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1. DAL PROBLEM SOLVING AL JOINT PROBLEM SOLVING

1.3. Le capacità di problem solving di un’organizzazione

1.3.3. Rapporto con l’ambiente

Il buon funzionamento di un’organizzazione e, quindi, la sua efficacia nell’affrontare le situazioni problematiche che si presentano dipendono ovviamente non solo dalle attività e dalle dinamiche che si sviluppano all’interno dei suoi confini, ma anche dalle interazioni che avvengono tra essa e l’ambiente circostante. In particolare, la capacità di problem solving di un’azienda è condizionata dalla possibilità di operare nell’ambiente gestendo le criticità che possono limitare stabilità e libertà d’azione e sfruttando le fonti e le opportunità di sviluppo; da questa stessa necessità di controllare l’incertezza ambientale e di cogliere le occasioni di miglioramento discendono una serie di processi decisionali, relativi sia alla determinazione dell’area di influenza dell’impresa sia alle modalità di modifica e interazione con tale contesto.

L’ambiente in cui si colloca un’organizzazione comprende tutto ciò che si trova all’esterno dei suoi confini e che può influenzarla in un qualche modo ed è dominato da tre forze principali: i mercati, che definiscono l’aspetto economico dell’ambiente, la tecnologia, che ne determina gli elementi scientifici e tecnologici o, più nello specifico, i modi di creazione e diffusione della conoscenza e le traiettorie di ricerca e innovazione, e le istituzioni, che ne delineano le caratteristiche socio-culturali e politiche (Costa e Gubitta, 2008). Le variabili ambientali maggiormente influenti sull’organizzazione sono la stabilità (o variabilità), l’eterogeneità, la dispersione, la complessità, la turbolenza, la ricchezza (l’ammontare di risorse disponibili ed utili alle attività aziendali). In base a queste dimensioni, Daft (2004) osserva che l’influenza dell’ambiente sull’impresa si esercita essenzialmente attraverso due modalità: l’organizzazione ha da un lato il bisogno di ottenere

informazioni sull’ambiente per poter compiere i propri processi decisionali, dall’altro il bisogno di ottenere risorse dall’ambiente, a supporto delle proprie attività, comprese quelle di problem solving. Nello specifico, al crescere del grado di complessità e variabilità del contesto aumenta la necessità di individuare e comprendere i meccanismi che generano l’incertezza che ne deriva e di reperire informazioni e competenze per accrescere il controllo e l’efficacia del processo decisionale.

La porzione di ambiente maggiormente rilevante per un’impresa è il cosiddetto ambiente transazionale, che coincide con il suo campo di azione o settore e dove si concentrano perciò tutti i fattori che hanno un impatto diretto sulle sue attività13. Quindi, la validità dei processi di problem solving e, più in generale, la forza dell’azione organizzativa dipendono dalla capacità dell’azienda di affrontare e gestire l’incertezza presente nel proprio ambiente di riferimento. Le variabili di contesto che più di tutte incidono sul livello di incertezza sono la complessità, determinata a sua volta dall’eterogeneità, ossia dal numero e dalla diversità delle forze esterne con un impatto rilevante sulle attività aziendali e dalle loro interconnessioni, e la stabilità, ovvero il maggiore o minore dinamismo ambientale, causato da entità e velocità dei mutamenti delle forze esterne.

Thompson (1967) indica una serie di politiche di gestione rivolte verso l’esterno, ovvero delle strategie che l’organizzazione può adottare per intervenire sull’ambiente transazionale: contracting, advertising, coopting e coalescing. Le politiche di contracting si sostanziano in azioni di negoziazione e accordo con i soggetti esterni all’azienda (produttori, fornitori, clienti) e la loro durata determina proporzionalmente il potere di gestione dell’incertezza ambientale. La pubblicità e la comunicazione permettono all’azienda di aumentare la conoscenza del suo brand e dei suoi prodotti e di influenzare la domanda favorendo l’interesse dei clienti. La politica di coopting è volta ad includere nella propria azienda soggetti o organizzazioni che possono generare un’elevata incertezza, in modo tale da eliminare o almeno ridurre quest’ultima, grazie all’ottenimento del loro consenso. Infine, con il termine coalescing si fa riferimento ad una politica di integrazione tra organizzazioni diverse, che può dar luogo, ad esempio, ad accordi, fusioni, alleanze, joint venture, messa in atto per conseguire vari possibili benefici, quali la realizzazione di economie di scala, l’acquisizione di competenze, la razionalizzazione dei costi; ma uno degli obiettivi principali è sempre la riduzione dell’incertezza, raggiunta grazie alla diminuzione di competizione e dipendenza reciproca.

