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Problem solving, crowdsourcing, design thinking: come si intrecciano quest

3. IL PROCESSO DI CROWDSOURCING FACE TO FACE: IL CASO DELL’H-ACK

3.1.9. Problem solving, crowdsourcing, design thinking: come si intrecciano quest

Riconducendo lo sviluppo di un progetto di crowdsourcing ad un generico processo di problem solving, si riscontra chiaramente la corrispondenza con le varie fasi di definizione del problema,

generazione di soluzioni alternative, valutazione e selezione di una soluzione, implementazione ed eventuale modifica e/o ampliamento della soluzione, elencate nel modello di Beecroft, Duffy e Moran (2003) – riportato nel primo capitolo (par. 1.1.2.).

Di seguito – riprendendo la descrizione dello sviluppo dei progetti nel corso dell’H-Ack (par. 3.1.7.) – viene svolta un’analisi di questi step nel caso di adozione del modello del crowdsourcing, con riferimento in particolare ad una forma di crowd creation implementata in uno spazio fisico, quale è appunto quella delle attività svolte durante l’evento organizzato da H-Farm.

La prima fase dell’azione di problem solving si sostanzia nella determinazione del brief da parte dell’impresa presente all’H-Ack, che richiede tendenzialmente la generazione non tanto di una soluzione ad un vero e proprio problema, ma piuttosto di idee e framework interpretativi nuovi. Di conseguenza, il brief si caratterizza allo stesso tempo per chiarezza ed apertura, rispettando cioè la necessità di comprensione della sfida da parte del crowd e sollecitando al contempo un contributo di quest’ultimo anche nell’analisi della situazione e nella determinazione degli elementi da considerare nelle fasi successive. Questa modalità di definizione del “problema” in un certo senso condivisa tra impresa e crowd è confermata dalla possibilità di modifica degli aspetti contenuti nel brief in corso di sviluppo dell’attività, su suggerimento dei partecipanti all’hackathon.

La seconda fase del processo ha come output la generazione di tante soluzioni alternative quanti sono i team che decidono di dedicarsi al brief dell’impresa considerata. Soprattutto all’inizio del lavoro, i membri di ciascun gruppo interagiscono in modo intenso per identificare diverse possibili soluzioni, in una logica di brainstorming, e per valutare quale di queste sviluppare. H-Farm organizza di solito anche degli speech con protagonisti dei soggetti terzi, esperti della tematica affrontata o, in generale, capaci di fornire degli spunti ispirazionali per la formulazione delle idee da parte dei team; mentre l’impresa può mettere a disposizione del crowd una serie di prodotti, dispositivi e tool di vario genere integrabili nei prodotti stessi, o altri elementi legati alla propria offerta, al fine di favorire sia la comprensione che la creatività essenziali alla realizzazione del progetto di risposta al brief. Successivamente, è stabilito un momento di incontro con l’azienda, volto all’individuazione di eventuali vincoli troppo stringenti e limitanti l’elaborazione di progetti validi e/o ad un eventuale reindirizzamento del lavoro nella direzione desiderata dall’impresa, che supporta quindi il singolo gruppo nel focalizzare la situazione e gli obiettivi. Il team procede poi con la progettazione, organizzandosi in maniera sostanzialmente autonoma nella divisione dei compiti tra i suoi membri e nelle modalità di interazione e collaborazione, creando delle forti relazioni di condivisione sulla base di legami di natura prevalentemente informale. Durante tutto il tempo dedicato allo sviluppo del progetto, l’impresa rimane presente nella veste dei suoi rappresentanti, per rispondere a richieste di supporto e feedback che possono sorgere nello svolgimento dell’attività, assicurando una

cooperazione costante.

La valutazione e la selezione della soluzione vincente avvengono dopo l’esposizione dell’idea elaborata da ogni gruppo e l’upload del progetto sul portale web predisposto da H-Farm, quindi sulla base dell’efficacia della presentazione e delle caratteristiche specifiche dell’idea che emergono dal format caricato, eventualmente comprensivo di video, rendering o prototipi, e considerando quali variabili di giudizio la coerenza rispetto alla richiesta, l’originalità/innovatività e la fattibilità.

A questa terza fase non segue sempre l’implementazione da parte dall’azienda, che però mantiene in ogni caso in memoria i contributi ritenuti validi e sfruttabili come spunti o punti di vista alternativi o potenzialmente realizzabili in futuro.

Da questa analisi emerge la tendenziale libertà tanto dell’impresa quanto dei team nello strutturare il processo di problem solving nel quadro del modello del crowdsourcing, derivante dalla natura prevalentemente creativa del progetto e sostenuta dall’interazione diretta e sincrona tra i soggetti coinvolti. Quest’ultima incentiva infatti il pensiero creativo, che costituisce – come osservato nel paragrafo 1.3.2. – la capacità più importante nella conduzione di una generica attività di problem solving, e, in particolare, una visione globale e chiara del problema e la considerazione di molteplici prospettive. Considerando questi aspetti è possibile cogliere una vicinanza tra il concreto modello di crowd creation in esame e il cosiddetto approccio design thinking (o human centred design).

