggetti esterni. Infatti, anche l’open innovation nasce come risposta all’incertezza ambientale, alla complessità dei processi innovativi e alla sempre maggiore diffusione
35 Henry Chesbrough (nato nel 1956), economista statunitense, direttore esecutivo del Center of the Open Innovation e professore alla Haas School of Business dell’Università di Berkeley (California, USA).
della conoscenza nella società e si concretizza in un crescente grado di permeabilità dei confini organizzativi e nella connessa adozione di modalità di interazione più aperta con una gamma sempre più ampia di stakeholder, comprendente consumatori, fornitori, concorrenti, università (Felin e Zenger, 2014). Chesbrough (2004) sottolinea l’esigenza di superare l’ottica di closed innovation soprattutto in settori come quello dell’information technology, dove il ciclo di vita dei prodotti è molto breve e non è possibile esercitare un sufficiente controllo sulle dinamiche del mercato. In particolare in queste circostanze sarebbe quindi più efficace un aumento di trasparenza e di condivisione di risorse ed opportunità tra gli attori presenti nell’ambiente.
Gassmann e Enkel (2004) individuano tre possibili modelli di open innovation: il modello outside-in, che favorisce un arricchimento del patrimonio di competenze di un’azienda grazie all’integrazione di fonti esterne di conoscenza nei processi di knowledge creation, il modello inside- out, che prevede un processo inverso, ossia di esternalizzazione di idee ed innovazioni generate internamente rendendole disponibili per lo sfruttamento da parte di altri soggetti nell’ambiente di riferimento, e un modello di alleanza tra diversi partner che consiste in una combinazione dei due approcci precedenti. I mezzi attraverso i quali viene attuata la logica dell’open innovation includono invece contest e competizioni di vario genere, alleanze, joint-venture, accordi di licensing, piattaforme di tipo open source, comunità di sviluppo (Felin e Zenger, 2014).
Seltzer e Mahmoudi (2012), considerando la naturale dipendenza dell’efficacia dei processi di open innovation dai contributi degli attori esterni in termini di idee innovative e di nuova conoscenza per un’organizzazione, ne elencano una serie di pratiche di gestione e di implementazione. Innanzitutto, un’impresa aperta dovrebbe attrarre un ampio gruppo di collaboratori, cogliendo l’insegnamento delle esperienze open source, definire le aspettative a livello di partecipazione dei partner ed identificare le modalità per trarre profitto dall’innovazione aperta, bilanciando gli aspetti di creazione ed appropriazione del valore attraverso una vera e propria open strategy. Per quanto riguarda le modalità di implementazione, l’azienda può decidere per esempio di stilare un contratto di vario tipo con soggetti concorrenti o non, di commissionare lo sviluppo di idee a clienti-chiave, di creare delle partnership con i fornitori, di ricorrere al crowdsourcing.
Pertanto, il crowdsourcing può essere visto come una strategia di implementazione dell’open innovation, ma, secondo un’altra possibile prospettiva, anche come una tecnica indipendente di problem solving che si interseca con la pratica di innovazione aperta qualora i problemi affrontati siano legati appunto a processi innovativi. Tuttavia, la distinzione tra queste interpretazioni tende ad affievolirsi se si esamina il significato attribuito al termine “innovazione”, quale ricombinazione creativa ed efficiente di input esistenti per produrre nuovi output di valore (Felin e Zenger, 2014), sostanzialmente coincidente con l’attuale concezione di un’efficace attività di problem solving. In
ogni caso, nel crowdsourcing si ritrova tanto la necessità di un’organizzazione di aprirsi ai flussi di conoscenza esterni quanto l’idea di creazione di valore propria della filosofia dell’open innovation come integrazione e trasformazione di risorse e competenze sia interne che esterne. Di conseguenza, oltre alle tecniche di gestione introdotte poco sopra, ci sono una serie di accorgimenti attuabili per le attività di open innovation che possono essere validamente impiegati anche nell’organizzazione del crowdsourcing. Tra questi rientrano: una descrizione accurata del problema da risolvere, senza rivelare le eventuali opzioni di soluzione elaborate dall’organizzazione, in modo tale da non influenzare e quindi da sfruttare appieno il pensiero e le potenzialità di riflessione dei soggetti coinvolti dall’esterno; un’attenta definizione del contesto in cui si inserisce il problema, affinché sia chiara la questione da affrontare; una completa illustrazione dei concetti, senza dare per scontata la loro conoscenza; l’esposizione dei limiti dell’impresa nell’applicare una possibile soluzione, così da circoscrivere la ricerca alle opzioni praticabili; la condivisione di tutta la conoscenza disponibile; un orientamento verso dei risultati di qualità che, anche sotto diversi aspetti, abbiano un valore per tutte le persone coinvolte nel processo di innovazione (Speidel, 2011).