1. DAL PROBLEM SOLVING AL JOINT PROBLEM SOLVING
1.4. La cooperazione nei processi decisionali e il joint problem solving
1.4.4. Vantaggi e pratiche di gestione della collaborazione tra organizzazioni
Schilling e Izzo (2013) elencano dettagliatamente i motivi che spingono le imprese a creare tra loro delle relazioni collaborative, indicando, oltre all’accesso a risorse e competenze necessarie alle proprie attività con maggiore rapidità rispetto ad un loro sviluppo in-house, anche la riduzione dei vincoli determinati da investimenti di capitale e degli oneri finanziari, parallela all’aumento della flessibilità. Infatti, la singola azienda può decidere di focalizzarsi su una specifica area di specializzazione e di collaborare con organizzazioni specializzate in altri ambiti, per operare al meglio in un contesto di rapidi cambiamenti tecnologici, in cui i brevi cicli di vita dei prodotti e la velocità di trasformazione dei mercati causano presto l’obsolescenza delle competenze. Quindi, la cooperazione con organizzazioni diverse consente ad un’impresa di coltivare un patrimonio più ristretto di competenze distintive, che viene però maggiormente valorizzato grazie allo sfruttamento non solo all’interno dei confini aziendali ma nell’intero network, e di accrescere le capacità dinamiche fondamentali per l’adattamento ai mutamenti ambientali. Inoltre, i vantaggi di un network collaborativo comprendono l’opportunità di apprendimento attraverso sia il trasferimento di conoscenze tra partner sia lo sviluppo comune di nuova conoscenza, la condivisione di costi e rischi associati all’innovazione e/o all’ingresso in nuovi mercati e il sostegno di uno standard condiviso, così da evitare una competizione distruttiva tra una serie di standard concorrenti e tra loro incompatibili. Daft (2004) afferma che, nello scenario contemporaneo, la collaborazione rappresenta
la fonte primaria per il raggiungimento degli obiettivi essenziali per ogni organizzazione, ovvero per il costante miglioramento di innovazione, capacità di problem solving e performance in generale.
Il modello collaborativo per la risoluzione dei problemi si fonda sulla fiducia e sulla capacità di gestione del conflitto, che deve essere accettato positivamente fino ad un certo livello, poiché incoraggia nuove idee e guida al cambiamento, e richiede invece delle politiche di intervento quando minaccia l’equità nei benefici ottenuti dalle singole organizzazioni che partecipano alla rete. Per evitare l’insorgere di comportamenti opportunistici, che minerebbero la cooperazione impedendo il conseguimento dei vantaggi del joint problem solving, bisogna garantire infatti una distribuzione bilanciata del valore aggiunto di rete a ciascun membro di essa in funzione del contributo fornito alla collaborazione. Secondo Denicolai e Cioccarelli (2008), gli aspetti della rete che devono essere controllati attraverso le pratiche di network management sono: i nodi, ovvero aziende, istituzioni, professionisti componenti la rete, tutti portatori di propri interessi e valori; i contributi di risorse e competenze apportati; il valore aggiunto di rete di cui beneficiano tutti i membri; la struttura e i meccanismi interorganizzativi; l’ambiente di riferimento, nonché feedback e stimoli da esso provenienti. Sulla base di questi fattori, le principali pratiche di gestione della rete comprendono l’analisi dei rischi e dei benefici di una collaborazione interorganizzativa, la selezione dei partner, la scelta della forma di collaborazione più opportuna, la creazione ed il mantenimento di un rapporto di fiducia, la progettazione di unità di rete, la definizione della leadership di rete, delle routine e dei sistemi informativi interorganizzativi, il monitoraggio e la valutazione delle performance del network.