Per affrontare l’incertezza dovrebbero essere messe in pratica anche delle politiche interne ai confini organizzativi, quali la politica di smooting, la politica di buffering e la politica di differenziazione delle unità organizzative. La prima viene attuata quando la domanda è molto variabile e mira a stabilizzarla con attività specifiche per ogni tipo di cliente; la seconda consiste nel

13 L’ambiente generale è il concetto opposto e complementare a quello di ambiente transazionale e si riferisce a tutti gli aspetti che non influiscono direttamente sul funzionamento organizzativo.

predisporre una riserva di risorse e capacità per far fronte alla variabilità ambientale; la terza porta in particolare alla creazione di unità cuscinetto o di confine preposte alla gestione ed al controllo delle relazioni con l’ambiente esterno, così da consentire al nucleo operativo di dedicarsi esclusivamente ed in condizioni di stabilità ed efficienza alle attività core, dalle quali dipendono la sopravvivenza e la competitività dell’impresa. Tuttavia, quest’ultima strategia è stata parzialmente superata da un approccio che prevede l’eliminazione delle unità cuscinetto, a favore di una connessione più diretta tra nucleo tecnico e stakeholder esterni, che migliori la flessibilità e la capacità di adattamento dell’impresa (Daft, 2004). Anche in assenza di unità dedicate alla protezione dall’incertezza del nucleo operativo, le attività di confine sono imprescindibili per l’organizzazione, in quanto è fondamentale monitorare l’ambiente per cogliere in anticipo i segnali di cambiamento, ossia per individuare prontamente problemi o opportunità a partire dai quali si svilupperanno processi di decisione organizzativa. Alcune delle dinamiche rilevanti da tenere sotto controllo sono le tendenze nei gusti dei consumatori, gli sviluppi tecnologici, le traiettorie innovative.

La capacità di problem solving di un’organizzazione non dipende solo dalle politiche e dagli strumenti utilizzati per governare l’incertezza, ma anche dalla scelta relativa alla propria area di influenza e dalla coerenza di tutti i processi decisionali, strategici, tattici ed operativi, rispetto alle condizioni dell’ambiente transazionale. Per quanto riguarda la scelta del campo di azione organizzativa, l’impresa deve orientarsi verso un ambiente a lei favorevole, del quale cioè sia in grado di gestire gli aspetti di complessità e dinamismo e in cui risulti agevole reperire le risorse necessarie allo svolgimento delle proprie attività. La decisione del contesto di riferimento non è però unilaterale; infatti, affinché l’azienda possa agire effettivamente al suo interno, sono indispensabili il riconoscimento e la legittimazione da parte degli stakeholder esterni, che devono ritenerla capace di offrire qualcosa di utile e desiderabile per fornirle consenso e supporto (Costa e Gubitta, 2008). Pertanto, la determinazione dell’area di influenza deve tener conto di tutte le caratteristiche ambientali, economiche, tecnologiche, socio-culturali e politiche, dedicando particolare attenzione all’analisi degli stakeholder (clienti, fornitori, concorrenti, azionisti, creditori, comunità locale, governo e amministrazioni). Nello specifico, attraverso la stakeholder analysis l’azienda deve valutare interessi, attese, possibili contributi in termini di risorse e possibili rivendicazioni ed identificare quelli con un ruolo determinante nella propria prospettiva di azione e sviluppo (Schilling e Izzo, 2013).

Con riferimento ai processi decisionali posti in essere dall’organizzazione nel proprio ambiente transazionale, Emery e Trist (1960) hanno elaborato un modello che mette in relazione la forza delle connessioni ambientali (la complessità) con il tasso di cambiamento (variabilità o dinamismo), individuando quattro possibili contesti, ai quali dovrebbero corrispondere coerenti strategie e