L’approccio design thinking è nato all’interno del gruppo di designer fondatori di IDEO, una delle più famose società di consulenza di design al mondo, ed è definito dal presidente e CEO di quest’ultima, Tim Brown, come un approccio all’innovazione incentrato sull’uomo e che si serve degli strumenti tipici del designer per integrare tra loro i bisogni delle persone, le possibilità tecnologiche ed i requisiti per un business di successo. In sostanza, il design thinking prevede l’applicazione di determinate metodologie di design alle azioni di risoluzione dei problemi, da quelli relativi alla creazione di prodotti fino a quelli legati alla definizione di un business, ed assume nello specifico le caratteristiche di un approccio sistemico, centrato sul consumatore e che parte dal basso, sollecitando il coinvolgimento degli stakeholder nell’attività aziendale. Infatti, questo modello riconosce il possesso da parte di ogni individuo di capacità intuitive, di riconoscimento di schemi e pattern, di generazione di idee con una valenza sia emotiva che funzionale, in modo analogo alla logica egualitaria alla base della crowd wisdom. Inoltre, come l’approccio del crowdsourcing, e della crowd creation in particolare, è fondato su una logica open, partecipata e di forte condivisione tra i soggetti coinvolti (Calcagno, 2013).

Il processo tipico del design thinking prevede una serie di step non chiaramente distinti, ma che tendono a sovrapporsi tra loro e che possono essere sintetizzati nelle fasi di ispirazione, ideazione e implementazione. La prima consiste essenzialmente nell’individuazione del problema o

dell’opportunità, con la connessa definizione di un framework iniziale, dei benchmark e degli obiettivi. Nello specifico, viene condotta seguendo una logica esplorativa, attraverso la ricerca, l’osservazione (partecipante), il lavoro etnografico, per un’interpretazione corretta di bisogni e desideri degli stakeholder e del contesto socio-culturale. Nell’esempio della crowd creation, e dell’H- Ack in particolare, lo step di definizione del problema si avvicina molto a queste modalità, dal momento che l’impresa stabilisce gli aspetti principali del brief, che però presenta dei tratti sostanzialmente aperti ed è suscettibile di successive modifiche, sollecitate dalle impressioni e dalle prospettive del crowd coinvolto nella sua esecuzione. Quest’ultimo è composto da soggetti con un forte interesse nei confronti della tematica, del settore, del prodotto o dell’impresa, sui quali, pertanto, si riflette in qualche modo l’esito stesso del processo di problem solving e dovrebbe essere incentrata l’attività stessa di progettazione.

La fase centrale di ideazione si caratterizza per lo sviluppo di una molteplicità di idee, ammettendo e favorendo un ampliamento dello spazio progettuale, attraverso la considerazione di diversi punti di vista alternativi, anche inusuali, incentivanti lo sviluppo innovativo. Questa prospettiva è quella propria del divergent thinking, che sostiene il necessario coinvolgimento nel processo di problem solving di persone diverse tra loro al fine di alimentare le capacità innovative, in modo del tutto analogo a quanto avviene nel caso di un progetto realizzato nel corso dell’H-Ack e in perfetta coerenza con il Teorema della diversità di Page quale fondamento dell’idea di intelligenza collettiva.

Infine, la fase finale di implementazione comporta la realizzazione di prototipi, anche semplici e grezzi, per comunicare e convalidare la soluzione progettata e, successivamente, la concretizzazione di quest’ultima in prodotti o servizi. Questo step è quello meno sviluppato nel modello di crowdsourcing dell’H-Ack, che non richiede necessariamente una prototipazione dell’idea elaborata da ciascun team, anche se evidentemente incoraggiata al fine di una presentazione più convincente ed attraente rispetto a quella dei gruppi concorrenti, e non prevede un’automatica implementazione del progetto vincente.

Scendendo nel dettaglio, IDEO propone cinque step per lo sviluppo di un’azione di problem solving secondo l’approccio del design thinking: empathize, define, ideate, prototype, test. Il primo e il secondo possono essere ricondotti alla macro-fase di ispirazione; infatti, l’idea di “empathize” si traduce nella ricerca di una forma di empatia con i destinatari dell’output del processo di progettazione e, in generale, con coloro sui quali questo avrà un impatto, mentre il concetto di “define” concerne l’analisi e la definizione del problema. Questi primi due step – come osservato in precedenza – sono molto simili alla parte iniziale di un’attività di crowd creation svolta in un luogo fisico, che, oltre a coinvolgere un insieme di stakeholder, è fortemente improntata alla conoscenza e alla

condivisione di insight tra impresa e crowd.

Il terzo step coincide sostanzialmente con la macro-fase di ideazione, mentre il quarto e il quinto fanno parte di quella di implementazione. Esaminando questi ultimi, appare evidente una delle caratteristiche principali dell’approccio design thinking, ossia la sperimentazione, anche a livello di prototipazione e test. In questo senso, la logica che ispira la conduzione del processo è quella di concepire ogni momento come occasione per rivalutare quanto fatto in precedenza e, quindi, per considerare la reiterazione di una o più fasi. Questo aspetto manca invece nello svolgimento delle attività di crowdsourcing durante l’H-Ack, che, ad eccezione della parte iniziale dell’evento, dedicata alla conoscenza e alla valutazione di una molteplicità di idee e prospettive, seguono un percorso tendenzialmente lineare, anche in ragione delle tempistiche ristrette dell’hackathon. Per accrescere ulteriormente le potenzialità innovative del processo di crowdsourcing, seppur a discapito della sua velocità, si potrebbe quindi giudicare opportuno un maggior ricorso a test e prototipi delle idee generate e la previsione di fasi non necessariamente lineari, integrando così il modello in modo da avvicinarlo ulteriormente all’ottica del design thinking, che, in ambito manageriale, è ormai considerato il miglior metodo per alimentare la creatività e l’innovazione.

3.2.

Le caratteristiche e gli esiti dell’approccio face to face a confronto con il