Tutte queste attività sono finalizzate nel loro complesso ad assicurare il coordinamento e l’apprendimento interorganizzativo, come fondamenti per un’efficace cooperazione nei processi decisionali e, nell’ottica della singola azienda, possono essere sintetizzate nelle politiche di scelta e di controllo dei partner. Come sostenuto da Schilling e Izzo (2013), la selezione dei soggetti con i quali collaborare deve basarsi su una valutazione di compatibilità sia sul piano delle risorse sia su quello della strategia. La compatibilità delle risorse sussiste quando il potenziale partner detiene delle risorse necessarie, o perlomeno utili, per lo sviluppo di un determinato progetto. La maggior parte delle collaborazioni nasce dal bisogno di ottenere materie, strumenti o competenze non posseduti e ha quindi come risultato una combinazione di risorse complementari, ma talvolta la cooperazione può essere spinta dalla volontà di conseguire economie di scala o di aumentare il proprio potere di mercato, per cui la scelta dei partner ricade su imprese che possono apportare risorse supplementari. Il requisito della compatibilità strategica è invece soddisfatto quando gli obiettivi e gli stili imprenditoriali degli attori coinvolti nella collaborazione sono allineati; ciò significa che i vari fini aziendali non devono essere necessariamente coincidenti, ma il loro perseguimento non deve né minacciare la cooperazione né danneggiare le singole imprese nella rete.
Schilling e Izzo individuano altri tre aspetti da analizzare per la selezione dei partner, relativi all’impatto della collaborazione sul contesto, sulla posizione competitiva dell’impresa e sulla capacità di realizzare il proprio intento strategico. Nel dettaglio devono essere considerati: l’impatto su minacce e opportunità dell’ambiente, facendo riferimento alle cinque forze descritte da Porter20; l’impatto su punti di forza e di debolezza dell’azienda, che risulta evidentemente positivo quando la collaborazione porta ad una valorizzazione e/o ad una crescita delle competenze interne e fornisce un valido supporto nel fronteggiare e superare le criticità; l’impatto sull’orientamento strategico, in base a cui la decisione di cooperare con soggetti esterni è tanto più conveniente quanto più consente all’organizzazione di reperire risorse e capacità per colmare il gap tra la sua posizione attuale e il suo intento strategico.
Per quanto riguarda il controllo dei partner, una buona strategia di governance della collaborazione dovrebbe prevedere innanzitutto la stesura di un contratto, che renda chiari diritti e obblighi di tutti i membri del network e consenta di ricorrere anche per vie legali di fronte a violazioni da parte di un attore. Precisamente, gli elementi contrattuali più importanti comprendono: il contributo che deve essere fornito da ciascun nodo della rete, il grado di controllo sul network che può essere esercitato da ogni membro, le modalità e i tempi di distribuzione del valore aggiunto di rete, ossia dei risultati prodotti dalla collaborazione, gli strumenti di valutazione dell’avanzamento delle attività, i modi di scioglimento del rapporto, le tecniche per il controllo delle azioni dei singoli partner. In particolare, le pratiche di network management legate al monitoraggio dei singoli nodi della rete e volte a smascherare possibili comportamenti opportunistici dovrebbero fondarsi su meccanismi trasparenti e flessibili.
Un ultimo aspetto da considerare rilevante nella gestione di una rete collaborativa emerge dalla ricerca condotta da Denicolai e Cioccarelli su di un campione di sessantacinque imprese, appartenenti a diversi settori ma tutte con un marcato orientamento all’innovazione, che avvalora due ipotesi particolarmente significative: oltre a confermare l’impulso positivo fornito da alleanze e network interorganizzativi alla dinamicità delle competenze della singola impresa, dimostra che lo sviluppo delle dynamic capability è maggiormente favorito da network creati in funzione di singoli progetti specifici più che da collaborazioni stabili e orientate al lungo periodo.
In sintesi, un’organizzazione che punti ad un rinnovamento e ad un miglioramento dei processi di problem solving continui, deve mantenere una propensione costante alla collaborazione interorganizzativa, dando vita a numerose reti di relazioni, ciascuna creata per uno specifico progetto di cambiamento, e attuando delle buone pratiche di gestione, soprattutto con riferimento alla selezione
20 Il modello delle cinque forze di Porter è uno degli strumenti maggiormente utilizzati dalle imprese per l’analisi del loro ambiente esterno e prevede la valutazione del livello di rivalità competitiva del settore, del potere contrattuale di clienti e fornitori, della minaccia di prodotti sostitutivi e di nuovi entranti nel mercato.
dei nodi del network, alla definizione dei sistemi informativi interaziendali e all’analisi dei risultati della rete.