decisioni dell’impresa14. In un ambiente placido, tipico dei settori maturi, in cui sia la forza delle connessioni sia il tasso di cambiamento sono bassi, l’incertezza è limitata e controllabile ed i processi di problem solving dovrebbero avvenire procedendo per prove ed errori o, nel caso di decisioni programmate, ricorrendo alle tecniche delle scienze manageriali. In uno placido e connesso non si assiste a grandi mutamenti, ma aumenta la complessità ed emergono gruppi di soggetti organizzati con un maggior potere contrattuale, per cui l’azienda dovrebbe concentrare le risorse e sviluppare una competenza distintiva. In un ambiente agitato, in cui le connessioni sono basse ma il tasso di cambiamento è elevato, l’impresa deve puntare all’efficienza ed essere estremamente reattiva ai mutamenti per migliorare la propria posizione competitiva rispetto a quella dei concorrenti. Infine, in un contesto turbolento, ossia connotato da complessità e dinamismo, l’incertezza è estremamente elevata e le aziende dovrebbero realizzare delle strategie collaborative per aumentare il loro controllo sulle variabili ambientali e la loro capacità di intervento di fronte a problemi ed occasioni di sviluppo. Le circostanze nelle quali attualmente si trovano ad operare la maggior parte delle organizzazioni sono quelle dell’ambiente turbolento rappresentato da Emery e Trist e comprendono – come già più volte osservato – un alto livello di incertezza e competitività, derivanti dalla complessità, dai rapidi cambiamenti e dalla concorrenza globale. Per riuscire ad agire in questo contesto, mediante scelte rapide, frequenti ed efficaci, gli attori organizzativi devono divenire dei decisori esperti, sviluppando, oltre a intuizione, esperienza e buon senso, anche delle nuove abilità. Secondo Russo e Schoemaker (2002), queste ultime includono: la capacità di inquadrare i problemi sviluppando molteplici punti di vista e con consapevolezza del punto di vista di volta in volta adottato, per comprendere l’essenza del problema ed ampliare la prospettiva decisionale; la raccolta di informazioni rilevanti, che non necessariamente confermano le idee precedentemente formulate e che devono essere correttamente interpretate affinché si trasformino in una reale conoscenza; l’elaborazione di decisioni sulla base della conoscenza sviluppata e secondo un giudizio rigoroso e sistematico (sfruttando invece l’intuizione e l’esperienza nelle fasi precedenti del processo di problem solving, ossia nel framing e nella creazione delle possibili soluzioni alternative); l’apprendimento dall’esperienza e, in particolare, la capacità di riconoscere il valore degli errori commessi, che, nella logica dell’apprendimento organizzativo, non sono solo un aspetto da correggere, ma anche un’opportunità per cambiare.

In generale, negli ambienti caratterizzati da forte incertezza e dinamismo, l’approccio ai processi decisionali deve mostrare sia rigore che creatività, abbandonare la logica razionale ed adottare quella incrementale. In quest’ottica e come suggerito da Daft (2004), l’organizzazione dovrebbe raccogliere informazioni in tempo reale per sviluppare una conoscenza profonda ed intuitiva del contesto, di potenziali problemi e opportunità; considerare diverse alternative di soluzione contemporaneamente;

ricercare suggerimenti da tutti e coinvolgere ogni persona interessata nella scelta, investendo costantemente nella creazione di un rapporto di fiducia ed accordo; prendere decisioni ben integrate tra loro e con l’orientamento strategico di fondo. L’azienda deve assumere la connotazione di sistema organico, dotandosi di una struttura non eccessivamente formalizzata, dove è possibile ridefinire i compiti individuali e sono forti le interazioni, in modo tale da garantire prontezza nella conduzione dei processi di problem solving di fronte a rapidi cambiamenti (Costa e Gubitta, 2008).

Un ultimo aspetto relativo al rapporto con l’ambiente che influenza considerevolmente la capacità di problem solving di un’impresa, soprattutto in contesti incerti e turbolenti, è la realizzazione di forme di collaborazione con singoli soggetti esterni o con altre organizzazioni15, non solo allo scopo di ridurre l’incertezza generale ed aumentare la stabilità delle condizioni in cui essa svolge la propria attività, ma anche per ottimizzare la risoluzione di specifici problemi e lo sfruttamento di specifiche opportunità, grazie ad un più ampio patrimonio di competenze e ad una maggiore facilità di ottenere consenso. Le collaborazioni con gli stakeholder esterni consentono all’impresa di reperire sia maggiori informazioni sull’ambiente sia risorse, che nei processi di problem solving coincidono essenzialmente con abilità e conoscenze.