• Non ci sono risultati.

Possibili elementi per la scelta tra processo face to face o virtuale

2. IL CROWDSOURCING

2.5. Dallo sviluppo nel web alle forme di crowdsourcing face to face

2.5.4. Possibili elementi per la scelta tra processo face to face o virtuale

Probabilmente a causa della minor frequenza con cui si manifestano questi casi, in letteratura non si trovano delle analisi specifiche degli sviluppi del crowdsourcing in un luogo non virtuale, ma, al fine di valutarne la fattibilità e l’eventuale maggiore appropriatezza rispetto a quelli nel web, si

possono considerare più in generale vantaggi e svantaggi della collaborazione digitale piuttosto che diretta.

Turban et al. (2010) individuano le cause della crescente adozione di strumenti di collaborazione online e dell’aumento dei team di lavoro virtuali nella globalizzazione, nel crescente ricorso a forme di outsourcing verso l’estero, nei costi di viaggio e spostamento, nell’esplosione del lavoro mobile, nel bisogno di assumere decisioni collettive in tempi rapidi. Tuttavia, l’implementazione e la gestione dei gruppi che interagiscono online nei processi di decision making non sono ovviamente esenti da elementi di complessità, anche se le tecnologie del web 2.0 permettono solitamente di affrontarli con un buon grado di efficacia ed efficienza. In particolare, la flessibilità e la riduzione dei costi favorite dai processi di problem solving realizzati nella rete Internet sono controbilanciati dal rischio di un’implementazione fallimentare e da una serie di problemi quali i rischi di spreco di tempo e divulgazione di segreti aziendali.

La scelta degli strumenti e dell’ambiente dei quali servirsi per una specifica attività e per ogni specifico task dipende da molteplici fattori, tra i quali la dimensione dell’impresa e del gruppo coinvolto nel processo di problem solving, la collocazione dei membri di quest’ultimo, la natura della decisione che deve essere presa (ovvero la tipologia di problema da risolvere), l’urgenza, l’impegno economico-finanziario relativo all’attività in questione. Inoltre, mentre nella teoria la Social Media Technology appare adatta per compiere la maggior parte delle azioni relative al processo di decision making, nella pratica non sono sicure né l’applicabilità allo specifico task né l’implementazione efficace da parte dell’azienda.

Un approccio utilizzabile per giudicare se il ricorso ad una particolare tecnologia possa accrescere la performance di una certa attività è quello del task-technology fit (TTF) model, elaborato da Goodhue (1995) e dai suoi colleghi. Questo modello considera una tecnologia utile a migliorare i risultati di un determinato processo se è compatibile con la natura dei compiti che deve supportare. Un’altra teoria applicabile in questa valutazione è quella della contingenza organizzativa, secondo cui un fattore critico per il successo nell’uso di una tecnologia è l’esistenza di una struttura organizzativa appropriata, ossia preparata all’introduzione della tecnologia e priva di atteggiamenti di resistenza. Questi due approcci possono essere combinati nel fit-viability model, originariamente proposto da Tjan (2001) per l’analisi della possibilità di attuare iniziative di e-commerce e successivamente rielaborato nella forma che interessa nel caso in esame. Le due dimensioni di valutazione della tecnologia sono l’adeguatezza (fit) e la fattibilità (viability), la prima volta a determinare la misura in cui le caratteristiche della tecnologia si accordano con i bisogni del task e la seconda a definire l’idoneità della struttura organizzativa ad accogliere e implementare la tecnologia stessa. Nello specifico, la seconda variabile, ossia la realizzabilità di un processo di problem solving

mediante le tecnologie del web 2.0, dipende dalla fattibilità economica, dall’infrastruttura tecnica e dagli aspetti sociali propri dell’organizzazione. Mentre l’impresa può adattare le proprie caratteristiche tecniche, organizzative e sociali, rendendosi capace di sfruttare la tecnologia, in assenza di compatibilità tra il compito da eseguire e la tecnologia è opportuno rinunciare all’adozione di quest’ultima.

Sorrentino (2013) analizza invece i migliori elementi di design degli spazi di lavoro virtuali e le capacità essenziali che i soggetti devono possedere per partecipare e contribuire efficacemente ad un’attività di collaborazione in un ambiente digitale, dette virtual interaction skills. I primi possono essere visti come degli aspetti che potrebbero portare a favorire la scelta di una forma di crowdsourcing face to face rispetto ad una online, in quanto riprendono le peculiarità proprie di un luogo fisico che non sono facilmente riproducibili virtualmente, quali in particolare la presence awareness, la persistence in state e l’extensibility.

