2. IL CROWDSOURCING
2.4. Le modalità di governance e gestione del crowdsourcing
2.4.2. Principi di base per una corretta gestione del processo di crowdsourcing
Un’efficace sintesi dei principi fondamentali che un’organizzazione che decide di esternalizzare una propria funzione al crowd dovrebbe seguire è contenuta in dieci regole indicate da Howe (2010), che non vuole proporre un metodo d’azione infallibile, ma una guida per esplorare adeguatamente il nuovo modello di problem solving. Innanzitutto, l’impresa che adotta l’approccio del crowdsourcing deve scegliere il modello giusto, ossia una delle sue quattro possibili declinazioni (crowd wisdom, crowd creation, crowd voting, crowdsourcing) o una loro combinazione, coerentemente con gli obiettivi che intende perseguire. In secondo luogo, deve scegliere il giusto crowd, in relazione al quale sono definiti il messaggio di richiesta a partecipare e i canali per la sua diffusione. Stigliano (2011) individua alcune caratteristiche che il crowd coinvolto dall’impresa dovrebbe generalmente possedere, ossia una composizione quanto più possibile eterogenea, la presenza di membri non specializzati, ma competenti e qualificati, in modo tale che le prospettive di analisi del problema siano originali ed allo stesso tempo sussistano interesse, conoscenza ed opinioni personali e indipendenti sulla questione da affrontare44, una dimensione coerente rispetto alla tipologia di progetto, che di solito necessita di un numero tanto maggiore di partecipanti quanto più è generico l’oggetto di indagine.
La terza regola riguarda l’offerta dei giusti incentivi per favorire l’engagement delle persone, definita considerando le motivazioni alla base della partecipazione e i risultati che si desidera ottenere tramite il processo di crowdsourcing. A questa si lega il cosiddetto principio di “mantenete le lettere di licenziamento nel cassetto”, in base al quale il crowdsourcing non deve essere concepito come una forma di lavoro gratuito o molto economico a sostituzione di una costosa attività in-house, in quanto richiede all’impresa cliente le capacità di guidare e di dare forma agli sforzi compiuti dal crowd. A quest’ultimo devono infatti essere garantiti supporto ed assistenza costanti, in una logica di partecipazione iterativa. Anche la quinta regola, “il mutismo della folla o il principio del dittatore benevolo”, è strettamente connessa con le precedenti, affermando la possibilità che i soggetti coinvolti nell’attività di crowdsourcing si auto-organizzino, secondo i propri interessi e le proprie capacità, e il contemporaneo bisogno di istruzioni e consigli per svolgere il lavoro a loro affidato; pertanto l’organizzazione non deve lasciare che il crowd agisca in solitudine, ma deve collaborare nel corso dell’intero processo e può inoltre cercare di individuare uno o più soggetti nel crowd che assolvano ad una funzione di guida degli altri, in qualità di “dittatori benevoli”.
Il sesto principio consiste nel semplificare l’attività da eseguire e scomporla in parti facilmente
44 In quest’ottica, Stigliano (2011) sostiene che il gruppo di solutori/contributori più competente nello svolgimento di un progetto di crowdsourcing è rappresentato dagli stakeholder dell’impresa.
comprensibili, seguendo un approccio di tipo modulare, sia per adattare i task alle diverse caratteristiche dei membri del crowd, in termini di tempo a disposizione, interesse, competenze, sia per aumentare la chiarezza del problema da affrontare, accrescendo la probabilità di partecipazione. Dall’esame di questo punto dell’elenco di Howe emerge in realtà la prima regola da seguire all’avvio di un processo di crowdsourcing, che coincide con quella dello step iniziale di una qualsiasi azione di problem solving, ossia la chiarezza nell’analisi e nell’esposizione del problema che deve essere risolto. Infatti, affinché le attività esternalizzate nella forma del crowdsourcing possano svolgersi senza eccessive complicazioni è necessario che il problema sia ben definito e che sia attuato inoltre un meccanismo di feedback che faciliti la progettazione di soluzioni da parte del crowd confacenti ai bisogni dell’organizzazione. Moon e Sproull (2008) notano che feedback più frequenti comportano una maggiore probabilità che i contributori si mantengano attivi in un determinato progetto e forniscano anche maggiori apporti, sottolineando la loro influenza sulla motivazione a partecipare45. La settima regola si basa sulla Legge di Sturgeon, secondo la quale “il novanta percento di tutto è spazzatura”, sostenendo la necessità di riconoscere la rarità del vero talento, considerando il crowdsourcing non come un bacino di raccolta di tutte le idee più geniali, ma come un mezzo per favorire l’emergere di almeno alcune di esse. La rigidità della Legge di Sturgeon viene smussata dall’ottavo principio di Howe, che suggerisce all’impresa di sfruttare le capacità del 10 per cento del crowd di filtrare i contributi prodotti dallo stesso e individuare quelli davvero validi.
La nona regola è un complemento del “principio del dittatore benevolo” ed afferma che la comunità ha sempre ragione, per cui il potere del “dittatore” che la guida è morale e persuasivo, ma non assoluto.
Infine, l’ultimo principio spinge l’azienda che vuole adottare il modello di crowdsourcing a ripensare al rapporto tipico con i dipendenti, in quanto la logica da abbracciare sposta l’attenzione da ciò che gli individui possono fare per l’impresa a ciò che quest’ultima può offrire loro. La partecipazione dei membri del crowd presuppone infatti la possibilità di soddisfare un qualche loro bisogno o desiderio, quale stimolo alla motivazione. In tal senso, i progetti di crowdsourcing ritenuti migliori sono quelli che permettono ai partecipanti di raggiungere la soddisfazione del livello superiore della scala dei bisogni di Maslow, relativo all’autorealizzazione e, nel dettaglio, a creatività, originalità, opportunità sfidanti e realizzazione di sé. Pertanto, l’impresa cliente deve impegnarsi affinché la partecipazione all’attività costituisca per il crowd un’esperienza di valore.
45 L’importanza dei meccanismi di feedback si collega anche alle due regole precedenti definite da Howe, che sostengono la necessità di assistenza e collaborazione da parte dell’impresa, sia per mantenere la motivazione del crowd nello svolgimento del lavoro sia per ottimizzare i risultati finali del processo di crowdsourcing.