La prima caratteristica si riferisce all’impossibilità di una compresenza corporea degli attori coinvolti in un processo di problem solving nel web, che può essere solo parzialmente compensata attraverso dei sistemi che rivelano se ciascuno dei partecipanti è collegato in un determinato momento. Nel caso in cui siano necessarie delle interazioni complesse per lo sviluppo del progetto collaborativo, questo tipo di strumenti che permettono solo di comprendere lo stato di presenza o assenza di un individuo nello spazio virtuale risulta insufficiente. Tuttavia, i progressi tecnologici procedono nella direzione di un continuo miglioramento dei meccanismi di cooperazione a distanza, consentendo, ad esempio, di comunicare quali sono il focus e l’attività svolta da ogni singola persona.

La persistence in state esprime invece il mantenimento nel corso del tempo dello spazio di lavoro digitale, in uno stato che può essere fisso o dinamico e che è visibile a tutti i soggetti che vi operano. Nello specifico, i contenuti e la conformazione che si osservano ad ogni accesso all’ambiente virtuale possono essere identici o mutati, se nel periodo di assenza dello specifico utente altri hanno apportato delle modifiche. L’elemento della persistenza è quindi essenziale per permettere delle riprese incrementali del lavoro in momenti diversi e una collaborazione asincrona.

Infine, l’extensibility consiste nella capacità di estendere lo spazio virtuale in modo da comprenderne altri. In questo senso si cerca di imitare nel mondo online la possibilità di spostamento di una persona tra i vari luoghi dove devono essere svolte le attività.

La seconda e la terza caratteristica descritte rappresentano in realtà dei vantaggi per la realizzazione delle attività online, in quanto la persistence in state consente una forma di collaborazione asincrona che non è facilmente conseguibile nell’ambiente fisico, mentre l’extensibility evita il sostenimento di spese di viaggio tra diverse sedi di lavoro; ma si tratta di elementi piuttosto costosi e complessi da creare.

Le abilità che sono invece richieste agli attori per collaborare in un ambiente digitale comprendono la consapevolezza ed il controllo degli eventi (event awareness and control), la gestione della presenza multiplexata (multiplexed presence) e del turno (turn management). La prima coincide con la capacità di comprendere e gestire gli eventi che si manifestano nello spazio digitale, analoghi a quelli di un ambiente fisico di lavoro, come scadenze e notifiche, ma più difficili da percepire e controllare. Infatti, grazie alle interazioni ed agli stimoli nel mondo reale, la risposta a questi eventi risulta quasi automatica, mentre nel mondo virtuale è necessario sviluppare una particolare consapevolezza e delle forti capacità reattive per raggiungere lo stesso risultato. Pertanto, questo aspetto sembra favorire uno svolgimento del crowdsourcing nella forma face to face.

La presenza multiplexata si collega alla possibilità offerta dagli strumenti digitali collaborativi di gestire contemporaneamente più flussi di lavoro indipendenti e di interagire in modo sia sincrono che asincrono. I partecipanti ad un’attività di problem solving online devono essere in grado di coglierla, riuscendo a dedicare la propria attenzione alle diverse dinamiche che si manifestano in uno stesso momento. Qualora le persone siano dotate o sappiano sviluppare questa capacità, l’ambiente virtuale è preferibile a quello fisico per l’esecuzione di un’attività di crowdsourcing, poiché in quest’ultimo non è possibile intervenire contemporaneamente in più situazioni.

Il turn management si riferisce invece alla gestione del turno nelle interazioni, ossia dell’alternanza degli interventi di soggetti diversi, essenziale per una comunicazione efficace. La difficoltà nel garantire questo aspetto è notevolmente superiore nel web rispetto che in un luogo fisico, dal momento che non è realizzabile un contatto visivo tra gli attori ed inoltre i canali e gli strumenti di conversazione, così come le risorse condivise, possono essere numerosi. Il rischio derivante da un’incapacità di assicurare i giusti ritmi di comunicazione e lavoro ed i giusti feedback è la creazione di una situazione conflittuale anziché collaborativa.